Charley Brindley

L'Incubatore Di Qubit


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bastone bianco si agitò davanti alla donna. Quando toccò il marciapiede, sentì l’altezza.

      “Se non riesci a vedere, perché indossi gli occhiali da sole?”

      Dopo essere salita sul marciapiede, la donna cercò i suoi occhiali e li tolse.

      “Oh”, disse Monica.

      Gli occhi della donna erano sfere torbide, spaventate e deformi.

      “Vedo cos’è successo. Mi dispiace”.

      “Non esserlo. Grazie per avermi aiutata”.

      “Come ti chiami?” chiese la ragazza.

      “Sono Cindy”.

      Bussarono alla porta dell’ufficio, poi una giovane donna con i capelli rossi sbirciò dentro. “Il suo prossimo appuntamento è qui”.

      Victor tenne gli occhi fissi sul video mentre alzava la mano verso di lei in un gesto come per dire ‘Dì al candidato di aspettare qualche minuto’.

      Catalina fissò la rossa. Orecchini pendenti. Pietre di giada perfettamente racchiuse in oro. Ovali!

      La giovane guardò Catalina, poi fece un cenno a Victor e chiuse la porta.

      Il video tornò all’improvviso sulla figura stilizzata nel primo fotogramma. Iniziò come prima, ma ora, mentre l’animazione progrediva, il bastone bianco era dotato di un cilindro di metallo lucido che si avvolgeva intorno ad esso, vicino all’impugnatura. Un bracciale dal design simile circondava il polso sinistro della donna. Entrambi avevano LED verdi lampeggianti mentre emettevano un leggero bip.

      Quando la donna si avvicinò al marciapiede, spostò il bastone sulla mano destra, quindi sollevò la sinistra, con il palmo in avanti. Il segnale acustico si fece più intenso. Inclinò la testa di lato, poi dopo un momento spostò lentamente il palmo della mano sinistra. Si fermò lì, quindi spostò la mano completamente verso destra.

      La donna cieca aspettò che i rumori del traffico si fermassero, poi tese il palmo della mano alla sua sinistra, apparentemente controllando che le macchine non svoltassero a destra e s’incamminò.

      Soddisfatta che la strada fosse libera, scese dal marciapiede e avanzò con sicurezza, evitando un taxi giallo che si era fermato a metà del passaggio pedonale.

      Presto si trovò dall’altra parte della strada e si avviò verso la sua destinazione.

      Victor si appoggiò allo schienale della sedia mentre Catalina prendeva il suo Ipad, lo girava verso di lei e faceva click sul video.

      “Bello. Capisco il concetto”, disse lui. “Ma non solo richiederà una codifica molto fitta, ma dovrà elaborare l’interfaccia computer-uomo”.

      “So che non sarà facile”.

      “E’ una programmatrice?”

      “Ho fatto io la maggior parte della programmazione del video dimostrativo”.

      “Dove ha imparato a programmare?”

      “Autodidatta”.

      Victor tracciò una linea sul ‘9’ e scrisse ‘10’. “Perché ha bisogno dell’Incubatore di Qubit?”

      “Per un posto di lavoro. E avrò bisogno anche di apparecchiature elettroniche per i test”.

      “Perché non può lavorare a casa?”

      “Condivido un piccolo appartamento con una coinquilina che ama fare feste e molto rumore”.

      “Lei non fa feste e rumore?”

      “In passato”.

      “Quanti anni ha?”

      “Ventidue”.

      “Nessun altro posto dove vivere?”

      “Non posso permettermi un posto per conto mio o l’attrezzatura di cui ho bisogno”.

      “I suoi genitori?”

      “Non è un’opzione valida”.

      “Ha un lavoro?”

      Lei annuì.

      “Quanto guadagna?”

      Catalina esitò, corrugando la fronte mentre fissava una foto sul muro dietro Victor. Era un grande ovale orizzontale contenente geroglifici egiziani. I simboli erano personaggi in rilievo cesellati nella pietra.

      “Lavoro in un bar”. Morire di … Provò a tradurli. “Con extra turni e mance, ne tiro su circa quattromila al mese”. Morire di cosa?

      “E non riesce a trovare un posto per sé con quella cifra?”

      “Ho … uhm … altre spese”. Morire di ricordi … ma qual è l’ultima parte?

      Lui cancellò il ‘10’ e riscrisse ‘8’. “Quali sono?”

      “Perché ha bisogno di sapere tutto questo?”

      “Signorina Saylor, vuole aiuto dall’Incubatore?”

      “Certo che lo voglio”. Sogni!

      “Quindi ho bisogno d’informazioni sufficienti per prendere una decisione. Se lei esagera con il debito della carta di credito e tutto ciò che può fare è effettuare pagamenti minimi, non uscirà mai da quel carico di debito lavorando in un bar”.

      Morire di ricordi non di sogni. Lei sorrise. Tutto in una cornice ovale perfetta.

      Lei respirò profondamente, esaminò le unghie per un momento, quindi espirò. “Ho frequentato un ragazzo per quasi un anno. Pensavo che avessimo un futuro insieme, ma mi ha indotto a usare le mie quattro carte di credito fino al limite, quindi quando non abbiamo potuto più pagare nulla, lui mi ha lasciato”.

      Victor tracciò una linea su ‘8’ e scrisse di nuovo ‘10’. “Vede quella porta?” Lui indicò attraverso la stanza, opposta alla porta dalla quale era entrata prima la giovane donna.

      Le sue spalle si piegarono. Lei annuì. “Mi sta cacciando?”

      “Attraversi quella porta, scelga una scrivania vuota e si sistemi. Poi …”.

      Catalina strillò di gioia, saltò dalla sedia e si avvicinò alla fine della sua scrivania. “Sono stata accettata?! Non ci posso credere. La posso abbracciare?”

      “No. Come dicevo, torni a trovarmi alle quattro questo pomeriggio. Ora, cancelli quel sorriso dal suo viso e vada a cercare una scrivania. Ha trenta giorni per mettersi alla prova”.

      “Sì, signore”. In realtà si strofinò la mano sul suo ampio sorriso, lasciandosi dietro un serio cipiglio. “Ci sto già lavorando”. Si affrettò verso la porta.

      Victor sorrise mentre prendeva nota sul bordo della sua domanda – 30 giorni.

      Capitolo Due

      Catalina aprì la porta per trovare un grande magazzino. Entrò, lasciando che la porta si chiudesse silenziosamente dietro di lei.

      Apparentemente quel posto era stato una specie di fabbrica di assemblaggio molti anni fa.

      La parte inferiore del soffitto ondulato era a circa settanta piedi sopra la sua testa. Venti metri più in alto, un ampio balcone correva lungo i lati dell’edificio. Molte porte fiancheggiavano il perimetro esterno del balcone. Alcune erano aperte, ma non riusciva a vedere dentro le stanze.

      Un grosso parapetto pendeva da una trave d’acciaio. Un gancio di metallo, delle dimensioni di un braccio da lottatore, era sospeso sotto il blocco arrugginito su una catena arrugginita. Qualcuno aveva appeso una grossa bambola al gancio.

      Catalina inclinò la testa e socchiuse gli occhi verso la bambola, che aveva un cappio al collo.

      È Donald Trump?

      L’area centrale aperta dell’enorme piano aveva trenta banchi disposti a casaccio. La maggior parte erano occupati da uomini e donne concentrati