Giambattista della Porta

La Carbonaria


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dunque farvi una poliza falsa.

      Pirino. Troppo pericolo: ci va la vita.

      Forca. Non si può aver il mèle senza le mosche, né si ponno far le grandi imprese senza pericoli; e quando si vuol far un gran fatto, non bisogna nominar pericoli, perché l’animo si raffredda e si fa pauroso. Bisogna por mano a cambi, interessi, scrocchi, usure e rubberie.

      Pirino. Chi me li dará, se non è sensal ne’ banchi che non m’abbia in lista; e quando mi sentono nominare: «O che ditta, o che mercadante da tor ad occhi chiusi!». Poi, non sai che è fatta una pragmatica, che non si dia robba in credito a figli di famiglia?

      Forca. Dunque questa pragmatica vieta ancora a me, che non t’abbi credito di quella somma di danari che m’hai promessa. Cerchiamola in presto da alcun amico.

      Pirino. Cercali tu da parte mia.

      Forca. Se non han credito a voi, come l’aranno a me?

      Pirino. Come cerchi danari in presto ad un amico, subito ti risponde che non gli ha e ti diventa inimico.

      Forca. Pigliamoli ad usura.

      Pirino. Non mi piace.

      Forca. A chi vuol dormir con l’innamorata, bisogna trovar la pecunia, padrone.

      Pirino. Non è giorno che non discorra col cervello per tutti i banchi del mondo. O che cosa infelice è il non aver danari!

      Forca. Massime a voi, povero di danari e ricco d’appetito.

      Pirino. Non so che fare.

      Forca. Anzi bisogna disfare.

      Pirino. Chi vogliamo disfare?

      Forca. Tuo padre. Avemo il ben in casa e lo vogliamo cercare altrove.

      Pirino. Lo caricheremo di troppo peso di dolore.

      Forca. Lo scaricheremo di peso di argento.

      Pirino. Non sará possibil mai, perché sta tanto sospetto di noi, che, nol facendo stima che lo facciamo; poi se lo saprá, che fia di noi?

      Forca. Ti fo la sicurtá con le mie spalle.

      Pirino. Tu sai che in casa non mancano legne, e quando ce ne fusse carestia, abbiamo la villa vicina.

      Forca. Ho buone spalle per la villa e per la casa: tra le bastonate e le mie spalle ci è una antica amicizia, un invecchiato parentado: ci ho fatto il callo, non mi son cose nuove, mi son fatte naturali.

      Pirino. Come faremo che non se ne accorga?

      Forca. Aprimogli il scrittorio con il grimaldello; poi, quando gli aremo gli li restituiremo.

      Pirino. Buon’arte m’insegni.

      Forca. Non è usanza di servi forse?

      Pirino. E quando lo saprá, che faremo?

      Forca. Che so io? qualche mala cosa.

      Pirino. E questo è l’amor e la riverenza paterna?

      Forca. E voi coricatevi la notte con questa riverenza, abbracciatevela e baciatela, e lasciate star Melitea. Questo modo è precipitoso, questo non è buono; qua ci va la conscienza, qui la riverenza: voi quello che potete, non volete, e quello che non potete, volete. Ne avete poca voglia. A dio.

      Pirino. Oh, come sei colerico! stammi allegro, che ad un ammalato è gran refrigerio aver un medico allegro.

      Forca. Voi sète un ammalato troppo pusillanimo e disobediente; non volete sorbir le medicine.

      Pirino. Queste tue medicine son troppo violenti per lo pericolo della vita, troppo nauseabonde per l’infamia e troppo amare per l’anima: e se ben la polvere del delitto mi accieca l’occhio della ragione, pur non son tanto cieco che non conoschi l’errore.

      Forca. Perdo il tempo, mi vo’ partire.

      Pirino. Aspetta, férmati un poco. Ahi, traditora fortuna, a che mi conduci? Eccomi in una grandissima lite tra il padre e l’amore: il padre mi cerca la riverenza, amor non ascolta ragioni, è giudice e parte, mi spaventa con le saette e col fuoco e con la morte. Padre mio, vorrei ubbidirvi, amor non lascia dispor di me: o anima mia, bilanciata da tanti mali e agitata da tante onde di tempeste, come determinerai questa lite? Padre mio caro, abbi pazienza per questa volta: amor che vince ogni cosa, vince ancor me: perda il tutto e acquisti Melitea. Forca, ti do in mano il freno d’ogni mia volontá.

      Forca. Bisogna far un inganno a vostro padre.

      Pirino. Se non basta a mio padre, fallo a mia madre, fallo a me ancora.

      Forca. Conosco che sète un di quei che bisogna fargli ben per forza: bisogna aver animo per me e per voi. Vi vo’ far conoscere che vaglio tanto oro quanto peso: son rissoluto d’ingannarlo.

      Pirino. Come? dove? dimmi.

      Forca. Non so il come né il dove: levo di qua, pono di lá; sconcia di qua, poni di lá, andrò tanto girando col cervello, che qualche cosa sará. Ma ecco tuo padre, conosco negli occhi il fuoco della còlera: scostati da me, che non ci veggia insieme.

      Pirino. Starò a veder quel che fará costui: alcuna solenne astuzia gli uscirá di mano.

      SCENA V

      Filigenio vecchio. Forca. Pirino.

      Filigenio. Fu giudicata sempre la buona educazione il fonte e l’origine degli abiti virtuosi e il fondamento delle umane felicitá, e tanto necessaria al buon vivere quanto l’anima al vivere. Perché, introducendosi a poco a poco ne’ teneri intelletti il zelo della santa religione, con quella si viene a dar l’imperio alla ragione, freno agli affetti e termine alla volontá.

      Forca. (Oh, gran pedagogo sarebbe stato il mio padrone!).

      Filigenio. Cosí, al contrario, la cattiva educazione è la fucina dove si fabricano gli strumenti della ruina della misera gioventú; perché, mancando per l’immatura etá la virtú moderatrice dei temerari desidèri della strabocchevol concupiscenza, corre sfrenata ad ogni precipitoso consiglio, e le buone qualitá della natura vengono atterrate e tiranneggiate da’ vizi e difetti del tempo. Ecco l’essempio in Pirino mio figliuolo: ché bisognando per alcuni miei affari partirmi di Napoli, le mie occupazioni fur cagione del suo ozio, restando in tutela di un servo ribaldissimo, furfante della cappellina, capo de tutti i furbi del mondo.

      Forca. (Giá è entrato nelle mie lodi, racconta il catalogo delle mie virtú).

      Filigenio. Ma a che mi affatico a dir tanto? basta che è servo. Cosí tutte quelle virtú e buone qualitá che gli erano state largamente dotate dalla natura, da cosí cattiva educazione sono state spente e atterrate. Onde poco stima Dio, manco il padre, sprezza ogni buon ricordo; e fattosi idol quel suo servo, corre precipitoso dietro a quello che gli vien additato da costui. Onde appena sono in piazza, che le genti mi sono adosso, dicendomi che Pirino sta innamorato di una puttana; e che quelle ricchezze che con tanto risparmio e lunghe fatiche sono state raunate in casa mia, vanno in essilio in casa di un ruffiano e si consumano in un viver lussurioso; e che allettato dagli artefici di costei, cerca rubbarmi cinquecento ducati per riscattarla.

      Forca. (Fa’ e di’ quanto sai, ché con i tuoi dinari la riscattaremo).

      Filigenio. E se non fusse che veggio persone di maggior etá e condizione, anzi di quei che governano al mondo, inviluppati in simili materie, mi dispererei; ma con l’essempio di persone cosí degne allevio gli affanni miei. Ma eccolo: Forca, Forca; mi son accorto di te ben, sí!

      Forca.