Nicolás Maquiavelo

El príncipe


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della antiqua libertà: tale che la piú sicura via è spegnerle o abitarvi.

       V DE QUÉ MODO DEBEN GOBERNARSE LAS CIUDADES O LOS PRINCIPADOS QUE ANTES DE SER OCUPADOS VIVÍAN CON SUS LEYES

      Cuando los estados que se adquieren1, como se ha dicho, están habituados a vivir con sus leyes y su libertad, si se desea mantenerlos hay tres modos: el primero es destruirlos; el segundo, ir a residir personalmente en ellos; el tercero, dejarlos vivir con sus leyes, exigiéndoles un tributo y creando en ellos un estado de pocos que te los mantenga amigos. Porque ese estado, habiendo sido creado por ese príncipe, sabe que no puede estar sin su amistad y su potencia y tiene que hacer todo para mantenerlo. Y es más fácil mantener una ciudad acostumbrada a vivir libre por medio de sus ciudadanos que de ninguna otra manera, si se desea conservarla.

      Como ejemplos tenemos a los espartanos y los romanos.2 Los espartanos tuvieron dominadas a Atenas y a Tebas creando en ellas un estado de pocos, y las perdieron. Los romanos para conservar Capua, Cartago y Numancia las destruyeron, y no las perdieron. Quisieron tener a Grecia casi como la tuvieron los espartanos, haciéndola libre y dejándole sus leyes, y no tuvieron éxito, de modo que se vieron obligados a destruir muchas ciudades de esa provincia, para conservarla. Porque en realidad no hay modo seguro de poseerla, fuera de la ruina. Y quien se hace señor3 de una ciudad habituada a vivir libre y no la destruye, que espere ser destruido por ella, porque en la rebelión siempre tiene por refugio el nombre de la libertad y sus propios órdenes antiguos, los cuales no se olvidan jamás, ni por el transcurso del tiempo ni por beneficios. Y por cosa que se haga y se provea, si no se desune y dispersan los habitantes, nunca olvidan aquel nombre ni aquellos órdenes y en cualquier accidente inmediatamente vuelven a ellos, como hizo Pisa después de cien años que llevaba sometida a la servidumbre por los florentinos. Pero cuando las ciudades4 o las provincias están acostumbradas a vivir bajo un príncipe y esa sangre se extingue, estando por un lado acostumbrados a obedecer, y por el otro no teniendo al príncipe antiguo, para hacer otro entre ellos no se ponen de acuerdo, vivir libres no saben, de modo que son más lentos para tomar las armas y con más facilidad puede un príncipe ganárselos y asegurarse de ellos. Pero en las repúblicas5 hay mayor vida, mayor odio, más deseo de venganza; y no las deja ni puede dejarlas descansar el recuerdo de la antigua libertad, de manera que el camino más seguro es destruirlas o residir en ellas.

      Non si maravigli alcuno se, nel parlare che io farò de’ principati al tutto nuovi, e di principe e di stato, io addurrò grandissimi esempli; perché, camminando gli uomini quasi sempre per le vie battute da altri, e procedendo nelle azioni loro con le imitazioni, né si potendo le vie di altri al tutto tenere, né alla virtú di quelli che tu imiti aggiugnere, debbe uno uomo prudente intrare sempre per vie battute da uomini grandi, e quelli che sono stati eccellentissimi imitare, acciò che, se la sua virtú non vi arriva, almeno ne renda qualche odore; e fare come gli arcieri prudenti, a’ quali parendo el loco dove disegnano ferire troppo lontano, e conoscendo fino a quanto va la virtú del loro arco, pongono la mira assai piú alta che il loco destinato, non per aggiugnere con la loro freccia a tanta altezza, ma per potere, con lo aiuto di sí alta mira, pervenire al disegno loro.

      Dico, adunque, che ne’ principati tutti nuovi, dove sia uno nuovo principe, si trova a mantenerli piú o meno difficultà, secondo che piú o meno è virtuoso colui che gli acquista. E perché questo evento di diventare, di privato, principe, presuppone o virtú o fortuna, pare che l’una o l’altra di queste dua cose mitighi, in parte, di molte difficultà; nondimanco, colui che è stato meno in sulla fortuna, si è mantenuto piú. Genera ancora facilità essere il principe costretto, per non avere altri stati, venire personalmente ad abitarvi. Ma per venire a quelli che, per propria virtú e non per fortuna, sono diventati principi, dico che li piú eccellenti sono Moisè, Ciro, Romulo, Teseo e simili. E benché di Moisè non si debba ragionare, sendo suto uno mero esecutore delle cose che gli erano ordinate da Dio, tamen debbe essere ammirato solum per quella grazia che lo faceva degno di parlare con Dio. Ma consideriamo Ciro e gli altri che hanno acquistato o fondato regni: li troverrete tutti mirabili; e se si considerranno le azioni e ordini loro particulari, parranno non discrepanti da quelli di Moisè, che ebbe sí gran precettore. Ed esaminando le azioni e vita loro, non si vede che quelli avessino altro dalla fortuna che la occasione; la quale dette loro materia a potere introdurvi dentro quella forma parse loro; e sanza quella occasione la virtú dello animo loro si sarebbe spenta e sanza quella virtú la occasione sarebbe venuta invano.

      Era dunque necessario a Moisè trovare il populo d’Israel, in Egitto, stiavo e oppresso dalli Egizii, acciò che quelli, per uscire di servitú, si disponessino a seguirlo. Conveniva che Romulo non capissi in Alba, fussi stato esposto al nascere, a volere che diventassi re di Roma e fondatore di quella patria. Bisognava che Ciro trovassi e’ Persi malcontenti dello imperio de’ Medi, e li Medi molli ed effeminati per la lunga pace. Non posseva Teseo dimostrare la sua virtú, se non trovava gli Ateniesi dispersi. Queste occasioni, pertanto, feciono questi uomini felici, e la eccellente virtú loro fece quella occasione essere conosciuta; donde la loro patria ne fu nobilitata e diventò felicissima.

      Quelli e’ quali per vie virtuose, simili a costoro, diventano principi, acquistano el principato con difficultà, ma con facilità lo tengono; e le difticultà che gli hanno nello acquistare el principato, in parte nascono da’ nuovi ordini e modi che sono forzati introdurre per fondare lo stato loro e la loro securtà. E debbasi considerare come non è cosa piú difficile a trattare, né piú dubbia a riuscire, né piú periculosa a maneggiare, che farsi capo a introdurre nuovi ordini; perché lo introduttore ha per nimici tutti quelli che degli ordini vecchi fanno bene, e ha tepidi difensori tutti quelli che degli ordini nuovi farebbono bene. La quale tepidezza nasce, parte per paura degli avversarii, che hanno le leggi dal canto loro, parte dalla incredulità degli uomini, li quali non credano in verità le cose nuove, se non ne veggono nata una ferma esperienza; donde nasce che qualunque volta quelli che sono nimici hanno occasione di assaltare, lo fanno partigianamente, e quegli altri defendano tepidamente: in modo che insieme con loro si periclita. ‘E necessario pertanto, volendo discorrere bene questa parte, esaminare se questi innovatori stanno per loro medesimi o se dependano da altri; cioè, se per condurre l’opera loro bisogna che preghino, ovvero possono forzare. Nel primo caso capitano sempre male e non conducano cosa alcuna; ma, quando dependono da loro proprii e possono forzare, allora è che rare volte periclitano. Di qui nacque che tutti e’ profeti armati vinsono, e li disarmati ruinorno. Perché, oltre alle cose dette, la natura de’ populi è varia; ed è facile a persuadere loro una cosa, ma è difficile fermarli in quella persuasione; e però conviene essere ordinato in modo che, quando e’ non credono piú, si possa fare loro credere per forza. Moisè, Ciro, Teseo e Romulo non arebbono possuto fare osservare loro lungamente le loro costituzioni, se fussino stati disarmati; come ne’ nostri tempi intervenne a fra’ Girolamo Savonarola; il quale ruinò ne’ sua ordini nuovi, come la moltitudine cominciò a non credergli; e lui non aveva modo a tenere fermi quelli che avevano creduto, né a far credere e’ discredenti. Però questi tali hanno nel condursi gran difficultà, e titti e’ loro periculi sono fra via, e conviene che con la virtú li superino: ma superati che gli hanno, e che cominciano ad essere in venerazione, avendo spenti quelli che di sua qualità li avevano invidia, rimangono potenti, securi, onorati, felici.

      A sí alti esempli io voglio aggiugnere uno esemplo minore; ma bene arà qualche proporzione con quelli, e voglio mi basti per tutti li altri simili: e questo è Ierone Siracusano. Costui, di privato, diventò principe di Siracusa; né ancora lui conobbe altro dalla fortuna che la occasione; perché, sendo e’ Siracusani oppressi, lo elessono per loro capitano, donde meritò d’essere fatto loro principe. E fu di tanta virtú, etiam in privata fortuna, che chi ne scrive, dice: “quod nihil illi deerat ad regnandum praeter regnum”. Costui spense la milizia vecchia, ordinò della nuova; lasciò le amicizie antiche, prese delle nuove; e come ebbe amicizie e soldati