non rispose; immobile come una statua di bronzo, egli fissava la giovanetta con due occhi che mandavano lampi di ardente bramosia e pareva che più non respirasse.
– Vi sentite male? – chiese il lord, che lo osservava.
– No!… No! – esclamò vivamente il pirata, scuotendosi.
– Allora permettetemi di presentarvi a mia nipote lady Marianna Guillonk.
– Marianna Guillonk!… Marianna Guillonk!… – ripetè Sandokan, con accento sordo.
– Cosa vi trovate di strano sul mio nome? – chiese la giovanetta, sorridendo.
– Si direbbe che vi ha prodotto molta sorpresa.
Sandokan, nell’udire quella voce, trasalì fortemente. Mai aveva udito una voce così dolce accarezzare i suoi orecchi, abituati all’infernale musica del cannone e alle urla di morte dei combattenti.
– Nulla vi trovo di strano – disse con voce alterata. – Gli è che il vostro nome non mi giunge nuovo.
– Oh! – esclamò il lord. – E da chi lo avete udito?
– Lo avevo già letto prima sul libro che qui vedete e mi ero immaginato che chi lo portava doveva essere una splendida creatura.
– Voi scherzate – disse la giovane lady, arrossendo. Poi, cambiando tono, chiese: – È vero che i pirati vi hanno gravemente ferito?
– Sì, è vero – rispose Sandokan con voce sorda. – Mi hanno vinto e ferito, ma un giorno sarò guarito e allora guai a coloro che mi hanno fatto mordere la polvere.
– E soffrite molto?
– No, milady ed ora meno di prima.
– Spero che guarirete presto.
– Il nostro principe è vigoroso, – disse il lord, – e non mi stupirei di vederlo in piedi fra una decina di giorni.
– Lo spero – rispose Sandokan.
Ad un tratto, egli che non staccava i suoi occhi dal viso della giovanetta, sulle cui gote scorreva di quando in quando una nube rosea, si raddrizzò impetuosamente, esclamando:
– Milady!…
– Mio Dio, cosa avete? – chiese la lady avvicinandosi.
– Ditemi, voi portate un nome infinitamente più bello di quello di Marianna Guillonk, è vero?
– Quale mai? – chiesero ad un tempo il lord e la giovane contessa.
– Sì, sì! – esclamò Sandokan con maggior forza. – Non potete essere che voi la creatura che tutti gli indigeni chiamano la «Perla di Labuan»!…
Il lord fece un gesto di sorpresa e una profonda ruga gli solcò la fronte.
– Amico mio – disse con voce grave. – Come mai voi sapete ciò, mentre mi avete detto che venivate dalla lontana penisola malese?
– Non è possibile che questo soprannome sia giunto fino al vostro paese – aggiunse lady Marianna.
– Non lo udii a Shaja, – rispose Sandokan, che per poco non si era tradito, – ma bensì alle Romades sulle cui spiagge sbarcai giorni sono. Colà mi parlarono d’una fanciulla d’incomparabile bellezza, dagli occhi azzurri, dai capelli profumati come i gelsomini del Borneo; di una creatura che cavalcava come una amazzone e che cacciava arditamente le fiere; di una vaga giovanetta che in certe sere, al tramonto del sole, si vedeva apparire sulle sponde di Labuan, affascinando con un canto più dolce del mormorio dei ruscelli i pescatori delle coste. Ah! milady, anch’io un giorno voglio udire quella voce.
– Tante grazie mi attribuiscono! – rispose la lady ridendo.
– Sì, e vedo che quegli uomini che mi parlarono di voi hanno detto il vero! – esclamò il pirata con slancio appassionato.
– Adulatore – disse ella.
– Mia cara nipote, – disse il lord, – tu stregherai anche il nostro principe.
– Ne sono convinto! – esclamò Sandokan. – E quando lascerò questa casa per tornare nel mio lontano paese, dirò ai miei compatrioti che una giovane donna dei visi bianchi ha vinto il cuore di un uomo che credeva di averlo invulnerabile.
La conversazione durò ancora qualche po’, aggirandosi ora sulla patria di Sandokan, ora sui pirati di Mompracem, ora su Labuan, poi, essendosi fatta notte, il lord e la lady si ritirarono.
Quando il pirata si vide solo, rimase a lungo immobile, cogli occhi fissi sulla porta dalla quale era uscita quella vaga giovanetta. Pareva che fosse in preda a profondi pensieri e ad una viva commozione.
Forse in quel cuore, che fino allora mai aveva provato un battito per alcuna donna, in quel momento imperversava una terribile tempesta. Ad un tratto Sandokan si scosse e qualche cosa, come un suono rauco, gli rumoreggiò in fondo alla gola, pronto a irrompere, ma le labbra rimasero chiuse e i denti si strinsero con maggior forza in un lungo stridio. Egli rimase alcuni minuti lì, immobile, cogli occhi fiammeggianti, il viso alterato, la fronte imperlata di sudore, le mani cacciate entro i folti e lunghi capelli, poi quelle labbra che non volevano aprirsi lasciarono un varco dal quale uscì ratto un nome:
– Marianna!
Poi il pirata non si frenò più.
– Ah! – esclamò egli, quasi con rabbia e torcendosi le mani. – Sento che io divento pazzo… che io… l’amo!…
GUARIGIONE ED AMORE
Lady Marianna Guillonk era nata sotto il bel cielo d’Italia, sulle rive dello splendido golfo di Napoli, da madre italiana e da padre inglese. Rimasta orfana a undici anni ed erede di una cospicua sostanza, era stata raccolta da suo zio James, l’unico parente che allora si trovasse in Europa.
In quei tempi James Guillonk era uno dei più intrepidi lupi di mare dei due mondi, proprietario di una nave armata ed equipaggiata da guerra, onde cooperare con James Brooke, diventato più tardi rajah di Sarawack, all’esterminio dei pirati malesi, terribili nemici del commercio inglese in quei lontani mari. Quantunque lord James, ruvido come tutti i marinai, incapace di nutrire un’affezione qualsiasi, non provasse tenerezze soverchie per la giovane nipote, piuttosto di affidarla a mani straniere, l’aveva imbarcata sul proprio legno conducendola al Borneo ed esponendola ai gravi pericoli di quelle dure crociere. Per tre anni la ragazzina era stata testimone di quelle sanguinose battaglie, nelle quali perivano migliaia di pirati e che diedero al futuro rajah Brooke quella triste celebrità che commosse profondamente e indegnò i suoi stessi compatrioti.
Un giorno però lord James, stanco di carneficine e di pericoli, forse ricordandosi di avere una nipote, aveva abbandonato il mare e si era stabilito a Labuan, seppellendosi sotto i grandi boschi del centro.
Lady Marianna, che toccava allora il quattordicesimo anno, e che in quella vita perigliosa aveva acquistata un fierezza ed energia unica, quantunque sembrasse un’esile bambina, aveva cercato di ribellarsi ai voleri dello zio, credendo di non potersi abituare a quell’isolamento e a quella vita quasi selvaggia, ma il lupo di mare, che pareva non nutrisse molta affezione per lei, era rimasto inflessibile.
Costretta a subire quella strana prigionia, si era interamente data a completare la propria educazione, che fino allora non aveva avuto tempo di curare. Dotata di una tenace volontà, a poco a poco aveva modificato gl’impeti feroci, contratti in quelle aspre e sanguinose battaglie, e quella ruvidità contratta nel continuo contatto colla gente di mare. Era così diventata una appassionata cultrice della musica, dei fiori, delle arti belle, mercé le istruzioni di un’antica confidente di sua madre, spenta più tardi dall’ardente clima tropicale. Col progredire dell’educazione, pur conservando in fondo all’anima qualche cosa dell’antica fierezza, era diventata buona, generosa, caritatevole.
Non aveva abbandonata la passione per le armi e gli esercizi violenti, e ben spesso, indomita amazzone, percorreva i grandi boschi, inseguendo perfino le tigri, o pari ad una najade si tuffava intrepidamente nelle azzurre onde del mar Malese; ma più sovente si trovava là ove la miseria o la sventura infieriva, recando