Fabrizio Sebastian Caleffi

Lo Sceriffo Di Lodz Al Kafka Cafè


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fatto, i Totenkopf, le SS addette alla sorveglianza dei forni, cominciarono a ronzare intorno alla baracca, Landau pensò che von Witt si fosse dimenticato della sua promessa o avesse mentito per crudeltà congenita e che quindi stesse per finire in fumo. Si sbagliava. Prìmo ìntervento dell'Autore: per sapere che cosa c'entrano Kafka e ìl football e che cosa sìano statì l'Hakoah FC e ìl Gìudaìsmo Muscolare dovete aspettare ancora un po'; per ora accontentatevì dì sapere che Franz fu un fan (come dìcono ìn Amerìka) della squadra dì soccer (come sì dìce neglì States), dove nel frattempo cì trasferìamo.

       In una New York in bianco e nero, la Quinta Strada è un canyon, il Gran Canyon di una scenografia hollywoodiana prima che si accenda la lucetta rossa del SI GIRA. Perché per un esule europeo tutta l'America è il Far West. I cavalli del Central park trascinavano diligenze tra le ombre rosse downtown. Su una di queste carrozze, si trovava o immaginava di trovarsi qualcuno che si sentiva oppure si sforzava di sentirsi l'ultimo sceriffo in città. Pioveva o poteva piovere da un momento all'altro. C'era ancora chi si portava addosso e portava in giro nei bar una cert'aria da reduce, a pochi anni dalla fine dell'ultima guerra e dall'inizio della successiva. Guerra e Pace: qualcuno cercava di leggere nella sotterranea. Altri sniffavano puzza di violenza carnale, oppure di gomma accuratamente masticata. Plop e il palloncino al sapor di fragola scoppiò come una pustola, come un'afta sanguinante su labbra tagliate. La carrozza stava risalendo la corrente cittadina per tornare al Central park. New York city in un pomeriggio di pioggia, o di pioggia spiovuta. Gente che non deve o non può incontrarsi. Quanto e su chi puntiamo alla terza corsa a Belmont? Secondo ìntervento: non è ancora ìl momento per la squadra dell'Hakoah, fondata da seguacì del Gìudaìsmo Muscolare teorìzzato dal dottor Max Nordau, dì scendere ìn campo; prìma dì tornare nel campo, aggìungo che “Kafka cafè” è ìl tìtolo dì una mìa pìèce andata ìn scena nel secolo scorso a Mìlano con Paolo Rossì nel ruolo dì Franz (notare la somìglìanza fìsìca) e Lucìa Vasìnì ìn quella dì Mìlena; ìo fìrmavo anche la regìa e sostennì ìl ruolo della Mamma dì Kafka.

       Non solo Moritz Landau, ma quasi tutti gli occupanti della baracca là al campo furono risparmiati. Ci pensava l'ufficiale von Witt a tener lontani, per così dire, i cani. Moritz Landau continuava a mormorare la sua storia dello Sceriffo di Lodz. Soltanto l'ungherese di Pest lo stava ancora a sentire. A lui Landau l'aveva detto dove lo portava quasi ogni notte Heimito von Witt e che gli faceva fare nell'ufficio del comando: lo costringeva a battere a macchina il suo racconto. Il magiaro s'era tenuto per sé l'informazione. In qualunque luogo e in qualsiasi circostanza, una buona informazione può sempre tornare utile.

      

      

       Lo Sceriffo di Lodz Moshele Jacobi, figlio del Rabbi, a gambe larghe, decisamente sceriffe, piazzato nel bel mezzo della strada, ne sentì rimbombare la pavimentazione e il suono per lui era quello degli zoccoli dei cavalli mustang – non che ne avesse mai visto o sentito uno. Carezzò la stella di pezza cucita in petto, dalla parte del cuore. Si frugò furtivamente in tasca, tormentando un'immaginaria coppia di Colt, poi, all'approssimarsi dell'esercito, trasformò il gesto in uno sfregamento apotropaico dei coglioni. Alle spalle piombarono i soldati. Le gambe gli dicevano di darsela a gambe, ma uno sceriffo non scappa. Moshele, figlio di Sara, si girò a fronteggiare i tedeschi. Non portava il bracciale, ma, secondo le disposizioni modificate dall'Einsatzkommando, la stella cucita sul petto.

       Arrivano, arrivano! Arriva l'Armata Rossa, arrivano i russi. Arrivano a liberare il campo, ma l'ha già liberato la morte. Le guardie sono scappate. Non tutte le guardie sono fuggite. Le SS Totenkopf, predisposte alla gestione dei forni, per far funzionare i quali non c'era più tempo di usare lo zyclon, hanno riempito le docce e le hanno fatte saltare con la dinamite. Quindi si sono tolti di mezzo con il cianuro: ognuno aveva il suo anello. I sovietici, varcati i cancelli, s'arrestarono, turbati, non spaventati, riconoscendo l'afrore apocalittico che avevano inalato a Leningrad sotto assedio per tre anni.

       Flash back: lo Sceriffo era là, a gambe divaricate, nel bel mezzo della Jakuba strasse. Davanti a lui, la Gestapo: una ronda. Nessuno che portasse addosso la stella poteva farsi trovar per strada a quell'ora, pena la morte. Se un malcapitato veniva malauguratamente sorpreso, si dava a fuga precipitosa, pur sapendo che non sarebbe riuscito ad evitare una mitragliata alle spalle. Dunque, che ci faceva questo grosso beota a gambe divaricate nel bel mezzo della carreggiata? Abituato a inseguire fuggiaschi pazzi di terrore, il graduato di polizia si sentì disorientato. Ordinò l'alt ai suoi. Si fece avanti da solo. "Lo sai" disse " che stai per morire?" "Solo se sei più veloce di me ad estrarre la pistola" pensò l'uomo con la stella gialla. Mentre così pensava Moshele, fu il tedesco a puntargli l'arma alla tempia. Dietro di lui, i suoi militi fecero scattare la sicura. Il giovane confuse e complicò il suo pensiero: se erano stati loro ad imporgli la stella, allora avrebbero dovuto riconoscerlo. Perciò disse: "Sono lo Sceriffo di Lodz". E abbracciò virilmente la Gestapo. Ripresosi dallo sconcerto, il graduato stava per premere il grilletto e fulminare Moshele, ma qualcosa gli s'inceppò, allora si rivolse agli altri e disse: - Questo giudeo sostiene di essere lo Sceriffo di Lodz -.

       Poi, non sapendo come continuare, rise. Risero tutti i tedeschi, abbassando i mitra. Qualcuno aveva spiato la scena, seminascosto dietro le finestre sulla strada. Era cominciata così la leggenda dello Sceriffo di Lodz.

       Entrati nel campo, i russi trovarono ben pochi prigionieri in vita e solo due di loro erano parlanti. La leggenda dello Sceriffo che teneva testa ai nazisti facendosi beffa di loro si diffuse nel ghetto di Lodz. Qualcuno cominciò a riferirsi a lui chiamandolo “il nostro Golem”, altri, i vecchi, insinuavano che fosse una sorta di dybbuk. Il padre di Moshele, il Rabbi, non si faceva quasi più vedere in giro. Alla moglie Sara chiedeva con insistenza se avesse sentito associare il suo nome a quello di Rabbi Low, il creatore del Golem di Praga. E rabbrividiva Jacobi, rabbrividiva ricordando come fosse andata a finire con la Creatura praghese, che, ribellatasi a Low, era stata da lui privata del soffio vitale contenuto nella tavoletta d’argilla infilata sotto la lingua e, tornato fango, franandogli addosso, l’aveva sepolto, in sostanza morendo con lui. Moshele Jacobi tornava raramente in famiglia. Quando lo faceva, suo padre si tirava la barba fino a strapparsela. Terzo ìntervento: dì nuovo oltre oceano, dove ando' ìn tournèe anche la squadra dell'Hakoah, ottenendo un concorso dì pubblìco da record per un evento dì soccer neglì States, record tutt'ora ìmbattuto o quasì.

       New York, NY, giugno, 25, 1950. Sereno variabile. Oggi, profittando delle condizioni atmosferiche in quell’area geografica, pioggia intensa, la Corea del Nord invade la Corea del Sud a Kaesong. Chi è Morris Land e che cosa sta aspettando in un angolo poco illuminato di una cafeteria al Village? Il sapore della birra, la schiuma, schiuma di birra, passi, può passare, fino a quando uno scambio di battute non le dà un retrogusto tossico, da acido prussico e un allucinante effetto ottico trasforma un neon intermittente sopra al bancone nella scritta luminosa ZYKLON B. Chi è Morris Land e da quanto tempo credeva di aver dimenticato il tedesco? E’ in bocca a quella studentessa seduta di spalle nel separè del caffè giù al Village che stride di nostalgia. E quando la ragazza si volta, sentendosi osservata, il suo sguardo interrogativo e innocentemente seduttivo flette il Morris in Moritz. Due giorni dopo, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è in riunione: è in discussione la Corea. Nel frattempo, il V stormo Usaf abbatte tre aerei della Corea del Nord e il Presidente Truman si appresta ad ordinare ufficialmente l’intervento. Siamo alla Russian Tea Room, 145 W. 57thSt. : non è un locale dove ci si aspetterebbe d’incontrare un personaggio dall’aspetto e con i comportamenti di Morris Land. Non meno curiosa è la figura di Truman, che, appena entrato, si sta guardando intorno. Prima di richiamare la sua attenzione, Mr.Land lo osserva con il suo unico occhio buono. Messo a nudo, il putto grottesco e geniale sembra fisicamente prodotto dal suo stesso cervello. Ecco, ora Morris si appalesa. Con l’autore del racconto “Miriam”, per il quale quattro anni prima ha vinto l’O.Henry Award, premio prestigiosissimo, lo sfigurato parlerà di narrativa.