accorse che le ferite avevano la stessa forma dei segni a terra.
“Porter” chiamò.
“Che c’è?” rispose lui, chiaramente seccato di essere stato interrotto.
“Mi sa che ho trovato le impronte dell’arma.”
Porter esitò per un istante, quindi raggiunse Mackenzie nel punto in cui ara accucciata a terra. Nel chinarsi si lamentò e lei sentì la cintura che scricchiolava. Aveva almeno venti chili di troppo, che diventavano sempre più evidenti mano a mano che si avvicinava ai cinquantacinque anni.
“È una specie di frusta?” domandò.
“Così pare.”
La detective esaminò il terreno, seguendo con lo sguardo i segni nella sabbia fino al palo, poi notò qualcos’altro. Si trattava di qualcosa di minuscolo, così piccolo che le era quasi sfuggito.
Camminò fino al palo, facendo attenzione a non toccare il corpo prima che la Scientifica avesse fatto il suo lavoro. Si accovacciò di nuovo si sentì schiacciare dal peso del calore pomeridiano. Senza scoraggiarsi, avvicinò la testa al palo, così tanto che quasi lo toccava con la fronte.
“Che diavolo stai facendo?” chiese Nelson.
“C’è inciso qualcosa qui” gli rispose. “Sembrano dei numeri.”
Porter si avvicinò per verificare, ma stavolta fece di tutto per non doversi chinare. “White, quel pezzo di legno avrà vent’anni” replicò. “E l’incisione sembra altrettanto vecchia.”
“Può essere” rispose Mackenzie. Ma non lo credeva affatto.
Avendo già perso interesse nella scoperta, Porter tornò a parlare con Nelson, confrontando le informazioni che aveva ottenuto dal contadino che aveva scoperto il cadavere.
Mackenzie prese il cellulare e scattò una foto ai numeri, poi ingrandì l’immagine facendoli diventare più leggibili. Osservandoli così da vicino ebbe di nuovo la sensazione che quello fosse l’inizio di qualcosa di molto più grande.
N511/G202
Quei numeri non le dicevano niente. Forse aveva ragione Porter. Forse non significavano assolutamente niente. Forse erano stati incisi dal boscaiolo che aveva tagliato il palo. Forse era stato un ragazzino annoiato a scolpirli anni fa.
Eppure, c’era qualcosa che non andava.
Anzi, tutto sembrava non andare.
E lei sapeva, nel suo cuore, che era soltanto l’inizio.
CAPITOLO DUE
Mackenzie avvertì un nodo allo stomaco quando guardò fuori dal finestrino e vide un mucchio di truppe televisive e reporter che si accalcavano per accaparrarsi il posto migliore, in attesa di assalire lei e Porter non appena avessero raggiunto il distretto. Mentre Porter parcheggiava, vide molti giornalisti avvicinarsi percorrendo di corsa il prato, seguiti a ruota dai cameraman.
Mackenzie vide che Nelson era già all’ingresso, intento a tenerli a bada in qualche modo, con un’aria agitata e imbarazzata. Anche a distanza si vedeva il sudore che gli imperlava la fronte.
Quando scesero dalla macchina, Porter si avvicinò a Mackenzie, facendo in modo che non fosse lei la prima detective che i media avrebbero visto. Quando le fu accanto, disse “Non dire niente a questi succhia sangue.”
Sentì un’ondata di indignazione a quel commento superfluo.
“Lo so, Porter.”
Il corteo di giornalisti e telecamere li raggiunse. Almeno una dozzina di microfoni spuntavano dalla calca, puntati sulle loro facce mentre passavano. Le domande giungevano alle loro orecchie come un ronzare di insetti.
“I figli della vittima sono già stati avvertiti?”
“Qual è stata la reazione del contadino quando ha rinvenuto il cadavere?”
“Si tratta di un caso di violenza sessuale?”
“È opportuno assegnare un caso del genere a una donna?”
L’ultima domanda punse Mackenzie sul vivo. Certo, sapeva che stavano solo cercando di provocare una reazione, nella speranza di ottenere un’esclusiva di venti secondi per l’edizione pomeridiana del telegiornale. Erano solo le quattro; se facevano in fretta, potevano avere un bel pezzo per l’edizione delle sei.
Mentre entrava varcando le porte, l’ultima domanda le rimbombava in testa come un tuono.
È opportuno assegnare un caso del genere a una donna?
Le tornò in mente Nelson che leggeva con voce completamente priva di emozioni le informazioni su Hailey Lizbrook.
Certo che lo è, rifletté Mackenzie. Anzi, è fondamentale.
Quando furono infine all’interno del distretto, le porte si chiusero dietro di loro. Finalmente in silenzio, Mackenzie emise un respiro di sollievo.
“Sanguisughe del cazzo” sbottò Porter.
Adesso che non era più davanti alle telecamere aveva abbandonato la sua spavalderia. Oltrepassò lentamente il bancone della reception e si diresse verso il corridoio che conduceva alla sala conferenze e agli uffici. Sembrava stanco, pronto a tornarsene a casa e chiudere con il caso.
Mackenzie entrò per prima nella sala conferenze. C’erano molti altri agenti seduti a un grande tavolo, alcuni in uniforme, altri in abiti civili. Data la loro presenza e l’improvvisa apparizione delle troupe televisive, Mackenzie capì che la storia era già trapelata nelle due ore e mezza che le ci erano volute per lasciare l’ufficio, raggiungere il campo e tornare indietro. Non si trattava più soltanto di un raccapricciante omicidio qualsiasi; adesso era diventato uno spettacolo.
Mackenzie afferrò una tazza di caffè e prese posto al tavolo. Qualcuno aveva già distribuito dei fascicoli con le poche informazioni che erano state raccolte sul caso. Mentre dava un’occhiata al suo, altre persone entrarono nella stanza. Arrivò anche Porter, che sedette all’altro capo del tavolo.
Mackenzie si concesse un attimo per controllare il cellulare e scoprì di avere otto chiamate perse, cinque messaggi vocali e una dozzina di email. Era un duro promemoria del fatto che era già oberata di lavoro prima di essere mandata nel campo di granoturco quella mattina. La triste ironia era che, mentre i suoi colleghi più anziani passavano un sacco di tempo a umiliarla e lanciarle velati insulti, avevano anche compreso il suo talento. Il risultato era che le venivano assegnati più casi che a chiunque altro della squadra. Tuttavia, finora non era mai rimasta indietro e aveva una percentuale eccezionale di casi risolti.
Pensò di rispondere ad alcune delle email nell’attesa ma, prima che potesse farlo, il capitano Nelson entrò e si affrettò a richiudere la porta dietro di sé.
“Non so come abbiano fatto i media a scoprire il caso così in fretta” ringhiò, “ma se scopro che il responsabile è qualcuno in questa stanza, saranno guai seri.”
Sulla stanza calò il silenzio. Alcuni agenti iniziarono a scorrere nervosamente i contenuti del fascicolo che avevano davanti. Anche se a Mackenzie Nelson non piaceva granché, non si poteva negare che la sua presenza e la sua voce bastassero a tenere tutti i presenti sotto controllo senza sforzo.
“Ecco il punto della situazione” disse Nelson. “La vittima è Hailey Lizbrook, una spogliarellista di Omaha. Trentaquattro anni, due figli di nove e quindici anni. Da quello che siamo riusciti a capire, è stata sequestrata prima di iniziare il turno, infatti il suo datore di lavoro afferma che non si è presentata quella sera. Il video di sorveglianza del Runaway, il posto dove lavora, non ha mostrato nulla. Per questo partiamo dal presupposto che sia stata rapita da qualche parte tra il suo appartamento e il Runaway. Parliamo di un’area di dodici chilometri – sul posto sono già al lavoro le squadre della polizia di Omaha.”
Poi guardò Porter come se fosse il suo allievo migliore e disse: