Dawn Brower

Saluta Il Mio Cuore Con Un Bacio


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in fretta questa faccenda di Lana. “Tienimi informato” disse. “Voglio che mi contatti appena saprai qualcosa. Non m’importa che ora o che giorno è”.

      “Certo” disse Wilson. “Faro in modo che riceva rapporti regolari su tutto ciò che scoprirò nel corso dell’indagine. Ora devo analizzare molti documenti. Buona giornata”. Con ciò Wilson uscì dall’ufficio portandosi con sé le cartelle.

      Quando venne chiusa la porta, Sullivan prese a ronzare nella stanza come se fosse stato una tigre in gabbia. Forse se fosse andato in palestra sarebbe stato in grado di sfogarsi. Dubitava però che sarebbe stato abbastanza per buttare tutto fuori, ma almeno sarebbe stato ciò che gli serviva per rilassarsi. Guardò fuori dalla finestra verso il centro di Envill. La città in cui vivevano non era grande, ma nemmeno troppo piccola. Avevano tutto ciò che serviva: ospedale, comando di polizia, ed alcune grandi compagnie. Se qualcuno avesse voluto sarebbe ancora stato possibile perdersi, ed allo stesso tempo Evill trasmetteva la sensazione di una piccola città in cui si potevano incontrare casualmente delle conoscenze.

      “Che cosa succede? Sembri pensieroso”. Il suono della voce di sua sorella lo riportò al presente. Si voltò per guardarla, e le rivolse un sorriso.

      “Niente di cui tu ti debba preoccupare. Lavoro”. Ed il mondo che crollava attorno a sé—nonostante non l’avrebbe mai ammesso.

      “Eppure ho dei dubbi” disse Dani. “Ti rendi conto che non devi farti carico del peso del mondo da solo, vero?”

      Non le avrebbe mai sottoposto nessun problema. Aveva avuto una vita difficile e sarebbe dovuta essere coccolata. Dani forse si credeva dura e capace, ma per Sullivan sarebbe sempre stata la sorellina che aveva perso. La sua scomparsa l’aveva reso l’uomo che era, e non poteva cambiare nemmeno se l’avesse voluto. La maggior parte del tempo gli piaceva chi era, ed il resto del mondo sarebbe potuto andare all’inferno.

      “Ma io lo faccio meglio degli altri” rispose lui in tono arrogante. “Perché mai dovrei dare a qualcun altro l’opportunità di svolgere un lavoro inferiore?”

      Dani si portò i capelli scuri dietro l’orecchio e gli rivolse un’occhiata. “Il tuo fascino non funziona su di me, quindi piantala”.

      Lui si portò la mano sul petto e disse, “così mi ferisci”.

      Il suono della risata di sua sorella aleggiò nella stanza. Adorava vederla felice, e sperava che nient’altro la ferisse mai più. Un uomo malvagio le aveva sparato due mesi prima ed era quasi morta. Sullivan credeva che niente sarebbe mai riuscito a spaventarlo, almeno fino a quando l’aveva vista coricata a terra con la camicia madida di sangue ed il respiro irregolare. Poi, in poche settimane, aveva provato lo stesso terrore guardando Lana in un letto d’ospedale. Era abbastanza per far riconsiderare tutte le decisioni prese durante la vita di un uomo. Peccato che fosse già un leopardo, e le sue macchie rimanevano esattamente dove avevano sporcato la sua anima. Non poteva cambiare la persona che era diventato, ma poteva iniziare a fare le cose diversamente con le persone che per lui erano importanti.

      “Hai la pelle più spessa di così” disse Dani con un accenno di umorismo nella voce. “In realtà sono sorpresa di vederti qui. Ti pensavo all’ospedale con Lana”.

      Sullivan si corrucciò. La maggior parte delle persone non avevano notato quanto tempo trascorreva all’ospedale. Rimaneva nell’ombra e non interagiva con nessuno. Eppure Dani l’aveva visto la notte in cui Lana era stata ricoverata. Da sola aveva assistito al suo stress, ed aveva fatto in modo di controllarlo ogni giorno dopo l’incidente.

      “Lana non ha bisogno di me” rispose lui rigidamente. “L’ha reso perfettamente chiaro quando ha aperto gli occhi l’altro giorno”.

      “Ma tu hai bisogno di lei, vero?” domandò Dani dolcemente. “Perché non le dici ciò che provi?”

      E fare in modo che lei lo annienti in mille pezzi con quella sua lingua da vipera? Avrebbe preferito vivere un po’ più a lungo e combattere un giorno in più. “Ho cercato di convincerla a trascorrere la convalescenza alla villa” rispose invece. “Sua madre è preoccupata per lei, e la tranquillizzerebbe avere Lana vicino. Ovviamente ha detto di no”.

      Dani s’accomodò sulla sedia di fronte alla scrivania di Sullivan ed accavallò le gambe. Poi unì le mani in grembo ed alzò lo sguardo su di lui. “Siediti” ordinò. “Forse con gli altri sei in grado di deviare l’argomento, ma come ho detto prima, io sono immune”.

      Sullivan le rivolse un’occhiata. Non era abituato ad avere qualcuno che gli desse degli ordini come si fa con un bambino. Non avrebbe lasciato che la sua sorellina fosse la prima a farlo. “Ho molto da fare. Perché non mi dici il motivo della tua visita, e poi possiamo entrambi proseguire con la nostra giornata”.

      “Non funziona con me” gli disse. “Non me ne andrò fino a che non ti sarai aperto con me”.

      Sullivan si sedette alla poltrona come gli aveva chiesto di fare lei, ma non significava che si sarebbe aperto esponendole tutti i suoi segreti. Alcune cose era meglio se lasciate sepolte. “Non hai un matrimonio da pianificare?”

      “Siobhan sta gestendo tutto” disse. “Ha reso le cose molto più semplici per me. Tutto ciò che ho dovuto fare è stato scegliere il vestito e beh, ricordare di presentarmi quando arriverà il giorno”.

      “È una cosa diversa rispetto a quando hai accettato che i tuoi genitori ti aiutassero” rispose lui con fare divertito. “Che cosa ti ha fatto cambiare idea?” doveva farla parlare di qualcosa tranne che di sé stesso. Il matrimonio era un bell’argomento per cominciare. Il desiderio di parlare dei propri sentimenti si trovava nello stesso posto in classifica con il tagliarsi le vene.

      “Sono stata testarda” disse, e sospirò. “Me ne rendo conto ora. Il matrimonio mi ha dato l’opportunità di conoscere Malachi e Siobhan. Sono brave persone”.

      I loro genitori erano molto più che brave persone. Erano meravigliosi, gentili e fantastici. Non esistevano veramente sufficienti termini per descriverli. Nonostante la tragedia di perdere Dani da bambina, non si erano mai veramente disperati. Avevano ancora Sullivan ed avevano fatto del proprio meglio per mantenere le cose nel modo più normale possibile. Erano diventati un po’ iperprotettivi, ma l’aveva gestita.

      “Puoi chiamarli Mamma e Papà” disse Sullivan. “A loro piacerebbe se lo facessi”.

      “Forse lo farò, con il tempo” rispose lei. “Non sono ancora pronta”.

      La comprendeva. Al suo posto non era sicuro che sarebbe stato altrettanto tollerante. Di natura, Sullivan era scettico in merito al mondo che lo circondava. “Hai detto che non credevi di trovarmi qui. Che cosa ti ha portato alla Brady Blue se non il vedere me?”

      “Mi sono fermata alla fondazione. Volevo radunare delle idee e vedere come funzionano le cose qui”. Arricciò il naso in segno di ripugnanza. “Devo dire che non mi piace molto la donna che la gestisce. È stata un po’ dispettosa”.

      Oh, accidenti…prima l’informazione che gli aveva fornito Wilson, ed ora questo. Stava rimpiangendo l’aver assunto quella strega. Era però altamente qualificata ed era brava nel suo lavoro. Forse era anche più brava di quanto pensasse se aveva scremato il fondo e riempito il proprio conto corrente. Wilson sarebbe dovuto arrivare a fondo della questione. “Forse la dovrò convocare per un colloquio privato. Che cosa ti ha detto?”

      “Sono in grado di vedermela con Colleen O’Callaghan” disse emettendo una risata nasale. “È tutta la vita che ho a che fare con persone come lei. Una stronza bionda e pretenziosa che non si rende conto di chi è. Non ti preoccupare, prima che me ne andrò verrà rimessa in riga. Non commetterà più quell’errore”.

      Le labbra di Sullivan s’inarcarono in alto nel primo vero sorriso del giorno. “Mi piacerebbe assistere alla scena”.

      Alzò gli occhi al cielo. “Se ci fossi stato tu non avrebbe mai tirato fuori gli artigli con me. Si sarebbe sfregata su di te sperando che i suoi ferormoni ti avrebbero attirato ed avresti giaciuto nella sua tana per trascorrere un po’ di tempo insieme”.

      “Ci sono stato, e non lo farò più”