righe, ma soprattutto avevo deciso che quella sera gli avrei confessato di amarlo.
«Non mi hai detto se ti piaccio», gli chiesi quando finalmente lo sentii più sciolto.
«Certo che mi piaci, Eliza», soffiò disperato Stefan, baciandomi con ardore e stringendomi a sé.
Lo adoravo quando usava quel tono quasi lamentoso e sofferente che mi faceva sempre capire di averla avuta vinta.
«È a me che non piace questo spettacolo a luci rosse!», tuonò una voce alle nostre spalle, facendoci urlare dalla paura.
Mi voltai. A un paio di metri da noi c’era un uomo con i capelli brizzolati e la bocca incurvata in una smorfia di disgusto che ci fissava.
«Signor Chapman, io…», balbettò Stefan impallidendo visibilmente, mentre io correvo a coprirmi con il cappotto.
«Signor Stefan Clarke, le consiglio vivamente di tacere, prendere quella ragazzina priva di pudore e uscire subito di qua. Ah, non dimentichi di portarsi via anche tutti i suoi effetti personali, perché da domani non le sarà più permesso mettere piede qui dentro», gli ordinò il suo capo prima di uscire dalla stanza sbattendo la porta.
«Io non volevo farti licenziare», cercai di dire spezzando quel silenzio tombale che riempiva la stanza.
«Invece lo sapevi. Ti avevo avvertita, ma tu sei sempre la solita testa calda pronta a fare qualche follia, vero? Solo adesso mi rendo conto che dopotutto sei solo una liceale, un’adolescente, una ragazzina incapace di rapportarsi con il mondo degli adulti», mi rispose con voce grave Stefan, iniziando a radunare le sue cose dentro un sacchetto.
«Io ti chiedo scusa… davvero.» Mi sentivo terribilmente in colpa.
«Vattene, Eliza. Ho bisogno di restare solo.»
«Ok, ma poi mi chiami, vero?»
«Non lo so», sospirò amareggiato, senza neanche degnarmi di uno sguardo.
«Io… io ti amo», provai a confessare, ma Stefan non fece nemmeno il gesto di avermi sentita.
Con il cuore a pezzi e l’umiliazione scottante di essere stata colta in flagrante dal signor Chapman, me ne andai.
Ero solo una ragazza, ma sapevo riconoscere quando una storia finiva e io ero appena arrivata al capolinea con l’unico uomo a cui avevo detto il fatidico Ti amo .
Dentro di me, giurai che se avessi perso per sempre Stefan, sarei cambiata e sarei diventata un’adulta seria e con la testa sulle spalle.
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Sette anni dopo
«Che depressione», sospirò affranta Breanna guardando lo showroom semideserto.
«Luigi mi ha detto che, se continua così, dovrà chiudere e se ne ritornerà in Italia. Le vendite sono in calo, i clienti sempre meno e ci sono troppe spese», aggiunse Lexie preoccupata. «Non posso perdere questo lavoro. Ho un figlio da mantenere ed un ex marito che mi paga gli alimenti con il contagocce.»
«Anch’io. Vivo da sola e non posso pensare di tornare a casa dei miei», mormorai angosciata all’idea di rimanere senza stipendio e finire sotto le mire asfissianti di mia madre, che non accettava ancora che fossi vegana o di mio padre che non mi aveva ancora perdonato di aver lasciato gli studi universitari e aver preferito l’indipendenza grazie a quel lavoro come venditrice in un negozio di arredamento.
Avevo ventisei anni e non era quella la vita che avevo sognato. Da ragazza vedevo le venticinquenni come donne realizzate professionalmente, felicemente sposate, magari alle prese con la prima gravidanza.
Avevo immaginato una vita piena e meravigliosa, non di ritrovarmi a un passo dalla disoccupazione, ad abitare da sola in un monolocale con due randagi che mi usavano solo come albergatore gratuito che dava vitto e alloggio in base alle loro esigenze o al clima.
Nemmeno la mia vita sentimentale riusciva a darmi sollievo, dato che non ero in grado di portare avanti una relazione senza commettere errori o fare danni.
E le mie amiche… Hope lavorava tutto il giorno e viveva ancora con sua zia, mentre Arianna si era sposata e aveva sempre meno tempo per me.
Sbuffai amareggiata.
«Non vi preoccupate! Ci penso io a tenere in piedi la baracca!», esclamò alle nostre spalle Laetitia. «Ho appena concluso una trattativa per arredare un intero cottage vittoriano con vista mare a West Hill», ci informò riabbottonandosi con cura la camicetta che lasciava in bella vista svariati centimetri quadrati di pancia piatta, super abbronzata e un décolleté mozzafiato.
«Fammi indovinare: il tuo cliente era un uomo single!», ipotizzò Breanna, che ormai conosceva, come tutte noi, i metodi di abbordaggio della collega che usava sempre il proprio corpo per concludere contratti.
In quel momento ero sicura che Breanna si stesse chiedendo se avesse avuto più successo sull’uomo la pancia piatta di Laetitia o la sua quarta di reggiseno, dato che lei si lamentava spesso del suo fisico a pera con spalle strette, seno microscopico, ma fianchi e cosce in abbondanza.
Ancora si chiedeva cosa ci trovasse di bello in lei il marito, con cui era sposata da undici anni.
«Separato, con due figli. Ha una villa a Rye e un attico a Londra, ma ha da poco comprato casa qui per i weekend. È un direttore di banca e stasera andiamo a prendere un aperitivo. Non vi dispiace, vero, se esco mezz’ora prima? Mi coprite voi con Luigi.»
«Non ce ne sarà bisogno. Lo sai che a te perdona tutto», sibilò Lexie irritata dai favoritismi del capo verso la sua prediletta, che riusciva sempre a concludere le vendite migliori del mese.
La odiavamo tutti e lei non faceva nulla per nascondere la sua superbia.
«Lo so», ridacchiò soddisfatta Laetitia.
«Anch’io esco un po’ prima», si accodò Patricia, l’ultima dipendente assunta, mentre andava a farsi un caffè nel retro. «Stasera Benny mi porta al Delizia’s !»
«Di nuovo?», domandai troppo presa dall’invidia per stare zitta. Quel ristorante era il migliore e il più costoso della città. Le recensioni erano incredibili e avevo sempre desiderato andarci anch’io, ma i prezzi erano improponibili con il mio stipendio. Patricia era molto fortunata ad avere un fidanzato così dolce e ricco da poterla sempre invitare a cena in quel posto di lusso.
«Sì. Benny farebbe qualsiasi cosa per me. Ormai stiamo insieme da cinque anni e conviviamo da due. Siamo una cosa sola e lui vuole solo la mia felicità. Non è adorabile?»
«Sì», sussurrai soffocando un gemito di autocommiserazione.
Patricia aveva due anni più di me, ma alla mia età aveva già raggiunto traguardi che io potevo solo sognare.
«Stasera metto tutte le foto della cena su Instagram. Non perdetevele!»
Come potrei rischiare di perdermi la tua cena perfetta con l’uomo perfetto, sapendo che passerò l’ora successiva a sgranocchiare sedano per drenare i liquidi in eccesso (come fai tu nelle pause pranzo) e a piangere per la mia vita di solitudine?
«Pensate di lavorare oggi o di restare qui a chiacchierare? Magari volete che vi porti anche un caffè con i biscotti?», ci redarguì Ivan, il più vecchio venditore dello showroom con una passione per Autocad e le cucine componibili.
Evitai di rispondergli che avevo già preso due caffè e fatto fuori tutta la confezione di Oreo che mi ero portata dietro.
«Ivan, non ci sono clienti! Guarda, il salone è vuoto», gli fece notare Lexie.
«Questo non vi dà il diritto di stare qui a far niente! Avevo detto a Luigi di tagliare il personale, ma lui è troppo debole per arrivare a tanto e voi ve ne approfittate.»
Come sempre, in un attimo si scatenò una guerra tra Ivan e Lexie. Solo l’intervento di Didier, l’architetto che si occupava di progettare le camerette per bambini, riuscì a