Jack Benton

Il Segreto Dell'Orologiaio


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e scattò qualche foto della fattoria. L’aveva appena rimessa nel taschino della giacca, quando fu sorpreso dalla voce di una donna.

      “È facile rimanere incastrati lì in cima.”

      Slim sobbalzò, ruotando su sé stesso. Scivolò fuori dalla siepe e atterrò su una pozza di fango. Come si girò, disgustato dalla striscia marrone che gli percorreva la gamba dalla caviglia alla coscia, si ritrovò faccia a faccia con una donna anziana, che sfoggiava un completo da escursione di tweed. Appoggiandosi sul bastone da passeggio, si mise ad osservarlo, attraverso gli occhiali che portava sulla punta del naso.

      Slim si rimise in piedi, scrollando il fango dai pantaloni come poteva. La donna continuò a guardarlo, con sguardo sempre più accigliato e la testa inclinata, come un’artista che esamina l’opera di un rivale.

      “Ha notato qualcosa di interessante dalla sua vedetta?”

      “Cosa?”

      “Dal buco nella siepe,” disse, agitando il bastone verso la brughiera. “Sa, molte persone che percorrono questo sentiero guardano laggiù, verso le torri di pietra. Mi chiedevo cosa stesse trovando di tanto interessante in una fattoria nascosta dietro una siepe potata in modo tale che chiunque con un minimo di cervello colga l’implicita richiesta di riservatezza?”

      Il tono di voce curioso della donna si stava tramutando in rabbia. Slim si stava stancando dei suoi modi e atteggiamenti, quando d’un tratto percepì con chi stava parlando.

      “Signora Tinton? La Fattoria Worth è sua, non è vero?”

      La donna annuì velocemente. “Astuto, eh? È mia, sì. E le dirò una cosa: non mi importa chi vivesse qui prima di me. Sono stanca di voi cacciatori di tesori che curiosate in giro. Sono anni che dico a Trevor che l’unico modo di tenervi lontani è una recinzione elettrica, ma lui crede che ogni guardone che sorprendiamo nella nostra proprietà, sia sempre l’ultimo. Onestamente, a volte è troppo ingenuo.”

      “Sono mortificato.”

      “Fa bene ad esserlo. Ora, si allontani immediatamente da quella siepe. Ha il diritto di girovagare per il sentiero, ma quella siepe fa parte della mia proprietà e metterci le mani costituisce una violazione di domicilio. Sa che può ricevere una multa fino a cinque mila sterline per violazione di domicilio, non è vero?”

      Durante un’emergenza, in un caso precedente, Slim aveva consultato una guida per principianti sulle normative britanniche e non ricordava di aver visto nulla del genere, ma darle torto in questo momento non avrebbe portato nulla di buono. Allargò le braccia, sfoggiò un sorriso dispiaciuto e disse, “Non volevo nuocere a nessuno.”

      “La Fattoria Worth non è un’attrazione turistica!”

      Per dare enfasi alla frase, la donna infilzò il bastone nel terreno, schizzando altro fango sugli scarponi già fradici di Slim. Prese in considerazione l’idea di ribattere, ma decise di lasciar perdere. Non si era accorta della macchina fotografica, quindi era meglio svignarsela finché poteva.

      “Farò meglio a tornare a casa,” disse, rimettendosi sul sentiero mentre la donna continuava ad agitare il bastone, “Di nuovo, mi scuso. Non volevo nuocere a nessuno.”

      “Se ne vada!”

      Slim se ne andò barcollando. Una volta raggiunti gli alberi alla fine del campo, osò lanciare un’occhiata indietro. La Signora Tinton era andata avanti sul sentiero fino alla scaletta, dove aveva ripreso il turno di guardia, appoggiata al bastone con entrambe le mani, come un soldato con un fucile.

      Solamente il sentiero più lungo, che costeggiava il retro della fattoria, l’avrebbe riportato alla strada principale senza ripassarle davanti. Il cammino seguiva la stretta e insidiosa riva del fiume, a strapiombo sull’acqua. L’alta siepe che delimitava la fattoria offriva pochi rami a cui aggrapparsi, mentre una fila di alberi piantati nel cortile dei Tinton formava una ragnatela confusa di ombre sul terreno accidentato. In alcuni punti, il ruscello aveva lavato via il sentiero e una parte di siepe vicino all’angolo a sud-est della proprietà era sorretta da un muro di pietra piuttosto recente, il che suggeriva fosse stato a suo tempo eroso e sostituito.

      Le prime gocce di pioggia iniziarono a picchiettargli intorno, mentre il sentiero si apriva in un campo. Dall’interno di una veranda d’altri tempi, davanti a un piatto di biscotti o addirittura ad una bottiglia di whiskey, sarebbe stato un rumore suggestivo e accogliente. Ora, però, l’unica cosa a cui Slim riusciva a pensare era il suo ritorno in bici a Penleven. Si chiese se non fosse arrivato il momento di dire addio alla Cornovaglia e dirigersi di nuovo a nord del paese, ma non avrebbe saputo resistere alla ricerca di un appartamento o alle tentazioni che lo stress poteva portare. Piuttosto, lanciò un’occhiata al cielo torbido, uscì dal riparo degli ultimi rami e si addentrò nella pioggia.

      Al suo arrivo alla pensione, un’ora dopo, la Signora Greyson lo rimproverò per aver infangato lo zerbino, nonostante sembrasse piuttosto felice di vederlo tornare prima che si fosse fatto buio. Nella sua stanza, sgranocchiò delle patatine e del cioccolato, mentre caricava le foto sul portatile. Non si aspettava di trovare nulla degno di nota, ma quando ingrandì l’immagine della piccola casetta di pietra, un paio di dettagli catturarono la sua attenzione.

      All’interno, tutte le finestre sembravano essere sbarrate, mentre la porta era adornata da un pesante lucchetto.

      9

      La scomparsa di Amos Birch era stata evidentemente troppo noiosa per creare scompiglio in rete. Indagando approfonditamente e selezionando con cura le fonti attendibili tra blog e speculazioni dei fan, Slim era riuscito a determinare la data esatta della scomparsa: il 2 maggio del 1996, un giovedì, ventun anni e dieci mesi prima. Secondo i bollettini metereologici del tempo, era stata una mattinata nuvolosa, con una leggera pioggia dalle quattro in poi.

      L’unico articolo dettagliato che raccontasse della scomparsa in sé veniva da un blog di amanti degli orologi: un pezzo sulla fine di alcune meteore dell’artigianato amatoriale, che diceva ben poco che Slim non sapesse già. Nella notte di giovedì, 2 maggio 1996, Amos Birch cenò con la moglie e la figlia, per poi rinchiudersi nel suo laboratorio e continuare a lavorare sul suo ultimo orologio. Da allora, non fu più visto.

      Le ipotesi spaziavano dall’omicidio ad una fuga d’amore. Aveva cinquantatré anni all’epoca e divideva la casa di famiglia con la moglie Mary, di 47 anni al tempo, e la figlia Celia, di 20. Vi fu un’investigazione della polizia, che comportò una perlustrazione attenta della Brughiera di Bodmin, ma che concluse, in assenza di prove che suggerissero il contrario, che Amos Birch si era semplicemente svegliato una mattina ed aveva abbandonato la vita che si era costruito qui. Il laboratorio era stato lasciato aperto e le uniche cose che mancavano erano i suoi stivali e la giacca. Non aveva preso con sé i documenti e né il portafogli, che fu ritrovato in un cassetto della cucina. Tuttavia, dal momento che si riteneva avesse venduto molti dei suoi orologi a collezionisti locali tramite pagamento in contanti, l’assenza di prelievi dal suo conto suggeriva che fosse scappato portando del denaro con sé, per poi crearsi una nuova identità.

      L’articolo non forniva altri dettagli degni di nota, ma l’ultima riga toccò un tasto dolente per Slim.

       Sembra proprio che Birch si sia semplicemente svegliato e se ne sia andato di casa, portando con sé il suo ultimo orologio.

      Non vi era nulla che suggerisse che l’autore sapesse dell’orologio. Da nessun’altra parte veniva menzionato un orologio lasciato incompiuto o ritrovato nel laboratorio; quindi, poteva trattarsi di una fantasiosa licenza poetica.

      Il suo ultimo orologio era forse quello che Slim aveva trovato nella brughiera?

      Geoff Bunce concordava con Slim sul fatto che l’orologio fosse incompleto. E se l’ultimo orologio di Amos Birch si trovasse ora sotto il letto di Slim?

      Slim si alzò in piedi, improvvisamente nervoso. Girovagò per la stanza per qualche minuto. Le circostanze