signora Giada Spergolini, nella quale aveva scoperto un'inaspettata amante della musica jazz, e che quindi, per lui, era un'ottima interlocutrice. Non senza una punta di gelosia, che peraltro ero riuscita subito a reprimere, mi ero allontanata dai due per dedicarmi a osservare alcuni dipinti appesi alle pareti e un'antica libreria dove erano conservati testi anche piuttosto datati e introvabili. Adocchiai in particolare un libro, con un'elegante sovraccoperta a colori raffigurante Piazza Colocci e il Palazzo della Signoria, dal titolo “Storia di Jesi”. L'edizione era datata 1969; sarebbe stato molto difficile trovarne una copia in libreria, e mi sarebbe piaciuto sfogliarla, ma le ante della scaffalatura erano chiuse a chiave e potevo ammirare il testo solo attraverso i vetri. Quando mi accorsi che erano rimasti solo pochissimi ospiti, oltre i padroni di casa, mi riavvicinai a Stefano.
«Andiamo. È davvero tardi, e abbiamo promesso alla baby-sitter che saremmo rincasati entro l'una», gli dissi. Non oppose resistenza, salutammo quanti erano ancora presenti e ci avviammo verso l'uscita. Uscimmo dall'ingresso principale, scendemmo la scalinata e ci avviammo sul vialetto che conduceva all'esterno della proprietà, verso il parcheggio dove avevamo lasciato l'auto.
La pressione avvertita dai miei timpani, dovuta a un improvviso spostamento d'aria, mi fece rendere conto della situazione di grave pericolo. Una frazione di secondo prima di sentire il boato dell'esplosione, d'istinto gettai un braccio intorno alle spalle di Stefano, che camminava al mio fianco, e mi buttai a terra trascinandomelo dietro. Non feci in tempo a toccare il terreno, la faccia rivolta in basso, che mi sentii investire da una pioggia di pezzi di intonaco, di mattoni e di vetri infranti. Quando fu finita, sollevai la testa con cautela, rivolgendomi nella direzione di Stefano, che si stava per rialzare.
«Fermo, aspettiamo qualche istante. A una prima esplosione ne potrebbero seguire altre, così per lo meno mi hanno insegnato al corso di addestramento. Meglio rimanere ancora fermi!»
Dopo sessanta interminabili secondi in cui non successe più nulla, decisi, anche se non ne potevo essere sicura, che ci si poteva alzare. Osservai Stefano ricoperto da una coltre di polvere bianca, lo scuro smoking aveva cambiato colore, mentre i capelli, da brizzolati, erano diventati del tutto bianchi. Mi resi conto che io ero conciata in condizioni simili se non peggiori.
«Ormai dovrei saperlo che vestire in abiti eleganti mi porta sfortuna!» pensai, girandomi verso la villa per cercare di capire cosa fosse successo. La facciata dell'abitazione era stata ferita da uno squarcio di almeno quattro o cinque metri di diametro, a lato dell'ingresso principale. Due finestre del salone, all'interno del quale stavamo conversando solo pochi minuti prima, erano state disintegrate e dalla voragine usciva del fumo nero e qualche lingua di fuoco. Mi guardai intorno e vidi che alcuni degli ospiti, che stavano percorrendo il vialetto come noi, si erano buttati a terra coprendosi la testa con le braccia, imitando forse quanto avevo fatto io. Una signora che era rimasta in piedi era stata colpita in fronte da un grosso frammento di mattone e aveva l'arcata sopraciliare che sanguinava.
Presi il palmare e chiamai il mio ufficio. Dopo un paio di squilli rispose Roberta.
«È un'emergenza, priorità assoluta. C'è stata un'esplosione, suppongo un attentato dinamitardo, qui a Villa Brandi. Occorrono i pompieri e delle ambulanze. Non so ancora dire con certezza quanti siano i feriti. Di sicuro ci sono vittime all'interno dell'abitazione.»
«Ricevuto. Provvedo subito a mandare i soccorsi e raduno la nostra squadra, è lavoro per noi. Ah, la prego, Dottoressa, ormai la conosco abbastanza da credere che entrerà in quell'abitazione semidistrutta prima di chiunque altro. Non le chiedo di desistere ma, per l'amor del cielo, faccia attenzione, non si metta in condizioni di pericolo anche lei!»
La sovrintendente mi aveva letto nel pensiero? Certo che sarei entrata, e subito! Se non altro per verificare se c'erano morti o feriti.
«È dotata di un estintore la tua auto?», chiesi a Stefano.
«Sì, certo. Piccolo, ma funzionante. Ehi, dico, non vorrai mica entrare lì dentro? Ora arriveranno i pompieri e ci penseranno loro!»
«Ogni istante può essere prezioso al fine di salvare delle vite umane. Portami l'estintore e poi vai a casa. Tu qui non puoi essere di nessuna utilità, e sapere che sei insieme ad Aurora mi renderà un po' più tranquilla.»
«Bene, vedo che il tuo congedo per maternità è finito in questo preciso istante. Hai ripreso appieno i tuoi panni di poliziotto. Mi adeguo, ma mi raccomando al tuo buon senso, ora che oltre a essere un poliziotto sei anche una mamma.»
Mmh... non c'è due senza tre. Chi sarà il prossimo a farmi raccomandazioni? Rimuginai tra me e me. Poi, ad alta voce: «Tranquillo, so badare a me stessa!»
Mentre Stefano andava a prendere l'estintore, io riflettei su quale fosse la via d'accesso migliore per entrare in villa. Reputavo infatti l'ingresso principale troppo rischioso. A piano terra c'erano almeno due ingressi di servizio, scelsi di utilizzare quello dal lato opposto rispetto alla zona in cui, al piano superiore, si era verificata l'esplosione. E feci bene, perché in corrispondenza dell'altro ingresso, il solaio era ceduto e avrei trovato l'accesso sbarrato da una montagna di detriti. Entrai con l'estintore in mano, incontrai alcuni camerieri e cuochi che avevano fatto servizio durante la serata e che, per fortuna, stavano rigovernando la lavastoviglie ed erano quindi tutti nel lato della casa rimasto illeso. Se fossero stati nelle cucine, sarebbero stati investiti dallo sprofondamento del solaio sovrastante.
«Polizia! Tutto bene qui?» fu la domanda di rito. Erano tutti impauriti, ma incolumi. Dal momento che l'impianto elettrico era saltato, la dimora era pressoché sprofondata nel buio, a parte la fievole illuminazione fornita dalle luci di emergenza.
«Inutile dirvi che dovete uscire da qui, ma nessuno deve allontanarsi da questo luogo per alcun motivo finché non arriveranno i miei colleghi per prendere le vostre generalità e interrogarvi sull'accaduto! Come si fa ad andare di sopra?»
Ero conscia che l'attentatore o gli attentatori potevano benissimo essere all'interno dell'abitazione. E io ero disarmata. L'unica cosa con cui mi potevo difendere era l'estintore ma, contro una pistola o, peggio, dell'altro esplosivo, sarebbe servito a poco! Comunque un sesto senso mi diceva che non avrei trovato criminali all'interno della villa. Si potrebbe essere trattato di un ordigno a tempo, o magari telecomandato. E poi perché ero convinta si trattasse di un attentato? Forse per tutte le storie che avevo avuto modo di ascoltare sulla villa? Potrebbe essersi trattato di un semplice incidente, che so, dovuto all'esplosione di una tubatura del gas. Ma proprio in quella serata e con quel tempismo? L'esplosione sembrava avvenuta ad arte, nel salone dove erano rimasti ormai solo i membri delle famiglie Brandi e Gloriani. Inutile fare congetture prima dell'arrivo della Scientifica. In quel momento c'era solo da preoccuparsi di vedere se ci fosse qualche superstite da trarre in salvo.
Fu il capo cameriere a indicarmi una porta, da cui si accedeva al vano scale che conduceva al piano di sopra. Arrivata nel salone, riuscii a domare un piccolo principio di incendio grazie all'estintore. Fortuna aveva voluto che vicino alle fiamme non ci fossero suppellettili propense a prendere fuoco, tipo librerie o mobili in legno, e il pavimento era piastrellato, niente moquette o parquet. Ma lo spettacolo che si presentò ai miei occhi era comunque raccapricciante. Le cinque persone che solo pochi minuti prima erano stati ameni interlocutori erano riversi a terra, senza segni di vita. Il signor Aldo aveva la testa fracassata e il corpo, a ridosso di una parete contro la quale era stato scaraventato dall'esplosione, era piegato ad angolo retto, il tronco appoggiato al muro e le gambe al pavimento. La sua gamba sinistra era stranamente ripiegata su se stessa, spezzata in due, mentre credo che la destra si fosse disarticolata dal bacino, in quanto sporgeva in maniera smisurata dal pantalone. Suo fratello, il signor Giulio, a giudicare dalla scia di sangue, si era trascinato, gravemente ferito, fino alla voragine aperta dall'esplosione, magari cercando scampo all'esterno, ma era ora senza vita, riverso bocconi con la testa penzolante dalla facciata esterna della casa e l'addome squarciato, da cui fuoriuscivano le interiora. Il corpo di Giada Spergolini era carbonizzato, alcuni lembi dei suoi vestiti erano ancora in fiamme, la poveraccia era stata investita dalla fiammata innescata dalla deflagrazione. Non avrebbe mai più parlato di musica jazz con Stefano. La signora Liana e il Signor Alfredo sembravano quelli in condizioni migliori. Forse erano rimasti più distanti degli altri e avevano subito meno insulti. La donna era riversa