Emilio Salgari

I pescatori di balene


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balena a babordo!

      Il capitano Weimar e tutti i marinai, che da dodici ore erano in preda ad una viva agitazione, si precipitarono verso la murata di babordo aguzzando gli sguardi verso il punto indicato.

      A due miglia dal «Danebrog», si scorgeva una specie di cilindro di dimensioni gigantesche e risplendente come se fosse di acciaio. Era perfettamente immobile, però ad una estremità si vedevano apparire, di quando in quando, due piccole colonne di vapore che si alzavano in forma di V.

      – Sì, sì è una balena! – gridò il capitano.

      – E di dimensioni non comuni – aggiunse il tenente che aveva puntato lentamente un cannocchiale. – La briccona pranza tranquillamente in mezzo di un banco di «boete».

      – Ebbene, che mangi anche il mio rampone – gridò Koninson che aveva abbandonato precipitosamente la rete. – Mille milioni di fulmini! Era tempo che se ne incontrasse una! Olà! Ragazzi, sangue freddo e audacia, e io rispondo della vittoria!

      – Il capitano diede ordine al timoniere di dirigere il «Danebrog» verso il gigante, mentre Koninson e i marinai calavano a fior d’acqua le due più solide e più svelte baleniere, mettendovi dentro tutti gli attrezzi necessari: remi, ramponi, lancie, lenze e le «droghe».

      – A un chilometro di distanza il «Danebrog» si mise in panna. Avvicinarsi troppo ad una balena che si caccia non è prudente, perchè essa quando è ferita perde completamente la testa e si getta contro qualunque cosa. Il capitano Weimar ben si ricordava del brutto caso toccato alla nave «Essex» nel 1820, quando, investita da una balena resa pazza dal dolore cagionatole da una ferita, era andata a picco.

      Subito il tenente Hostrup, Koninson e quattro marinai presero posto nella maggiore baleniera e mastro Widdeak, Harwey e altri quattro remiganti nell’altra.

      – Badate che non ci sfugga – disse il capitano che era rimasto a bordo.

      – Vi, giuro, signore, che non si ripeterà il caso del capodolio – disse Koninson. – Mi sento indosso un coraggio da non temere venti balene.

      – Al largo, dunque!

      Le due baleniere si staccarono dal «Danebrog» e si diressero, rapidamente, ma senza far rumore, verso il cetaceo. Quella del tenente precedeva di una gomena quella di mastro Widdeak.

      Ben presto i cacciatori giunsero a sole trecento braccia dalla preda, la quale non aveva ancor dato il più piccolo segno di inquietudine.

      Era una superba balena franca, lunga più di venti metri, del peso di ottanta o novanta tonnellate, con una testa voluminosissima, convessa superiormente e fornita di una bocca enorme, lunga più di tre metri e alta più di quattro. La pelle del gigante, nera, liscia, untuosa, sotto ai raggi del sole brillava così vivamente da offendere gli occhi di chi la guardava.

      – Cosa fa? – chiese sottovoce il tenente a Koninson che la fissava con occhi fiammeggianti.

      – Pascola in mezzo al banco di «boete». – rispose il fiociniere.

      – Se si potesse sorprenderla..

      – Lo dubito, tenente. Ecco che comincia a dar segni d’inquietudine.

      La balena infatti, che fino allora aveva conservato una immobilità quasi perfetta, aveva alzato la sua potente coda terminante in una pinna orizzontale, triangolare e larga sei o sette metri. Con un colpo vigoroso lanciò a destra ed a sinistra due altissime onde, poi agitò le pinne pettorali che sono lunghe ben tre metri, causando nuove onde e si mise a filare fra il banco di «boete», cacciando fuori dagli sfiatatoi due colonne di vapore, il quale ricadeva sotto forma di goccioline che formavano sull’acqua macchie oleose.

      – Attento, Koninson! – disse il tenente, facendo segno ai remiganti di raddoppiare la battuta.

      – Spingete innanzi la baleniera senza tema, signore, – rispose il fiociniere che aveva afferrato il suo terribile rampone.

      – Sono pronto!

      – Ad un tratto la balena si tuffò lasciando dietro di sè un piccolo vortice. Il tenente guardò attentamente da qual parte aveva piegata la coda per indovinarne la direzione presa, poi comandò ai remiganti di avanzare lentamente e senza far rumore.

      Passarono alcuni minuti che parvero lunghissimi, poi si udì un rumore simile ad un tuono lontanissimo e sulla tranquilla superficie del mare si scorse un largo tremolio.

      – Attenti! – disse il tenente. – La balena sta per mostrarsi. Sei pronto, Koninson?

      – Sempre! – rispose il fiociniere.

      Il rumore si faceva sempre più distinto, poi a quattrocento passi dalla baleniera, verso prua, apparve un punto nero, l’estremità del muso del cetaceo, indi gli sfiatatoi, il dorso e finalmente la formidabile coda, la quale battè violentemente il mare.

      – Il gigante è inquieto – disse il tenente. – Ci ha sentiti. Allungate la battuta, ragazzi.

      Tornata a galla, la balena aveva lanciato in aria, a parecchi metri d’altezza due colonne di bianco vapore, poi si era un po’ immersa.

      Per trenta o quaranta secondi scivolò mostrando solamente il dorso, e a intervalli la coda; indi rialzò la testa e gettò due altre colonne di vapore. Tornò a immergere la testa e per parecchi minuti ancora ripetè quella manovra gettando, di quando in quando, colonne di vapore che diventava però sempre meno denso, e agitando la coda innanzi e indietro.

      – La briccona scandaglia – mormorò Hostrup,.

      Le due baleniere avanzavano lentamente e con prudenza. I due fiocinieri in piedi, colla coscia cacciata nella scanalatura di prua, il rampone in aria un po’ pallidi, lanciavano sguardi di fuoco sulla preda.

      Il cetaceo non fuggiva, ma dava sempre segni di inquietudine. Il suo respiro, che si ode a una non breve distanza, era più frequente, la sua coda si alzava e si abbassava con molta violenza; e spesso sollevava la testa fuori dell’acqua come se cercasse di vedere i nemici che la seguivano.

      – Arranca a tutta lena! – gridò ad un tratto il tenente.

      La baleniera partì rapida come una saetta. In brevi istanti si trovò a sole venti braccia dal cetaceo.

      – Koninson! – gridò il tenente.

      – Pronto, signore! rispose il fiociniere.

      – Getta!…

      Koninson alzò il rampone, lo fece oscillare innanzi e indietro e lo lanciò con tutta la forza del suo braccio, piantandolo profondamente nel fianco destro della balena in un punto ricco di tendini e di carne.

      Parve che il cetaceo subito non si accorgesse di essere stato ferito, ma dopo alcuni secondi agitò furiosamente la coda lanciando contemporaneamente una nota così acuta da udirsi a parecchi chilometri di distanza.

      – Attenti ragazzi! – gridò il tenente, mentre Koninson afferrava una lancia munita di una specie di palla taglientissima.

      La baleniera si spinse innanzi a tutta velocità, ma il cetaceo si rovesciò bruscamente sul fianco ferito sforzandosi di strapparsi l’arma, che doveva farlo soffrire atrocemente; indi si tuffò con grande fracasso, dopo aver lanciato un’altra e più formidabile nota.

      – Maledetto! – gridò Koninson – Se aspettava due secondi ancora, gli tagliavo i tendini e l’arteria della coda.

      La lenza filava rapidissimamente, anzi tanto che si dovette bagnare il bordo della baleniera affinchè per il continuo strofinio non si accendesse. Ben presto fu quasi tutta finita; Koninson ne aggiunse un’altra.

      – Per mille, boccaporti! – gridò il fiociniere. – Vuol scendere all’inferno?

      – Pazienza, – Koninson – disse il tenente. Ricomparirà, te lo dico io.

      Mezzo minuto dopo la lenza cessò di filare.

      – Ehi, mastro Widdeak, sta bene attento! – gridò il tenente. – Il cetaceo apparirà vicino alla tua baleniera.

      – Lo riceveremo, come si deve! – rispose il mastro.

      – Eccolo!