sulla via che sapevo la signora Malfenti e le figliuole dovevano percorrere al ritorno dalla messa. Era una festa piena di sole e, camminando, pensai che forse in città m’aspettava la novità attesa, l’amore di Ada!
Non fu così, ma per un altro istante n’ebbi l’illusione. La fortuna mi favorì in modo incredibile. M’imbattei faccia a faccia in Ada, nella sola Ada. Mi mancò il passo e il fiato. Che fare? Il mio proponimento avrebbe voluto che mi tirassi in disparte e la lasciassi passare con un saluto misurato. Ma nella mia mente ci fu un po’ di confusione perché prima c’erano stati altri proponimenti tra cui uno che ricordavo secondo il quale avrei dovuto parlarle chiaro e apprendere dalla sua bocca il mio destino. Non mi trassi in disparte e quand’ella mi salutò come se ci fossimo lasciati cinque minuti prima, io m’accompagnai a lei.
Ella mi aveva detto:
– Buon giorno, signor Cosini! Ho un po’ fretta.
Ed io:
– Mi permette di accompagnarla per un tratto?
Ella accettò sorridendo. Ma dunque avrei dovuto parlarle? Ella aggiunse che andava direttamente a casa sua, perciò compresi che non avevo a disposizione che cinque minuti per parlare ed anche di quel tempo ne perdetti una parte a calcolare se sarebbe bastato per le cose importanti che dovevo dirle. Meglio non dirle che non dirle interamente. Mi confondeva anche il fatto che allora nella nostra città, per una fanciulla, era già un’azione compromettente quella di lasciarsi accompagnare sulla via da un giovanotto. Ella me lo permetteva. Non potevo già accontentarmi? Intanto la guardavo, tentando di sentir di nuovo intero il mio amore annebbiatosi nell’ira e nel dubbio. Riavrei almeno i miei sogni? Ella m’appariva piccola e grande nello stesso tempo, nell’armonia delle sue linee. I sogni ritornavano in folla anche accanto a lei, reale. Era il mio modo di desiderare e vi ritornai con gioia intensa. Spariva dal mio animo qualunque traccia d’ira o di rancore.
Ma dietro di noi si sentì un’invocazione esitante:
– Se permette, signorina!
Mi volsi indignato. Chi osava interrompere le spiegazioni che non avevo ancora iniziate? Un signorino imberbe, bruno e pallido, la guardava con occhi ansiosi. A mia volta guardai Ada nella folle speranza ch’essa invocasse il mio aiuto. Sarebbe bastato un suo segno ed io mi sarei gettato su quell’individuo a domandargli ragione della sua audacia. E magari avesse insistito. I miei mali sarebbero stati guariti subito se mi fosse stato concesso d’abbandonarmi ad un atto brutale di forza.
Ma Ada non fece quel segno. Con un sorriso spontaneo perché mutava lievemente il disegno delle guancie e della bocca ma anche la luce dell’occhio, ella gli stese la mano:
– Il signor Guido!
Quel prenome mi fece male. Ella, poco prima, mi aveva chiamato col nome mio di famiglia.
Guardai meglio quel signor Guido. Era vestito con un’eleganza ricercata e teneva nella destra inguantata un bastone dal manico d’avorio lunghissimo, che io non avrei portato neppure se m’avessero pagato perciò una somma per ogni chilometro. Non mi rimproverai di aver potuto vedere in una simile persona una minaccia per Ada. Vi sono dei loschi figuri che vestono elegantemente e portano anche di tali bastoni.
Il sorriso di Ada mi ricacciò nei più comuni rapporti mondani. Ada fece la presentazione. E sorrisi anch’io! Il sorriso di Ada ricordava un poco l’increspatura di un’acqua limpida sfiorata da una lieve brezza. Anche il mio ricordava un simile movimento, ma prodotto da un sasso che fosse stato gettato nell’acqua.
Si chiamava Guido Speier. Il mio sorriso si fece più spontaneo perché subito mi si presentava l’occasione di dirgli qualche cosa di sgradevole:
– Lei è tedesco?
Cortesemente egli mi disse che riconosceva che al nome tutti potevano crederlo tale. Invece i documenti della sua famiglia provavano ch’essa era italiana da varii secoli. Egli parlava il toscano con grande naturalezza mentre io e Ada eravamo condannati al nostro dialettaccio.
Lo guardavo per sentire meglio quello ch’egli diceva. Era un bellissimo giovine: le labbra naturalmente socchiuse lasciavano vedere una bocca di denti bianchi e perfetti. L’occhio suo era vivace ed espressivo e, quando s’era scoperto il capo, avevo potuto vedere che i suoi capelli bruni e un po’ ricciuti, coprivano tutto lo spazio che madre natura aveva loro destinato, mentre molta parte della mia testa era stata invasa dalla fronte.
Io l’avrei odiato anche se Ada non fosse stata presente, ma soffrivo di quell’odio e cercai di attenuarlo. Pensai: – È troppo giovine per Ada. – E pensai poi che la confidenza e la gentilezza ch’essa gli usava fossero dovute ad un ordine del padre. Forse era un uomo importante per gli affari del Malfenti e a me era parso che in simili casi tutta la famiglia fosse obbligata alla collaborazione. Gli domandai:
– Ella si stabilisce a Trieste?
Mi rispose che vi si trovava da un mese e che vi fondava una casa commerciale. Respirai! Potevo aver indovinato.
Camminavo zoppicando, ma abbastanza disinvolto, vedendo che nessuno se ne accorgeva. Guardavo Ada e tentavo di dimenticare tutto il resto compreso l’altro che ci accompagnava. In fondo io sono l’uomo del presente e non penso al futuro quando esso non offuschi il presente con ombre evidenti. Ada camminava fra noi due e aveva sulla faccia, stereotipata, un’espressione vaga di lietezza che arrivava quasi al sorriso. Quella lietezza mi pareva nuova. Per chi era quel sorriso? Non per me ch’essa non vedeva da tanto tempo?
Prestai orecchio a quello che si dicevano. Parlavano di spiritismo e appresi subito che Guido aveva introdotto in casa Malfenti il tavolo parlante.
Ardevo dal desiderio di assicurarmi che il dolce sorriso che vagava sulle labbra di Ada fosse mio e saltai nell’argomento di cui parlavano, improvvisando una storia di spiriti. Nessun poeta avrebbe potuto improvvisare a rime obbligate meglio di me. Quando ancora non sapevo dove sarei andato a finire, esordii dichiarando che ormai credevo anch’io negli spiriti per una storia capitatami il giorno innanzi su quella stessa via… anzi no!… sulla via parallela a quella e che noi scorgevamo. Poi dissi che anche Ada aveva conosciuto il professor Bertini ch’era morto poco tempo prima a Firenze ove s’era stabilito dopo il suo pensionamento. Seppimo della sua morte da una breve notizia su un giornale locale che io avevo dimenticata, tant’è vero che, quando pensavo al professore Bertini, io lo vedevo passeggiare per le Cascine nel suo meritato riposo. Ora, il giorno innanzi, su un punto che precisai della via parallela a quella che stavamo percorrendo, fui accostato da un signore che mi conosceva e che io sapevo di conoscere. Aveva un’andatura curiosa di donnetta che si dimeni per facilitarsi il passo…
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