allora noi saremo gli ultimi. Che te ne pare?"
Di nuovo, non era l’approccio più romantico, ma Nick non era un tipo romantico. Aveva difficoltà a compitare quella parola fin dalle elementari. Riusciva a compitare ‘romano’ perché si riferiva ai soldati. Ma aggiungeva sempre la I invece della T e della I.
Eppure, era esattamente ciò che voleva Saylor. Il ragazzo per cui aveva una cotta dall’asilo, il ragazzo per cui si struggeva alle medie, l’uomo che aveva sognato alle superiori acconsentiva finalmente a passare il resto della sua vita con lei.
Era troppo. Era tutto. Saylor non riusciva a formulare delle parole. Così annuì.
Nick le stampò un bacio delicato sulle labbra. Le sue labbra sapevano di burro di cacao alla ciliegia, come quello che portava Kellie. Quel dolce sapore era amaro sulla lingua di Saylor. Lo ingerì comunque.
"Perché non ti riposi un po’?" disse Nick dopo essersi scostato da lei. "Non ti reggi in piedi."
Saylor guardò Kellie e Holly, che andavano verso le macchine parcheggiate fuori sul retro. "Dove andate?"
Nick alzò le spalle. "Recuperiamo un po’ di tempo. Ci abbandoniamo ai ricordi dei vecchi tempi. Non c’eri, quindi ti annoieresti a morte."
Perché Saylor non frequentava quelli popolari alle superiori. O all’università. O in quel momento del resto.
"Ti chiamo, va bene?"
"Sì, va bene."
Nick si girò e si diresse verso la macchina con Holly e Kellie che presero un braccio per ciascuna. Stavano già ridendo e ridacchiando mentre la lasciavano lì.
Ma andava bene così. Perché in realtà Saylor era stanca. Si strofinò le palpebre inferiori. Non riusciva a sentire delle borse, ma sentiva una fonte di lacrime pronte a sgorgare senza più pressione.
Saylor si allontanò dall’area del ricevimento. Non voleva andare in casa nella camera da letto. Voleva qualche momento da sola per ricomporsi. Così si diresse alla volta della sua casetta sul retro della casa.
Avrebbe dovuto essere felice. Nick l’avrebbe sposata. I suoi sogni si stavano realizzando. Andava tutto bene, davvero bene.
I suoni del ricevimento nuziale di sua sorella si affievolirono mentre raggiungeva la porta della casetta. Il cielo era terso sopra di lei, ma Saylor sentì delle gocce rigarle le guance. Dovette affrettarsi dentro prima che cominciasse il diluvio.
Girò il pomello ed entrò dentro giusto in tempo. Le lacrime le sgorgavano dagli occhi. I suoi singhiozzi sembravano dei tuoni nelle sue orecchie. Fortunatamente, andò in una zona buia. Ma qualcosa si muoveva nelle tenebre.
"Saylor?"
Le luci si accesero e vide Jeff. Era in piedi nel bel mezzo della stanza. Aveva tolto la giacca. La camicia era aperta. Il suo sguardo era ampio e proiettato su di lei.
Saylor pensava che i suoi singhiozzi fossero assordanti. Non erano niente rispetto al ruggito che si lasciò sfuggire la mascella serrata di Jeff. E poi lei era di nuovo sul suo petto. Un braccio forte e delle labbra calde premevano sulla sua fronte.
All’improvviso Saylor non volle essere da nessun’altra parte se non lì.
Capitolo Quattro
Jeff tenne Saylor stretta al suo petto. Il suo avambraccio destro si incastrava con dolcezza attorno alle sue spalle esili. La sua mano si spostò in alto per strizzarle la spalla. Sentì un formicolio nel palmo sinistro. Lo stesso formicolio che aveva sentito la prima volta che l’aveva vista. Lo stesso formicolio che aveva sentito quando lei si era presa cura della sua piccola ferita una settimana prima. Lo stesso formicolio che gli veniva ogni volta che guardava il suo viso, sentiva la sua voce, o semplicemente pensava a lei.
Perché sì, il solo pensiero di Saylor Silver poteva fargli affiorare delle sensazioni da tutte le parti. Inclusa la parte che era stata danneggiata dall'esplosione. Jeff chiuse gli occhi mentre teneva a sé quella sferzata di sole. Avrebbe giurato di aver visto delle stelle dietro le sue palpebre.
Lei tirò su col naso contro il suo petto. Le sue mani erano serrate in pugni che poggiavano sui suoi fianchi. Ma non sembrava lo stesse allontanando. Era un buon segno perché non era sicuro di poterla lasciare andare. Invece di allontanarsi da lui, Saylor girò la testa e la affondò più a fondo nel suo petto.
I suoi respiri contro la sua pelle nuda avrebbe dovuto riscaldarlo da parte a parte. La sua guancia soffice sul suo cuore martellante avrebbe dovuto fomentare il suo desiderio. Invece, Jeff riusciva solo a sentire la rabbia rovente trapassargli le vene.
Avrebbe ucciso Nick.
Sì, Nick e non Coso. Jeff stava usando il nome di quell’uomo. La maggior parte delle vittime di guerra erano corpi senza nome abbandonati come spoglie della battaglia. Ma non quella volta. Jeff avrebbe guardato quell’infame traditore dritto negli occhi poco prima di torcergli il collo.
Il desiderio di essere violento fece contrarre il suo mignolo sinistro. Neanche i suoi sentimenti per Saylor gli avevano provocato tutte quelle sensazioni. Ma il pensiero di far del male a Nick sì. Con quel pensiero, l’ira di Jeff si calmò all’istante.
Per gran parte della sua vita era stato un ragazzino arrabbiato. Col bisogno di piantare un pugno contro qualsiasi cosa e chiunque agisse contro di lui. Perché non era riuscito a proteggere se stesso o sua madre a casa.
Solo quando entrò nell’Esercito imparò a sfruttare quella rabbia, quel dolore. Il generale Abe Silver l’aveva addestrato come soldato, pronto e disposto a ricevere ordini per combattere il nemico contro cui puntava il comandante. Jeff imparò a non alzare mai le mani quando era arrabbiato, ma solo in un piano calcolato approvato dai suoi superiori.
Non aveva ordini di attaccare Coso. Il generale l’aveva mandato lì per uno scopo. Assicurarsi che alle sue figlie non mancasse nulla. Le lacrime di Saylor gli dissero che stava male per qualcosa che non aveva. Jeff aveva promesso che avrebbe fatto di tutto per soddisfare quel bisogno.
L’angoscia nei singhiozzi di Saylor rattristò Jeff. Voleva poter avvolgere le sue braccia attorno a lei e tenerla al sicuro. Il suo braccio sinistro penzolava da un lato, addormentato per l’esplosione che aveva portato via suo padre a entrambi.
A poco a poco, i singhiozzi di Saylor si affievolirono fin quando non rimase solo il suo respiro regolare. Mentre si calmava, Jeff non la lasciò andare. A un certo punto, le sue dita non formavano più dei pugni. In quel momento avvolgevano la sua schiena. Le sue mani erano serrate in fondo alla schiena di lui.
Jeff sapeva che avrebbe dovuto dire qualcosa di confortante. Ma non aveva modo di sapere cosa avrebbe dovuto dire. Non era bravo con le parole. Con una mappa e delle coordinate di sicuro. Ma con le linee e le curve che formavano parole invece che topografia, rimaneva disorientato. E così fece la domanda più stupida sulla faccia della terra.
"Stai bene?"
Di certo non stava bene. Jeff aveva visto quel perdente ignorarla per tutta la notte. Aveva visto Coso ballare non con una ma con due donne, avvicinandosi in modo inappropriato per uno che stava in una relazione seria. Per tutto il tempo Saylor era stata seduta da un lato così smarrita.
Jeff avrebbe voluto andare da lei, ma lui non aveva quel diritto. E sapeva che qualsiasi parola le avesse detto, non sarebbe stata appropriata. Parole come: devi lasciarlo o ti meriti di meglio.
Lei meritava di più. Ma sapeva che non gli avrebbe creduto. Sua madre non lo credeva mai. Ma Jeff non sapeva se avrebbe mai potuto avere abbastanza forza di allontanarsi da un’altra vittima di abuso.
Al suono della sua voce, Saylor sembrava riprendersi dal suo stato di incoscienza.
"Va tutto bene," disse lei. "Sto bene."
Tolse le mani dalla sua schiena. Le sue braccia girarono attorno a lui e ritornarono sui suoi fianchi.
"Mi dispiace," disse lei, strofinandosi gli occhi. "Starai pensando che