Анна Радклиф

I misteri del castello d'Udolfo, vol. 3


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p>I misteri del castello d'Udolfo, vol. 3

      CAPITOLO XXII

      Montoni fece invano le più esatte ricerche sulla strana circostanza che lo aveva allarmato, e non avendo potuto scoprir nulla, dovette credere che qualcuno de' suoi fosse l'autore d'una burla così intempestiva. Le sue contese colla moglie, a proposito della cessione, divenendo più frequenti, pensò confinarla nella sua camera, minacciandola a una maggior severità se persisteva nel rifiuto.

      Se la signora Montoni fosse stata più ragionevole, avrebbe compreso il pericolo d'irritare, con quella lunga resistenza, un uomo come il marito in cui balia ella trovavasi. Non aveva pure obliato di quale importanza fosse per lei la conservazione del possesso de' suoi beni, che l'avrebbero resa indipendente, caso avesse potuto sottrarsi al dispotismo di Montoni. Ma in quel momento aveva una guida più decisiva della ragione, lo spirito cioè della vendetta, che le faceva opporre la negativa alla minaccia, e l'ostinazione alla prepotenza.

      Ridotta a non poter uscir dalla camera, sentì finalmente il bisogno ed il pregio della compagnia già sprezzata della nipote, perchè Emilia, dopo Annetta, era la sola persona che le fosse permesso di vedere.

      La fanciulla s'informava spesso del conte Morano. Annetta ne sapeva pochissimo, se non che il chirurgo credeva impossibile la di lui guarigione. Emilia affliggevasi di essere la causa involontaria della sua morte. Annetta, che osservava la di lei commozione, l'interpretava a modo suo. Un giorno, essa le entrò in camera tutta affannosa e piangente. « Per carità, troviamo il modo di uscire da questo luogo infernale. Sappiate, » diss'ella, « che siamo alla vigilia di qualche brutta scena in questo maledetto castello. Quei signori tengono tutte le notti conciliaboli, ove si pretende che discutano affari importanti: inoltre, cosa significano tutti i preparativi che si fanno sui bastioni e sulle mura? E poi, quanta gente entra tutti i giorni nel castello con cavalli! e sembra che vi debbano restare, perchè il padrone ha ordinato di somministrar loro il bisognevole. Io ho saputo tutto da Lodovico, che mi ha raccomandato di tacere; ma siccome vi amo quanto me stessa, non ho potuto fare a meno di dirlo anche a voi. Ah! qualche giorno ci ammazzeranno tutti per certo.

      – Non sai tu altro, Annetta?

      – Come! Non basta tutto questo?

      – Sì, ma non basta a persuadermi che ci vogliano uccider tutti. »

      Emilia si astenne dal manifestare i suoi timori per non aumentare la paura della cameriera. Lo stato attuale del castello la sorprendeva e la turbava. Appena Annetta ebbe finito, la lasciò sola, per andare a nuove scoperte.

      La fanciulla quella sera passò alcune ore tristissime in compagnia della zia. Si disponeva a coricarsi, quando udì un forte colpo alla porta della camera, prodotto dalla caduta di qualche oggetto. Chiamò per sapere cosa fosse, e non le fu risposto. Chiamò una seconda volta senza miglior successo: pensò che qualcuno dei forastieri giunti recentemente nel castello avesse scoperta la sua camera, e vi si recasse con cattive intenzioni. Inquieta, stette attenta, tremando sempre che il rumore si rinnovasse. Si fece invece coraggio; si avvicinò alla porta del corridoio tutta tremante, ed intese un lieve sospiro tanto vicino, che la convinse esservi qualcuno dietro l'uscio. Mentre ascoltava ancora, il medesimo sospiro si fece intendere più distintamente, ed il suo terrore aumentò. Non sapea cosa risolvere, e sentiva sempre sospirare. La sua ansietà divenne sì forte che risolse di aprire la finestra e chiamar gente. Mentre vi si accingeva, le parve udir i passi di qualcuno nella scala segreta, e vincendo ogni altro timore corse verso il corridoio. Premurosa di fuggire, aprì la porta, ed inciampò in un corpo steso al suolo. Mise un grido, e guardando la persona svenuta, riconobbe Annetta. Grandemente sorpresa, fece ogni sforzo per soccorrere l'infelice. Allorchè ebbe ripreso l'uso dei sensi, Emilia l'aiutò ad entrare in camera, e quando potè parlare la ragazza l'assicurò, con una fermezza che scosse fino l'incredulità dell'altra, di aver veduto un'ombra nel corridoio.

      « Io aveva inteso strane cose sulla camera attigua, » disse Annetta; « ma siccome è vicina alla vostra, madamigella, non voleva dirvele per non ispaventarvi. Tutte le volte ch'io ci passava accanto, correva a tutta possa; e vi accerto inoltre, che spesso mi parve di sentirvi rumore. Ma stasera, camminando nel corridoio, senza pensare a nulla, ecco veggo apparire un lume, e guardando indietro scorgo una gran larva. L'ho veduta, signorina, distintamente, quanto voi in questo momento. Una gran figura entrava nella camera sempre chiusa, di cui, non tien la chiave altri che il padrone, e la porta serrossi immediatamente.

      – Sarà stato il signor Montoni, » disse Emilia.

      – Oh! no, non era lui, avendolo lasciato che altercava colla padrona nel suo gabinetto.

      – Tu mi fai racconti molto strani, Annetta; stamattina mi hai spaventata colla paura d'un assassinio, ed ora vorresti farmi credere…

      – Non vi dirò più nulla; ma però se non avessi avuta gran paura, non sarei svenuta, come ho fatto.

      – Era forse la camera dal quadro del velo nero?

      – No, signora, è quella più vicina alla vostra: come farò a tornare nella mia stanza? Per tutto l'oro del mondo non vorrei più traversare il corridoio. »

      Emilia, commossa da questo incidente, e dall'idea di dovere esser sola tutta la notte, le rispose che poteva stare con lei.

      « Oh! no, davvero, » disse Annetta, « io non dormirei ora in questa camera, neppure per mille zecchini. »

      Emilia, rammentandosi d'aver udito gente sulla scala insistè perchè passasse la notte secolei, e l'ottenne con molta pena, e dopo che la paura di ripassare il corridoio ve l'ebbe persuasa.

      Il dì dopo, Emilia, traversando la sala per andare sulle mura, intese rumore nel cortile e lo scalpito di molti cavalli. Il tumulto eccitò la sua curiosità. Senza andar più oltre, si affacciò ad una finestra, e vide nel cortile una truppa di cavalieri; aveano divise bizzarre ed armamento completo, sebben variato. Portavano essi una giacchetta corta rigata di nero e scarlatto; si avvolgevano in grandi ferraiuoli, sotto uno dei quali vide pendere dalla cintola pugnali di varia grandezza; osservò quindi che quasi tutti ne eran ben provvisti, e parecchi vi aggiungevano la picca ed il giavellotto; portavano in testa berretti all'italiana ornati di pennacchi neri; essa non si rammentava aver mai visti tanti brutti ceffi riuniti. Nel vederli si credette circondata da banditi, e le si affacciò subito alla mente che Montoni fosse il capo di questi birbanti, e il castello il loro luogo di riunione. Questa strana supposizione però fu passeggiera. Mentre guardava, vide uscire Cavignì, Verrezzi e Bertolini vestiti come gli altri; avevano soltanto i cappelli ornati di grandi pennacchi rossi e neri; quando montarono a cavallo, Verrezzi brillava di gioia; Cavignì pareva allegro, ma il suo contegno era riflessivo, e maneggiava il cavallo con estrema grazia. La sua figura amabile, e che parea quella d'un eroe, non era mai apparsa con tanto vantaggio. Emilia, considerandolo, pensò che somigliava a Valancourt, e per vero dire ne aveva tutto il fuoco e la dignità; ma essa cercava invano la dolcezza della fisonomia, e quella schietta espressione dell'anima che lo caratterizzava.

      Comparve quindi Montoni, ma senza divisa. Esaminò scrupolosamente i cavalieri, conversò a lungo co' capi, e quando li ebbe salutati, la truppa fece il giro del cortile, e, comandata da Verrezzi, passò sotto la vôlta ed uscì.

      Emilia si ritirò dalla finestra, e nella certezza di esser più tranquilla, andò sui bastioni: non vide più lavoranti, ed osservò che le fortificazioni parevano ultimate. Mentre passeggiava assorta nelle sue riflessioni, udì camminare sotto le mura del castello, e vide parecchi uomini, il cui esteriore accordavasi colla truppa partita poco prima.

      Presumendo che la zia fosse alzata, andò ad augurarle il buon giorno, e le raccontò quanto aveva veduto; ma essa non volle, e non potè darle contezza di nulla. La riserva di Montoni verso sua moglie, a tal proposito, non era punto straordinaria. Però, agli occhi di Emilia, aggiunse qualche ombra al mistero, e le fece sospettare un gran pericolo o grandi orrori nel progetto da lui concepito.

      Annetta tornò ansante, secondo il consueto; la sua padrona le domandò premurosamente cosa vi fosse di nuovo, ed essa le rispose « Ah! signora, nessuno ci capisce nulla. Carlo sa tutto, ma è riservato come il suo padrone. Qualcuno dice che il signor Montoni vuole spaventare il nemico; altri pretendono che voglia prender d'assalto qualche castello, ma ha tanto posto nel suo, che non ha bisogno certo d'andar a carpire quelli degli altri. Lodovico pare che ci veda più di tutti, perchè dice d'indovinare