disse. “Americane che ora vivevano in Francia. Entrambe avevano un visto, ma avevano fatto domanda di cittadinanza, o almeno così aveva fatto una delle vittime. L’altra era arrivata da poco.”
Adele annuì per far capire che aveva sentito. “Quindi perché avete bisogno di me?”
La signora Jayne si schiarì la gola. La sua voce arrivò chiara, anche attraverso il fruscio delle casse. “Ci serve qualcuno che abbia familiarità con il DGSI, ma che l’America gradisca lasciar lavorare da solo. E poi la natura particolare dei crimini potrebbe richiedere qualcuno con la sua esperienza.”
Adele si accigliò ancora. “Che natura particolare?”
Fu Foucault a rispondere. “Due morti fino ad ora. Gole tagliate, quasi da orecchio a orecchio.” Assunse un tono più cupo e continuò: “Le mando i file non appena mi sarò liberato del medico legale. Entrambe donne giovani, entrambe arrivate di recente. Stiamo indagando, ovviamente, e sono sicuro che i nostri agenti troveranno delle buone piste, ma,” spiegò aggrottando la fronte e guardando lo schermo del computer, “la signora Jayne sembra pensare che sia saggio coinvolgere anche lei da subito. Non posso dire di essere pienamente d’accordo, ma non è una battaglia che ho intenzione di intraprendere.”
Adele sollevò una mano mentre l’uomo parlava e aspettò che avesse finito. Lui la notò e le fece cenno di andare avanti.
“Quanto tempo è passato tra un omicidio e l’altro?” chiese.
Il direttore rispose senza esitazione. “Tre giorni. L’assassino è veloce. Vale la pena notare che sulla scena non ci sono prove materiali.”
Adele si spostò sulla sua sedia, rendendosi conto che non faceva tanto rumore come quella della sua cucina. “Cosa intende dire?”
“Intendo dire che non ci sono prove materiali.”
“Nessuna?”
La fronte di Foucault si aggrottò ancora di più, le sopracciglia folte che si incontravano al centro. “Niente di niente. Niente impronte digitali, niente tracce di capelli o saliva. Nessuna aggressione sessuale. I tagli stessi, secondo l’iniziale dichiarazione del medico legale, sono strani. Chiunque abbia tagliato loro il collo, non l’ha fatto con mano tremante, ma con gesto esperto.”
“E questo cosa significa?” chiese Adele.
“Se posso,” disse l’agente Grant prendendo la parola per la prima volta da dietro la sua scrivania verticale, “le ferite da taglio portano una specie di firma. Mostrano se l’attacco è stato fatto da un mancino, o rivelano la forza dell’esecutore, oppure la sua altezza…”
Foucault annuì a ogni sua parola e si schiarì la gola. “Esattamente. Ma questi specifici attacchi sono stati eseguiti da qualcuno che non ha lasciato una particolare firma. Non ci sono prove materiali. Nessun segno di colluttazione. Niente che suggerisca un crimine, eccetto ovviamente per i due cadaveri nel centro di Parigi.”
“Bene,” disse la signora Jayne, scrutando ora lo schermo. I suoi occhi sembrarono regolarsi per un momento, poi si fissarono su Adele. “Pronta per il volo?”
Adele spostò lo sguardo sull’agente Grant e inarcò le sopracciglia.
La Grant esitò. “Di certo non vorrai passare altre due settimane con l’agente Masse?” le disse, con tono capace di non tradire alcuna emozione.
Adele le lanciò un’occhiataccia.
Gli occhi della Grant luccicarono mostrando una sfumatura di malizioso umorismo. “Lo prendo come un no. Ho già firmato per la tua partenza e ho riassegnato Masse a qualcun altro. Sei pronta per andare.”
Adele cercò di tenere a bada l’improvviso scatto di emozione – era una professionista dopotutto – ma mentre si alzava dalla sedia, non poté fare a meno di sentirsi elettrizzata al pensiero di tornare in Francia.
“C’è altro che dovrei sapere?” chiese, guardando Foucault.
“Le invio i rapporti,” disse l’uomo scrollando le spalle. “Ma sono brevi. Come le ho detto, non molte prove. C’è una cosa però. Uno strano dettaglio, ma certamente importante…”
“Che cosa?”
“Alla prima persona mancava un rene.”
Uno strano silenzio calò nella stanza per un momento, e le due persone sugli schermi aspettarono, insieme alle due agenti di San Francisco, tutti accigliati e pensierosi.
“Un rene?” chiese Adele.
“Proprio così,” rispose Foucault.
“L’assassino si porta via dei trofei?”
Il direttore scrollò le spalle e aggrottò la fronte. “Beh, è per questo che lei è qui, no? La fornisca lei la risposta. Il mio lavoro è di fornire le domande. Mi dicono che la signora Jayne ha già acquistato il suo biglietto. Prima classe. Il suo volo parte entro un’ora.”
CAPITOLO CINQUE
Adele teneva la fronte aggrottata mentre guardava il suo portatile, comoda nel suo posto in prima classe fornitole dall’Interpol. L’aereo vibrava sfrecciando nel cielo, ma Adele era concentrata sullo schermo del computer che illuminava la piccola porzione della sua cabina.
Si trovò a giocherellare nervosamente con la tracolla della sua borsa porta-computer che stava appoggiata sul sedile vuoto accanto a sé, mentre continuava a scrutare le informazioni che aveva davanti. Una volta letto il file di un caso, raramente ne dimenticava i dettagli.
Si mise più comoda, appoggiandosi alla parete curva in plastica bianca, gli occhi che scattavano dai paragrafi alle foto.
Due morti fino ad ora. Tre giorni tra una vittima e l’altra. Un ritmo rapido, anche per un serial killer. Nessuna prova materiale in assoluto. Un rene mancante nella prima vittima e un rapporto medico legale ancora pendente per la seconda. Anche a questa poteva forse mancare un rene?
Giovani donne, entrambe. Espatriate. Americane che ora vivevano in Francia. Arrivate di recente. Entrambe uccise così velocemente da non aver reagito. Quella era l’unica spiegazione della natura netta dei tagli. Nessuna ferita slabbrata, nessun segno di colluttazione. Un momento le giovani donne erano vive nei loro appartamenti, e l’attimo dopo quella vita gli era stata portata via, come per opera di un fantasma.
Adele dubitava che le donne se ne fossero addirittura rese conto. Non era un grosso indizio, non ancora per lo meno. Rimase comunque concentrata, con la tendina dell’oblò abbassata, ascoltando il vibrare dei motori. Socchiuse gli occhi e continuò ad analizzare il file. Ancora, e ancora… e ancora.
Era riuscita a collegarsi al Wi-Fi dell’aeroporto Charles De Gaulle, e le sue sopracciglia si rilassarono quando vide l’ultimo messaggio che le aveva mandato Robert Henry, il suo vecchio mentore e amico. Diceva: Scusa, cara, non verrò a prenderti io. Hanno mandato un altro agente. Poi aveva incluso un sacco di emoji e faccine sorridenti.
Lei esitò e poi scrisse: Nessun problema. Ci vediamo in ufficio. Chi hanno mandato?
Nessuna risposta. Adele scosse la testa mentre accedeva al terminal centrale, accolta dall’aroma di caffè ultra-costoso e vecchi pasticcini che proveniva dai vari ristoranti dell’aeroporto. I suoi occhi si spostarono lungo una serie di negozi: uno di oggetti bizzarri e l’altro di libri. Rimise il telefono in tasca e andò velocemente verso il ritiro bagagli. L’altra volta l’avevano messa in coppia con John: probabilmente sarebbe successo di nuovo. Ma le cose erano rimaste sospese in modo impacciato dopo l’ultimo incontro. Mentre lei e Robert avevano continuato a mandarsi frequentemente messaggi durante quel mese, dopo il suo ritorno dalla Francia, John non l’aveva contattata una sola volta.
Neanche tu, le ricordò una vocina.
Ma lei la cacciò via con una leggera scrollata di spalle. Raggiunse il ritiro bagagli e vide la sua valigia che faceva il giro del nastro. Aspettò con pazienza, ma non riusciva comunque a cacciare quel senso di impaziente attesa che le opprimeva il petto.
Alla fine riuscì a recuperare