a tuo padre.”
Scout si sedette in avanti. Non lo sapeva. Per tutto questo tempo aveva continuato a gestire le operazioni quotidiane del Silver Star Ranch come se fosse l’unica proprietaria. Aveva convertito la fattoria in un ranch per la riabilitazione dei cavalli e aveva accolto cavalli feriti, abbandonati e scartati, dando loro un posto dove potevano guarire e riprendersi. L’attività non l’aveva resa ricca, ma aveva pagato le spese, compresa l’istruzione delle sue sorelle.
“Beh, ti do la mia parte, Scout,” disse Gunny. “Ti sei presa cura di tutte noi da quando la mamma è morta.”
“Sono d’accordo,” disse Tilly.
Con la coda dell’occhio, Scout vide Brig e Saylor fare un cenno di assenso. Il mento di Mareen non si abbassò. Rimase alto, mentre guardava dritto davanti a sé.
“Temo che non sia così semplice, “disse padre Matthews. “Vedete, vostro padre ha lasciato delle clausole. Uno delle quali è che il testamento non potesse essere letto prima che fossero passati tre mesi dalla sua morte. L’altra clausola…”
Padre Matthews posò la pila di fogli. Chiuse gli occhi e si pizzicò i peli all’orlo dei baffi.
Scout aveva visto suo padre fare lo stesso movimento. Lo faceva spesso quando litigava con sua madre. O quando stava punendo una delle sue figlie. Di nuovo, lo sguardo di Scout si posò sul tappeto afgano, seguendo la trama con gli occhi mentre aspettava una punizione per qualcosa che non aveva fatto.
“Come ho detto, vostro padre ha scritto che la terra spetta a ciascuna delle sue figlie allo stesso modo. Tuttavia, prima che qualcuno di voi possa vendere o trasferire le proprie porzioni…” Padre Matthews bevve un altro sorso, evitando ancora i loro sguardi. “Prima che qualcuno di voi possa vendere o donare la propria parte, dovrà sposarsi.”
C’era silenzio in quella stanza che era sempre stata piena di tante risate, qualche rimprovero, e la profonda voce baritonale di padre Matthews che raccontava vecchie storie ai suoi figli e alle figlie del suo migliore amico.
“Sposarsi?”
“Sposarsi!”
“Sposarsi.”
Solo Scout, Saylor e Mareen rimasero in silenzio a quella frase.
Padre Matthews alzò la mano come se non avesse finito. Ma cosa potrebbe esserci di più?
“Se non sarete tutte sposate entro la fine dell’anno della morte di vostro padre, la terra andrà…” E in quel padre Matthews alzò lo sguardo. Alzò lo sguardo su Scout. “… alla sua seconda moglie, Catherine.”
Capitolo Due
Lincoln Rawlings girò la testa il più possibile. Lo schiocco dei tendini mise i suoi nervi in allerta. Gli spari erano stati una sirena costante nel suo alloggio per anni, non permettendogli mai di rilassarsi completamente ovunque posasse la testa.
Per un secondo, il suo cervello si annebbiò, ributtando la sua mente nella nuvola scura della battaglia. ‘Massima attenzione’ era una frase comune nell’esercito che significava stare all’erta, poiché il pericolo era sempre presente. Ma guardando il cielo del Montana, sapeva che non c’era alcun pericolo. Il Purple Heart Ranch era uno dei posti più sicuri al mondo, specialmente quando si trattava di soldati feriti come lui.
Non doveva stare all’erta. Non doveva stare in guardia. L’unico conflitto era dentro di lui.
Linc inclinò la testa all’indietro. Lasciò che i suoi muscoli scoppiettassero come popcorn al sole. La luminosità della luce penetrava appena nell’oscurità che si insinuava nella sua mente. Linc sapeva che molto presto, la nebbia nata dalla guerra, le ombre che si erano infiltrate negli angoli del suo cervello e avevano cominciato a divorare la sua attenzione, la sua memoria, quell’oscurità un giorno lo avrebbe inghiottito intero, senza lasciare nulla dietro di sé.
L’abbaiare di un cane attirò la sua attenzione. Il minuscolo Irish Terrier lo guardò con grandi occhi sulla sua testolina. Le sue zampe anteriori premevano a terra come se fosse sull’attenti. Non aveva le zampe posteriori. Al loro posto c’era una sedia a rotelle attaccata alle sue gambe posteriori inerti. Le ruote si fermarono mentre il cane posava il sedere a terra.
Linc dovette sforzarsi per far uscire il respiro che tratteneva mentre il cane si sedeva. Molti cani dell’esercito erano addestrati a sedersi quando rilevavano le sostanze chimiche che componevano una bomba. Ma il cane con la sedia a rotelle non era più idoneo per essere un cane da campo. Proprio come Linc non era più idoneo per operare sul campo.
I suoi giorni in servizio erano finiti dopo che i medici lo avevano operato. Il suo corpo era intero, intatto. Era la sua mente che non era più autorizzata al servizio.
Ruotando di nuovo la testa, Linc sentì i tendini del suo collo schioccare ancora una volta. Il cane emise un gemito di compassione. Linc si chinò e diede al cagnolino una grattatina dietro le orecchie. Dopo le coccole, il Terrier alzò la groppa e mise in moto le sue ruote. Missione compiuta, se ne andò al trotto, poiché aveva ottenuto ciò per cui era venuto.
Missione compiuta. Quelle parole risuonarono come un’eco nelle caverne vuote del cervello di Linc. Doveva essere in missione… ma i dettagli erano offuscati.
Linc si strofinò la fronte, cercando di ricordare il motivo per il quale fosse uscito. Il suo borsone era ai suoi piedi, come se fosse pronto per essere rigirato e spedito verso qualche terra lontana. Aveva le chiavi della macchina in una mano. Era stato autorizzato a guidare un’automobile, ma non riusciva a ricordare dove dovesse andare…
Premuto nel palmo della sua mano, dietro il mazzo di chiavi, c’era un quadrato di carta gialla. L’adesivo in cima al biglietto si era attaccato alla parte superiore del palmo. C’erano parole scarabocchiate al centro con una scrittura in grassetto e a blocchi.
Obiettivo della missione: Silver Star Ranch.
Missione: mantieni la tua promessa fatta al generale.
La mente annebbiata di Linc si schiarì. Quelle parole bastarono a ricordargli cosa dovesse fare, quale fosse la sua missione… la sua missione finale. Sollevò il borsone, strinse le chiavi della macchina tra le mani e attraversò il cortile fino alla clinica del ranch.
Passando davanti alle infermiere e ai dottori, Linc sorrise gentilmente. Era difficile per lui associare volti e nomi. Quelli erano gli uomini e le donne che lo avevano aiutato a guarire dopo la sua missione. Non voleva sembrare scortese. Voleva sembrare guarito. Anche se non lo sarebbe mai stato davvero.
Raggiunta la sua destinazione, Linc non si preoccupò di bussare alla porta. Era socchiusa e all’interno c’erano altri cinque uomini. Un uomo era seduto sul letto e si stava allacciando gli scarponi. Ci metteva tempo poiché usava solo una mano per farlo. La mano sinistra di Jefferson giaceva sul materasso mentre si dibatteva.
Nessuno degli altri uomini si mosse per aiutarlo. Nessuno di loro parve notare il suo momento di difficoltà. Jeff era l’unico della loro unità che se ne era andato con una ferita visibile. Gli altri uomini riuscivano a nascondere le loro cicatrici, ma solo se non si guardavano negli occhi.
“Pronto ad andare?” chiese Linc, una volta che Jeff ebbe finito.
Carter e Truman, i più vicini alla porta, annuirono. Afferrando i loro borsoni, si imbatterono in Lincoln. Wilson, che stava alla finestra, si allontanò dal muro. Prese il suo borsone e poi quello di Jeff prima di stringere la mano in un pugno e allontanarsi. Jeff fece finta di non accorgersene e sollevò il borsone sulla schiena con la mano destra.
“Ci siamo persi il funerale,” disse Jeff.
Non si sarebbe potuto fare altrimenti. Erano tutti ricoverati in un ospedale tedesco al momento del funerale del generale Silver, tre mesi prima. Il mese scorso erano stati mandati al Purple Heart Ranch per lavorare su se stessi. Ogni uomo aveva esitato all’idea di venire al ranch di riabilitazione. Ma si trattava di un ordine, l’ultimo del loro comandante