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Copertina di Marco Fogliani
Aggiornamento al: 24/10/2021
L'AMICO DI NONNA PINA
La vicenda che vi sto per narrare si è svolta in un periodo molto particolare della nostra Storia: un periodo in cui i ragazzi andavano a scuola restando a casa, ed anche i loro genitori lavoravano in ufficio senza fisicamente recarvicisi. In quel periodo persino nonna Pina, nonostante la sua non trascurabile età, finì per modificare il suo stile di vita, consolidatosi nell’arco di tanti anni, eliminando la sua uscita mattutina per la spesa e anche quella domenicale della messa.
A quel tempo, in un paesino della provincia di Roma, i genitori di Piero - un ragazzino di quarta elementare alto già quasi come un adulto - non andavano d’accordo già da un po’; ed il fatto di dover rimanere chiusi tutti in casa per disposizione governativa non facilitava di certo la loro pacifica coabitazione e convivenza. Tutt’altro. Un giorno, dopo pranzo, accadde qualcosa tra i suoi genitori che provocò un diverbio particolarmente acceso. Piero fu mandato di sopra a studiare in camera sua, ma … hai voglia a chiudere la porta del salotto e quella delle scale perché non sentisse! Piero sentì tutto, e certamente anche i vicini.
La lite nacque per colpa di un telefono o di un cellulare: per una chiamata per lui, a cui per sbaglio rispose lei; o forse per qualche messaggio di lui, o per lui, che non avrebbe dovuto essere scoperto. Insomma, una questione di uomini e donne, che Piero ancora non comprendeva pienamente, ma che già sapeva come si sarebbe sviluppata. Porte che sbattono; voci che si alzano; toni che si accendono. Ed a questo punto il povero Piero (vorrei dire il piccolo Piero, ma la sua statura non me lo consente) decise di uscire in giardino, di inforcare la sua bicicletta e, in barba ai divieti proclamati dalla televisione mille volte nella giornata, di andarsene via per la strada deserta pedalando in modo forsennato, disperato, per dissipare la rabbia e la frustrazione che queste liti gli procuravano.
Uscendo, Piero ebbe modo di sentire anche un piatto che, lanciato, finì per rompersi; o forse era un bicchiere; oppure erano posate e non si ruppe nulla. Fatto sta che, con la sua fuga senza esitazione, Piero si perse il finale di quel litigio, un po’ diverso dal solito: suo padre che, stavolta d’accordo con sua madre, usciva di casa per andarsene a trascorrere il resto della reclusione stabilita dal governo in un altro appartamento, presumibilmente con un’altra donna. E forse per non tornare più.
Piero pedalò all’impazzata, per sfogarsi, senza una meta precisa. Quando la sua rabbia si fu un po’ attenuata gli si pose il problema di dove andare. Stavolta, più seriamente delle volte precedenti, gli balenò in mente di fuggire di casa. Ma per andare dove?
Fu così che, guardandosi intorno per capire dove fosse arrivato – e ne aveva fatta davvero parecchia di strada – si rese conto di trovasi a non molta distanza dalla casa di Giulio, un suo coetaneo che aveva conosciuto non si ricordava bene né quando né come, da piccolo. Non frequentava la sua stessa scuola. Lì vicino, si ricordava, c’era la casa di sua nonna, un bel villino con giardino, orto e gatti.
Ci arrivò, la riconobbe e suonò al citofono.
Nonna Pina, come ho già accennato, si era già adeguata ad alcuni cambiamenti causati dalla pandemia. Uno di questi era che la spesa le arrivava a casa, portata da un fattorino o da un corriere. Lei apriva il cancello e loro la lasciavano lì, appena dentro. Non doveva neanche pagare: ci aveva già pensato suo figlio, con cui la sera prima si era sentita (e vista) per video-telefono, ed a cui aveva elencato quello che le serviva. Così con questo espediente riuscivano a vedersi ed a sentirsi tutti i giorni; e suo figlio aveva modo di starle vicino e di sapere che stava bene.
Quando le suonò il citofono, nonna Pina non si ricordava di aspettare qualcuno o qualcosa. Aprì e si diresse al cancello. Quando vide quel ragazzino, per giunta senza mascherina, rimase sorpresa.
“E tu chi sei? Che ci fai qui?”, gli chiese.
“Cercavo Giulio. È questa casa sua?”
“Perbacco, quando viene a trovare sua nonna d’estate sì, questa è casa sua. Ma adesso è coi suoi genitori, a Roma. Ma non ti preoccupare. Adesso gli telefoniamo, così gli puoi parlare e puoi anche vederlo, persino.”
Piero esitò. Nonna Pina insistette.
“Su, entra. Ma sai che mi sembra di averti già visto. Come hai detto che ti chiami?”
“Piero”.
“Dai Piero, vieni, che forse c’è anche qualche dolcetto per te.”
Erano già entrati in casa quando a nonna Pina, che pure aveva qualche timore per la sua salute a star vicino a quel ragazzino sconosciuto, venne una nuova preoccupazione.
“Ma i tuoi genitori lo sanno che sei qui?”
“No. Ma per favore, non glielo dica. Altrimenti mi tocca tornare a casa e sentirli di nuovo litigare.”
“Ma non hai pensato che forse si stanno già preoccupando per te?”
Poi, dopo un attimo di pausa, proseguì: “Magari facciamo così: adesso chiamiamo subito Giulio, poi pensiamo ai tuoi genitori. Li chiamo io, se preferisci. Gli dirò che stai bene e che ti fermi un po’ da me, d’accordo? Che ti vengano a prendere più tardi, magari dopo cena, se vuoi. Faccio delle ottime tagliatelle io, lo sai? Che ne dici?”
Piero non rispose.
“Allora, vediamo di attivare il collegamento con Giulio. Non ci crederai, ma sono brava anche a fare queste cose: me lo ha insegnato mio figlio quando mi ha portato questo affare.”
Nonna Pina armeggiò un poco col suo computer, ed ecco un signore apparire sullo schermo.
“Ciao mamma. Oggi sei molto in anticipo. Tutto bene?”
“Sì, sì. Ho chiamato per Giulio, perché c’è qui una sorpresa per lui: un suo amichetto.”
“Aspetta che te lo vado a chiamare. Giulio! Giulio vieni, c’è nonna che ti vuole. Dice che ha una sorpresa per te.”
“Piero! Sei tu Piero! Ciao, ome stai?” Giulio lo riconobbe, ed i due ragazzi cominciarono a parlare di cose loro, di giochi, di calcio e di televisione, e di altre cose strane che i grandi capiscono poco ma che ai ragazzini interessano moltissimo. Parlarono forse per un’ora, senza interruzione. Anzi, un’interruzione ci fu: quando nonna Pina porse a Piero un foglietto chiedendogli di scrivere il suo cognome ed il numero di telefono di casa. “Così io intanto li chiamo”, gli disse. E così fece.
Le rispose una voce di donna. “Pronto?”
“Buongiorno. Mi scusi, è la casa di Piero Rossini?”
“Sì, sono la sua mamma. Ma lui è di sopra a studiare, se vuole glielo vado a chiamare.”
“No, no. Non c’è bisogno. Anche perché lui non è di sopra a studiare. Anzi: volevo giusto dirle questo: che suo figlio adesso è qui a casa mia. Sono la nonna di un suo amichetto, Giulio. Adesso loro due sono qui a giocare. Potrebbero passare il pomeriggio insieme, e magari Piero potrebbe anche fermarsi qui a cena, se non le dispiace.”
“A dire il vero mi farebbe anche comodo: ho molto da fare, ho da lavorare tutto il pomeriggio. Così non dovrei mettermi ai fornelli. Caso mai la richiamo quando ho finito, va bene?”
“Va bene. A questo numero. Allora a più tardi, tanto io non esco.”
Terminata la telefonata con Giulio, Piero andò in giardino a giocare coi gatti. Si ricordava che ce n’era più d’uno. Voleva toccarli ed accarezzarli, ma quelli scappavano e si nascondevano, un po’ come fanno tutti i gatti coi bambini. Piero trascorse anche con loro un tempo interminabile, fino a riuscire prima a convincere il più piccolo di loro a lasciarsi accarezzare, e poi finché non fu egli stesso ad annoiarsi di accarezzarlo.
Quando rientrò in casa, nonna Pina stava seduta sulla sua poltrona a dondolo davanti al televisore, sferruzzando con un lavoro a maglia.
“Non è che ci sono altri giochi?”, le chiese Piero. “Di quelli di Giulio, voglio dire. Mi sono dimenticato di chiederglielo.”
“Se