Salvatore Algieri

I gatti di Sallustio


Скачать книгу

una forsennata febbre edilizia, la valle fu quasi completamente colmata (in parte con le macerie delle Mura Serviane) e intensamente edificata con palazzi a cinque-sei piani. La Villa Ludovisi rappresentò il centro di questa distruzione che, d’altro lato, ci ha fatto scoprire innumerevoli testimoni dell’antico splendore romano. Molte pregevoli sculture furono salvate, parecchie furono vendute a musei e collezionisti stranieri (più o meno legalmente). Oggi le si può ammirare a Roma, Copenaghen, Boston, Parigi, Londra o Würzburg. Ma molto è perduto per sempre.

       Suggerimenti bibliografici

      Kim J. Hartswick, The Gardens of Sallust, University of Texas Press, Austin 2004.

      Gino Cipriani, Horti Sallustiani, Istituto Nazionale delle Assicurazioni, Roma 1982.

      Emilia Talamo, Gli Horti di Sallustio a Porta Collina, in: Maddalena Cima, Eugenio La Rocca, Horti romani, L’Herma di Bretschneider, Roma 1998.

      Amato Pietro Frutaz, Le piante di Roma, 3 volumi, Istituto di studi romani, Roma, 1962.

      Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Carta Archeologica di Roma, Tavole II e III, Istituto Geografico Militare, Firenze, 1964 e 1977 (Testo e piante 1:2500).

      5. Venere Ericina

      Un edificio degli Horti Sallustiani di cui s’incontra spesso menzione nella letteratura latina è il tempio di Venere Ericina. Questo tempio era, in un certo senso, una “dépendance” del più famoso tempio di Venere, quello sul monte Erice in Sicilia. A Roma dovevano esserci diversi templi dedicati a Venere nella zona degli Horti Sallustiani. Erano conosciuti sotto diversi nomi: “Venere degli Horti Sallustiani” e “Venere Ericina”; se, in realtà, questi nomi indicavano templi diversi non è chiaro. Nella storia degli horti si trova spesso come tema ricorrente un legame tra i templi di Venere e il culto di Flora, dea della fioritura. Come accade spesso nell’antica mitologia, le tradizioni di diversi culti vengono un po’ mescolate ed è oggi difficile capire quali elementi del culto appartenessero a quale dea. In ogni caso le prostitute consacrate alla dea appaiono come elemento chiave di ambedue i riti.

      Nella pianta di Roma di Leonardo Bufalini del 1551 (Fig. 3) sono indicati i resti dell’edificio che ancora oggi si può vedere nel mezzo di piazza Sallustio e accanto l’iscrizione: Ludi Frolares (dovrebbe essere Florales) Meretricium nudarum, festa di Flora e delle nude prostitute. Lucio Mauro riporta nel 1556:

      …si vede una valletta, che fu il circo di Flora, dove le corteggiane ignude celebravano i giuochi Florali.

      A quel tempo si pensava ancora che in questa valle si trovasse un cosiddetto “circo di Flora” dove in passato si celebravano questi ludi. L’idea di una qualche struttura simile a un circo derivava forse dalla forma di questa valle sui cui lati lunghi si potevano ancora vedere i resti di terrazze e muri di sostegno (Fig. 6). Sulla festa di Flora che si celebrava dal 28 aprile al 3 maggio si trovano notizie nella letteratura latina: Valerio Massimo riporta che la rappresentazione delle prostitute in costume evitico scandalizzò il pudico Catone (il Giovane) che preferì allontanarsi dallo spettacolo per non imbarazzare i presenti. Solo dopo che Catone era andato via, la festa poté riprendere.

      Fig. 6 – Il Circo di Flora, dalla pianta di Roma di Johannes Blaeu, 1663 (versione di Pierre Mortier, 1704). A. L’odierno “ninfeo” di Piazza Sallustio. – B. Mura di sostegno del Quirinale. – C. Scritta “Vestigi del Circo di Flora”. – D. I giardini di Villa Ludovisi.

      Anche le celebrazioni per la Venere Ericina trovano diversi riscontri nella letteratura latina; molto nota era la festa che ricordava il giorno della consacrazione del tempio, il 23 aprile. Durante questa festa veniva servito il vino nuovo e, con la solita mescolanza di tradizioni, si parlava di questa festa anche come Vinalia. Ma c’è di peggio: per molti era questa una festa in onore di Giove. Ovidio cerca di dipanare un po’ la matassa nei suoi Fasti (un discorso poetico sul calendario romano): per il 23 aprile ci racconta una bella storia su Enea. Ma già bastano i primi versi per dare un’idea dell’atmosfera di questa celebrazione:

       Voi fanciulle di facili costumi celebrate il potere di Venere, la dea favorisce i guadagni della vostra professione. Offrite incenso e pregate per il benvolere della gente, che siate affascinanti e capaci di brillante conversazione. Offrite alla dea il mirto e la menta che lei così ama e intrecciate rose nelle corone di giunchi. Ora è il tempo per accorrere a schiere al suo tempio vicino a Porta Collina che ha preso il suo nome dall’altura siciliana.

      Il tempio della Venere Ericina era veramente nell’area degli horti? Se i giardini erano effettivamente appartenuti a Cesare prima di passare a Sallustio, non ci si dovrebbe meravigliare se Cesare avesse avuto una speciale venerazione per la dea, in fin dei conti la stirpe Giulia discendeva da Enea ed Enea era figlio di Venere. Per diversi secoli si è cercato di individuare la posizione di questo tempio: nel 1551 sul terreno di Gabriele Vacca negli Horti Sallustiani, che poi divenne proprietà dei Ludovisi, vennero alla luce resti di un edificio ovale con colonne di marmo giallo e alabastro. Il figlio, Flaminio, si ricordava nell’anno 1594 che in un fondo, dove si dice gl’Orti Salustiani suo padre

       cavandoci trovò una gran fabbrica di forma ovata, con portico attorno ornato di Colonne gialle, longhe palmi diecidotto…

      Fin nel secolo ventesimo si credeva che questo edificio fosse proprio il tempio di Venere Ericina (Fig. 7). Questi resti sono oggi scomparsi: il cardinale di Montepulciano acquistò le colonne per la sua cappella e fece rilavorare le parti di alabastro in lastre che regalò al re del Portogallo. Ma il regalo non arrivò mai a destinazione: in una tempesta le lastre affondarono insieme alla nave che le trasportava.

      Fig. 7 – Pianta che si ritiene raffiguri la costruzione trovata nella Vigna Vacca.

      Ancora nel 1888 l’archeologo Lanciani era convinto che l’edificio scoperto dal Vacca fosse il tempio di Venere Ericina o Venere degli Horti Sallustiani (anche se la pianta a cui si riferiva era di forma rotonda e non ovata!). Sulla localizzazione del tempio esistono ancora dubbi: i resti di terrazze e sale con colonne rinvenute sotto via Sicilia sul lato nord della valle potrebbero essere un indizio, anche perché in questa zona si trovarono diverse sculture che potrebbero essere in relazione con il culto di Venere, tra queste il famoso Trono Ludovisi con un bassorilievo della nascita di Venere (Fig. 8-8c). Quest’opera fu scoperta nell’estate del 1887 durante i lavori nella villa Ludovisi per la costruzione del nuovo quartiere. In questo caso, come in altri che vedremo, ci sono incertezze sull’esatto luogo del ritrovamento perché questo potrebbe determinare se la scultura apparteneva ai Boncompagni-Ludovisi o al comune: infatti Rodolfo Boncompagni-Ludovisi, la Società Generale Immobiliare e il comune avevano firmato un accordo secondo il quale la città avrebbe finanziato soltanto la costruzione delle arterie principali, via Boncompagni e via Veneto, tutto il resto doveva essere finanziato dagli altri due contraenti. Ma ciò significava anche che solo gli oggetti ritrovati sotto le due strade sarebbero appartenuti alla città.

      Fig. 8 – Trono Ludovisi (dal lato posteriore), Museo Nazionale Romano a Palazzo Altemps

      L’archeologo Carlo Ludovico Visconti descrive così la scoperta:

       Un monumento singolarissimo, non meno per la forma che per le rappresentanze e per lo stile, è stato di recente diseppellito nella villa Ludovisi;….Si tratta di una specie di sponda o parapetto (peristomion) cavato in un sol pezzo di marmo, il quale si compone di una fronte, e di due lati….

      Egli ringrazia i Boncompagni-Ludovisi che gli hanno permesso di pubblicare una foto nel Bullettino della commissione archeologica comunale di Roma e riporta che l’opera verrà esposta nella