Juan Moisés De La Serna

Il Misterioso Tesoro Di Roma


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velocemente un centinaio di metri quasi senza respirare fino a fermarmi improvvisamente quando la strada terminava, dividendosi in due.

      Guardai ansioso e spaesato da tutte le parti perché non era passato molto tempo da quando avevo sentito quella piccola e non la vedevo da nessuna parte. Non avrebbe potuto correre tanto in così poco tempo come avevo fatto io, quindi avrei dovuto già vederla, anche se a differenza della piazza affollata che avevo appena lasciato qui non riuscivo a vedere nessuno.

      Sarebbe stato molto utile chiedere a qualsiasi viandante se avesse visto una bambina passare di lì, ma non trovando nessuno, non sapevo cosa fare, avrei potuto dirigermi verso una o l’altra strada, ma fino a dove? Per quanto tempo avrei continuato la mia ricerca?

      Anche se non sapevo nulla di quella bambina, pensare che potesse essere in pericolo era decisamente preoccupante e non volevo tornare indietro, ma era inutile continuare a correre indefinitamente per queste strade.

      Sarebbe potuta sparire solo se fosse stata presa in braccio, perché non vedevo nessun altra possibilità poiché non sarebbe arrivata così lontano e così velocemente con i suoi piedi.

      Tornai sui miei passi piuttosto abbattuto e preoccupato, deluso per non essere stato in grado di aiutarla, con il fiato rotto per lo sforzo e vidi che verso la metà della via c’era una piccola porta che non avevo notato mentre correvo.

      Percorsi di nuovo nervosamente la strada dall’inizio per vedere se ci fossero altre aperture e non ne trovai nessun’altra, “È possibile che l’abbiano portata qui?” Mi chiesi di fronte alla piccola porta che mi arrivava un po’ al di sopra del petto.

      Misi le mani su quel vecchio cancello di legno, gonfio per l’umidità e spinsi per vedere se cedeva, perché non aveva né batacchio né chiavistello. Dopo diversi tentativi, cedette e si aprì facendo un fastidioso stridio, come le biciclette vecchie e piene di grasso quando non vengono usate per un po’ di tempo.

      Mi fermai di fronte a quella cavità oscura decidendo se entrare o no, perché ero sicuro che fosse una proprietà privata a cui nessuno mi aveva invitato ad accedere, ed era improbabile che quella bambina fosse entrata lì perché in quel caso avrei dovuto sentire quel suono particolare, a meno che … la porta non fosse già aperta prima che la prendessero.

      Infilai la testa per vedere cosa ci fosse dietro questa gonfia porticina di legno vecchio e tutto ciò che riuscii a vedere fu una profonda e immensa oscurità, accompagnata da un intenso odore di umidità, più tipico dei luoghi vicini al mare, nei quali l’umidità prevalente nell’ambiente impregna le pareti, corrodendole e formando salnitro che le scrosta e le sgretola.

      Rimasi lì resistendo al forte odore, aspettando che i miei occhi si abituassero all’oscurità per cercare di individuare qualche oggetto all’interno, mentre provavo a ascoltare un qualsiasi rumore per quanto insignificante che fosse, ma tutto ciò fu vano, nessun suono echeggiò lì dentro, l’unica cosa che potevo sentire era la mia respirazione accelerata e non vidi nulla che non fosse l’oscurità assoluta, quindi dovetti concludere che quella porta conducesse a una stanza chiusa, fredda e umida.

      Ma cosa poteva essere? Forse un vecchio negozio di alimentari o la portineria abbandonata di una casa.

      Con grande attenzione e avvertendo della mia presenza nel caso ci fosse stato qualcuno all’interno di quel luogo sinistro, mi decisi a entrare.

      Per evitare di scontrarmi con qualsiasi oggetto, lasciai la porta aperta, ma non aiutò molto perché quell’oscurità nera si trasformò solo in una fitta penombra dove la mia ombra si proiettava come una sagoma sinuosa e spettrale sulla parete di fondo.

      Dopo essere quasi caduto perché all’ingresso c’erano tre gradini in discesa di cui non mi ero accorto, mi ripresi e cercai di non urtare nulla, camminando molto lentamente fino a quando non andai a sbattere contro un muro.

      Non ci saranno stati nemmeno due metri di distanza dalla porta in fondo alla lugubre stanza e non sembrava esserci altro accesso, un vicolo cieco.

      In nessun modo la ragazza sarebbe potuta entrare lì e anche lo avesse fatto non sarebbe stato volontariamente, ma dove poteva essere? Mi stavano finendo le idee, quindi continuai a esplorare quella piccola stanza, appigliandomi a qualsiasi cosa.

      Con le mani continuavo a toccare ogni centimetro di quella stanza finché non trovai una fessura nella parete, era l’intelaiatura di un’altra porta, che toccai poco dopo.

      Al tatto era ruvida e umida, molto simile a quella che avevo dovuto spingere per accedere a quella stanza cupa.

      Feci scivolare la mano sul davanti cercando di sentire il pomello per aprirla, ma non riuscivo a trovarlo, trovai solo un buco all’altezza dell’ombelico, che immaginavo fosse il buco della serratura.

      Spinsi con forza come avevo fatto con la porta di accesso, ma non si mosse. Dato che non cedeva, pensai che potesse aprirsi verso di me, quindi cercai di tirarla, mettendo le dita come potevo in quella piccola cavità della serratura, ma tutti i miei sforzi furono vani perché nemmeno in questa direzione cedeva.

      Mi abbassai fino all’altezza dell’apertura nella porta, per vedere se almeno potessi vedere qualcosa attraverso e l’unica cosa che riuscii a vedere, in modo abbastanza parziale, fu un cortile quadrato, simile a un chiostro, circondato da colonne erette come sbarre di una prigione.

      Queste sembravano custodire e proteggere i numerosi grandi dipinti appesi alle pareti adiacenti. Nulla che mi aiutasse a identificare il posto, perché case signorili del genere, le avevo già viste diverse volte durante la mattinata, ma non vedevo la ragazza o qualsiasi altra persona a cui chiedere aiuto per spostare quella porta pesante e dovetti rassegnarmi davanti al mio clamoroso fallimento. Sapendo che non avrei potuto fare nulla di più per quella bambina e che i miei compagni di classe, dopo aver terminato la loro visita alla chiesa dove li avevo lasciati, mi avrebbero cercato, tornai quindi nella piazza con la fontana al centro da dove mi ero allontanato.

      Ero ancora preoccupato per la bambina che solo un momento prima di scomparire mi aveva regalato quel delicato fiore, ma allo stesso tempo non ero nemmeno sicuro che le fosse successo qualcosa.

      Tornai dove erano e i miei colleghi mi stavano già aspettando, cercandomi nei dintorni. Dopo averli rassicurati e chiesto loro come fosse stata la loro visita, continuammo in un’altra nuova via e di fronte a noi emerse un vecchio monumento da scoprire.

      Di nuovo rimasi fuori, ma questa volta mi rifugiai all’ombra di un balcone in modo che non mi arrivasse troppo sole.

      Essendo lì, un po’ più calmo, ripreso dalle emozioni provate pochi minuti prima, mi sono ricordato di aver vissuto qualcosa di simile in precedenza, una situazione molto compromettente del mio passato, che pensavo fosse dimenticata, sbiadita nel corso degli anni, ma la ricordai nella mia mente come se la stessi rivivendo in quel preciso momento.

      In quell’occasione sarei dovuto intervenire e non l’ho fatto per paura o codardia, non lo so bene, ma se fosse stato per me si sarebbe salvata.

      Mi riferisco a mia sorella, a quando eravamo piccoli, io non avevo nemmeno sette anni e lei ne aveva circa cinque.

      Era una giornata calda come oggi, nella piscina alla base, alla quale appartenevamo perché nostro padre era un militare. Uscimmo entrambi a mezzogiorno, quando sapevamo che non ci sarebbe stato nessuno in giro, perché gli adulti in quel momento stavano dormendo e noi ne approfittammo per fare il bagno.

      I nostri genitori erano usciti per fare una di quelle visite a cui eravamo tanto abituati, a causa della costante attività sociale di nostra madre, a volte incompatibile con la vita rigida e strutturata di nostro padre, ma è così che lei aveva superato le sue assenze costanti, quando lo assegnavano a missioni diverse per mesi.

      Iniziò come una forma di intrattenimento e a poco a poco iniziò ad occuparle sempre più tempo, fino a diventare una parte importante della sua vita.

      All’inizio era solo un modo per distrarsi, quindi iniziò ad andare una volta a settimana a un innocuo corso di pittura, poi due, poi … allestì una delle stanze come suo studio di lavoro e da lì a diventare professionista fu una questione di tempo e molta pratica, perché aveva l’essenziale, una grande abilità con il pennello e un buon occhio per i dettagli.

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