guardando quel meraviglioso vascello che il vento spingeva sopra i muggenti flutti dell’oceano. Tutti quegli uomini parevano stupiti da quella improvvisa apparizione. Avevano indovinato di che cosa si trattasse, o la scambiavano, come gli abitanti di Terranova, per un immenso uccello di nuova specie? A quel silenzio successe ben presto un clamore assordante: hurrah immensi echeggiarono da un capo all’altro del grande banco, si agitavano i berretti, si ammainavano le bandiere tre volte in segno di saluto, si suonavano furiosamente le campane e le trombette, e si sparavano i petrieri, come quando le pesanti nebbie piombano repentinamente sulle flottiglie.
I legni da guerra, i cui equipaggi avevano subito compreso di cosa si trattasse e che forse avevano avuto sentore dell’ardita spedizione del Mister Kelly, scaricavano i loro pezzi, mentre i marinai, arrampicatisi sui pennoni, salutavano gli intrepidi aeronauti con formidabili hurrah.
“Grazie!” gridò l’ingegnere, vivamente commosso, mentre sventolava la bandiera degli Stati dell’Unione e O’Donnell scaricava le due carabine.
Ma la loro comparsa fu rapida, il vento spingeva l’aerostato sopra l’oceano con la velocità di sessanta miglia all’ora, in pochi minuti passò sopra quelle lunghe file di navi e di canotti e si allontanò verso il nord-est.
“Per San Patrick! “esclamò l’irlandese. “Vi confesso. Mister Kelly, che quell’inattesa accoglienza mi ha scombussolato.”
“E io vi dico che non sono meno commosso di voi, O’Donnell” rispose l’ingegnere.
“Che questi pescatori conoscessero già il vostro progetto?”
“È probabile, perché negli Stati Uniti e nel Canada ne hanno parlato a lungo, e quelli di Terranova ne saranno stati informati.”
“Comunque sia, quella dimostrazione d’affetto è stata commovente, ingegnere. Non mi ha permesso di seguire attentamente la pesca dei merluzzi.”
“Ne sapete già abbastanza, su quella pesca.”
“Sì, grazie alla Vostra erudizione. Quale direzione teniamo?”
“Sempre quella di nord-est, cioè della mia corrente.”
“E non incontreremo più terre, d’ora innanzi?”
“Nessuna fino sulle coste d’Europa.”
“Diavolo! Ciò produce un certo effetto, Mister Kelly.”
“Lo manderete giù assieme a quattro bocconi e a una bottiglia di vecchio vino di Spagna.”
“Credo che abbiate ragione” rispose l’irlandese, sorridendo.
“Un buon bicchiere di vino scaccia meglio di qualunque altra cosa le emozioni, anzi, vi confesso che questo freddo mi ha messo indosso un certo appetito.”
“Sono sette ore che non abbiamo messo sotto i denti una briciola di biscotto. Ehi! Simone, preparaci qualche cosa.”
“È fiato sprecato, Mister Kelly. Il vostro negro mi pare che sia sempre mezzo morto di paura. Evidentemente i viaggi aerei non sono fatti per i negri.”
L’irlandese aveva ragione. Il servitore dell’ingegnere non si era ancora mosso dal posto che occupava e continuava a tenersi strettamente aggrappato alle corde gettando in giro degli sguardi smarriti.
“Orsù, poltrone” disse l’ingegnere. “Quale strana paura ti ha invaso?”
“Temo di cadere, massa” rispose il negro balbettando.
“Forse cadiamo noi?”
“Io sono negro, e voi…”
“Siamo bianchi” disse O’Donnell, scoppiando in una fragorosa risata. “Che gli uomini della nostra razza portino nel ventre un magazzino d’idrogeno? Che sia proprio così, signor discendente di Cam?”
Il negro cercò di sorridere a quelle parole ma, invece, le sue grosse e tumide labbra si contorsero orribilmente, senza riuscirvi. Quel povero diavolo fece però uno sforzo supremo per alzarsi; ma ricadde pesantemente, come se avesse le gambe rotte, emettendo un grido di spavento.
Quell’altezza produceva su di lui un senso di invincibile paura; quel vuoto lo atterriva e gli faceva girare la testa.
“Rimani là” disse O’Donnell. “M’incarico io del servizio di bordo, poltrone.”
In un batter d’occhio aprì una cassa, ne tolse una scatola di carne arrostita, un’altra di acciughe, dei biscotti, una bottiglia, bicchieri e posate, e preparò la tavola, che era sostituita da una panchina del battello.
“Quando desiderate, Mister Kelly” disse con la sua più bella voce.
L’ingegnere, che stava esaminando i suoi strumenti, si affrettò a rispondere all’appello, ed i due aeronauti, che cominciavano a provare i morsi della fame intaccarono con molto appetito le vivande, senza dimenticare il negro, il quale fece molto onore al pasto, specialmente alla bottiglia, malgrado la sua grande paura.
Terminata la cena, l’ingegnere e l’irlandese accesero le sigarette, poi volsero uno sguardo verso l’ovest.
Il grande banco era scomparso sotto l’orizzonte, e l’aerostato filava sull’immensa distesa dell’Atlantico, i cui muggiti salivano fino alla navicella.
L’irlandese, malgrado la sua audacia, impallidì leggermente. Ormai non dovevano contare più sulle loro forze e sul loro vascello aereo, poiché la sola immensità li circondava e in caso di catastrofe nessun uomo sarebbe accorso in loro aiuto.
Quasi contemporaneamente il sole tramontò e le tenebre piombarono bruscamente sull’oceano avvolgendo l’aerostato.
Capitolo 7. In mezzo all’Atlantico
L’Oceano Atlantico, che gli arditi aeronauti stavano per attraversare, è il più noto ed il più frequentato di tutti, quantunque sia stato interamente percorso solamente dopo la scoperta dell’America.
La sua esistenza era già nota agli antichi; ma fino al quindicesimo secolo, anzi più tardi, se ne ignoravano i confini. Oggi si conoscono esattamente la sua superficie, che è stata calcolata di 79.721.274 chilometri quadrati, la sua lunghezza che tocca dal nord al sud i 13.335 chilometri e le sue maggiori larghezze, che variano fra i 3500 e i 3600 chilometri, ed anche le sue profondità.
Anticamente si credeva che il fondo degli oceani, date le loro immense estensioni, fossero dappertutto uguale. Gli scandagli eseguiti con grandi fatiche, ma con molte cure, dalle navi da guerra delle nazioni europee ed americane hanno invece dimostrato che quei fondi hanno pianure, montagne ed abissi come tutti i continenti.
L’Atlantico specialmente non ha un fondo regolare: tutt’altro. Generalmente le valli di questo oceano diventano più profonde di mano in mano che si allontanano dai continenti; ma esso ha dei pianori che conservano la loro profondità per parecchie centinaia di miglia, anzi per delle migliaia. La parte centrale del bacino settentrionale, per esempio, è un immenso pianoro di forma irregolare, che si mantiene a circa 2000 braccia sotto la superficie delle acque e si alza lentamente verso le Azzorre, che possono chiamarsi il punto culminante, e verso le Isole Britanniche, le quali si trovano appoggiate sopra un banco che ha solo cento braccia di profondità; il che giustamente fa supporre che quel banco, o piattaforma, non sia altro che una parte sommersa dell’Europa. Ma se l’Atlantico ha grandi pianori che si mantengono a una costante profondità, ha più baratri immensi, spaventevoli, sia nel bacino settentrionale sia in quello meridionale. Fra le Isole Britanniche e l’Islanda ne fu misurato uno che diede una larghezza di 1200 miglia e una profondità di tre chilometri; a 130 chilometri da Porto Rico, un altro diede 8341 metri; un terzo a 0° 11, di latitudine sud, verso il Capo Verde, diede 7370 metri; un quarto, fra Madera e le Canarie, diede 5000 metri, e un quinto, fra le Azzorre e la costa del Portogallo, altrettanti.
Quale terribile fine per gli aeronauti, se l’aerostato fosse scoppiato bruscamente o si fosse lacerato sopra uno di quegli immensi baratri!
Fortunatamente quel magnifico vascello aereo, fabbricato dall’ingegnere con cura strema, dotato di uria forza ascensionale così potente ed equilibrato come era, si comportava quanto e forse meglio di un vascello galleggiante sull’acqua.