DICIOTTO
PROLOGO
Jerry Hilyard imboccò il vialetto di casa con la sua Mercedes Benz poco dopo l’una di quella domenica pomeriggio e fece un ampio sorriso. Non c’era niente di meglio che lavorare in proprio e poter dichiarare conclusa la giornata lavorativa quando meglio credevi.
Jerry pregustò di vedere l’espressione sorpresa della moglie quando le avrebbe detto che voleva portarla a pranzo fuori. Avrebbe preferito un brunch, ma sapeva che, con tutta probabilità, in mattinata Lauren avrebbe ancora avuto i postumi della sbornia della sera prima. Era rimasta fuori fino a tardi, dopo essere andata, per motivi che Jerry ancora non comprendeva, alla rimpatriata ventennale delle scuole superiori. Per ora di pranzo sarebbe probabilmente stata meno irritabile, e magari se la sarebbe sentita anche di unirsi a lui per un paio di Bloody Mary.
Sorrise al pensiero della bella notizia che avrebbe condiviso con lei: stava progettando una fuga per due in Grecia. Solo lui e lei, senza i ragazzi. Sarebbero partiti il mese successivo.
Jerry giunse alla porta d’ingresso con la ventiquattr’ore in mano, eccitato per come sarebbe potuto andare il pomeriggio. Era chiusa a chiave, ma non era insolito. Lauren era sempre stata una donna diffidente, persino in un quartiere benestante come il loro.
Jerry aprì la serratura e subito andò in cucina a versarsi un bicchiere di vino. Si accorse di non sentire il televisore in camera da letto; la casa era silenziosa come quando se n’era andato. Forse la sbornia non le era ancora passata.
Si domandò come fosse andata la serata. Quella mattina non gliene aveva parlato molto. Lui e Lauren erano stati nella stessa classe all’ultimo anno, ma Jerry detestava sciocchezze sentimentali come le rimpatriate. In fondo, il tutto era solo una scusa per ritrovarsi dopo dieci o vent’anni e fare a gara a chi se la passava meglio. Tuttavia, una volta che le amiche di Lauren erano riuscite a convincerla ad andare alla festa, era sembrata eccitata all’idea di rivedere i vecchi compagni di classe. O almeno, quella era stata la sua impressione. Invece, a giudicare dalla quantità di alcolici che aveva ingurgitato, doveva essere stata una serata spiacevole.
Erano questi i pensieri che sfilavano nella mente di Jerry mentre percorreva il corridoio del secondo piano che portava alla camera da letto. Giunto davanti alla porta, si immobilizzò.
C’era troppo silenzio.
Certo, c’era da aspettarselo, se Lauren aveva davvero preferito dormire piuttosto che guardarsi qualche serie su Netflix. Ma quel silenzio era diverso... una totale assenza di movimenti, per niente normale. Era un silenzio quasi assordante – quasi tangibile.
C’è qualcosa che non va, pensò.
Era un’idea spaventosa, ma Jerry si affrettò ad aprire la porta. Doveva sapere, doveva controllare che...
Controllare che cosa?
Ciò che vide in un primo momento fu tutto il rosso. Sulle lenzuola, sulle pareti... un colore rosso così denso e scuro da apparire nero in certi punti.
Un grido si fece strada nei suoi polmoni e nella sua gola. Non sapeva se correre da lei o di sotto, a prendere il telefono.
Alla fine non fece nessuna delle due cose. Le gambe gli cedettero e si ritrovò a terra, gridando e tempestando di pugni il pavimento, cercando di dare un senso alla terrificante scena che aveva davanti agli occhi.
CAPITOLO UNO
Chloe si concentrò, focalizzando lo sguardo sulla canna della pistola, quindi sparò.
Il rinculo fu delicato, lo scoppio leggero e quasi pacifico per lei. Inspirò profondamente e sparò di nuovo. Era facile; adesso le veniva naturale.
Non riusciva a vedere l’obiettivo dall’altra parte del poligono, ma sapeva di aver fatto due buoni tiri. Ormai era in grado di farsi un’idea di cose del genere, e sapeva che era un segnale che stava diventando un vero e proprio agente. Era più a suo agio con la pistola, e il calcio e il grilletto le erano familiari quanto le sue stesse mani, quando riusciva a raggiungere la massima concentrazione. In passato andava al poligono quasi per dovere, per tentare di migliorare. Adesso, invece, le piaceva. Le procurava un senso di libertà e una strana liberazione, pur trattandosi soltanto di sparare ad un bersaglio di carta.
Dio solo sapeva quanto avesse bisogno di sentirsi così, ultimamente.
Le ultime due settimane al lavoro erano state fiacche, e Chloe non aveva avuto molto da fare, a parte aiutare i colleghi a raccogliere informazioni e fare ricerche. Era quasi stata coinvolta per aiutare una squadra in un’operazione anti-hacker e la cosa l’aveva eccitata fin troppo, facendole capire quanto le cose andassero a rilento ultimamente.
Ecco perché era finita al poligono. Non era necessariamente il suo modo ideale di passare il tempo, ma sapeva di aver bisogno di pratica. Nonostante durante gli studi all’accademia fosse stata tra i migliori della sua classe, essere trasferita dalla Squadra Ricerca Prove al Programma Criminali Violenti le aveva fatto capire che doveva sempre essere al meglio di sé.
Mentre sparava un’altra raffica di colpi contro il bersaglio a una cinquantina di metri di distanza, capì come mai le persone potessero essere attratte da quell’attività. Eri completamente solo: tu, la tua arma e il bersaglio nel mirino. C’era qualcosa di molto zen in tutto ciò, con tutta la concentrazione richiesta. E poi c’era il suono dello sparo che riecheggiava. Una cosa che Chloe aveva imparato passando il suo tempo al poligono era quanto potesse essere fluida la relazione tra il corpo umano e una pistola. Quando era concentrata, la Glock le sembrava un prolungamento del braccio, qualcosa che poteva controllare con la mente, proprio come controllava i movimenti delle dita e delle braccia. Era un allarmante esempio del perché dovesse impugnare la sua arma solo se assolutamente necessario: quando sei addestrato a usare una pistola, può diventare fin troppo naturale premere il grilletto.
Al termine della sessione, raccolse i bersagli e fece il punto. Aveva un numero sorprendente di colpi finiti al centro del bersaglio, ma alcuni erano più esterni, quasi al margine della sagoma.
Scattò alcune foto ai bersagli con il cellulare e prese degli appunti, per poter migliorare la volta successiva, quindi gettò le sagome di carta e si avviò verso l’uscita. Mentre camminava, scoprì un’altra sensazione che immaginava fosse allettante per quelli che passavano un sacco di tempo al poligono di tiro: le mani e i polsi le vibravano per il rinculo dei colpi sparati. La sensazione era strana ma al tempo stesso piacevole, in un modo che non avrebbe saputo descrivere.
Stava uscendo dall’edificio quando vide un volto familiare entrare dalla porta. Era Kyle Moulton, l’uomo che le era stato assegnato come partner e che non aveva visto granché nelle ultime settimane, a causa della mancanza di casi su cui lavorare. Quando le rivolse un sorriso smagliante, Chloe provò un istante di panico da ragazzina.
“Agente