Federico De Roberto

I Vicere


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ederico De Roberto

      I VICERÉ

      Parte prima

      1

      Giuseppe, dinanzi al portone, trastullava il suo bambino, cullandolo sulle braccia, mostrandogli lo scudo marmoreo infisso al sommo dell’arco, la rastrelliera inchiodata sul muro del vestibolo dove, ai tempi antichi, i lanzi del principe appendevano le alabarde, quando s’udì e crebbe rapidamente il rumore d’una carrozza arrivante a tutta carriera; e prima ancora che egli avesse il tempo di voltarsi, un legnetto sul quale pareva fosse nevicato, dalla tanta polvere, e il cui cavallo era tutto spumante di sudore, entrò nella corte con assordante fracasso. Dall’arco del secondo cortile affacciaronsi servi e famigli: Baldassarre, il maestro di casa, schiuse la vetrata della loggia del secondo piano intanto che Salvatore Cerra precipitavasi dalla carrozzella con una lettera in mano.

      «Don Salvatore?… Che c’è?… Che novità!…»

      Ma quegli fece col braccio un gesto disperato e salì le scale a quattro a quattro.

      Giuseppe, col bambino ancora in collo, era rimasto intontito, non comprendendo; ma sua moglie, la moglie di Baldassarre, la lavandaia, una quantità d’altri servi già circondavano la carrozzella, si segnavano udendo il cocchiere narrare, interrottamente:

      «La principessa… Morta d’un colpo… Stamattina, mentre lavavo la carrozza…»

      «Gesù!… Gesù!…»

      «Ordine d’attaccare… il signor Marco che correva su e giù… il Vicario e i vicini… appena il tempo di far la via…»

      «Gesù! Gesù!… Ma come?… Se stava meglio? E il signor Marco?… Senza mandare avviso?»

      «Che so io?… Io non ho visto niente; m’hanno chiamato… Iersera dice che stava bene…»

      «E senza nessuno dei suoi figli!… In mano di estranei!… Malata, era malata; però, così a un tratto?»

      Ma una vociata, dall’alto dello scalone, interruppe subitamente il cicaleccio:

      «Pasquale!… Pasquale!…»

      «Ehi, Baldassarre?»

      «Un cavallo fresco, in un salto!…»

      «Subito, corro…»

      Intanto che cocchieri e famigli lavoravano a staccare il cavallo sudato e ansimante e ad attaccarne un altro, tutta la servitù s’era raccolta nel cortile, commentava la notizia, la comunicava agli scritturali dell’amministrazione che s’affacciavano dalle finestrelle del primo piano, o scendevano anch’essi giù addirittura.

      «Che disgrazia!… Par di sognare!… Chi se l’aspettava, così?…»

      E specialmente le donne lamentavano:

      «Senza nessuno dei suoi figli!… Non aver tempo di chiamare i figli!…»

      «Il portone?… Perché non chiudete il portone?» ingiunse Salemi, con la penna ancora all’orecchio.

      Ma il portinaio, che aveva finalmente affidato alla moglie il piccolino e cominciava a capire qualcosa, guardava in giro i compagni:

      «Ho da chiudere?… E don Baldassarre?»

      «Sst!… Sst!…»

      «Che c’è?»

      I discorsi morirono ancora una volta, e tutti s’impalarono cavandosi i berretti ed abbassando le pipe, perché il principe in persona, tra Baldassarre e Salvatore, scendeva le scale. Non aveva neppure mutato di abito! Partiva con gli stessi panni di casa per arrivar più presto al capezzale della madre morta! Ed era bianco in viso come un foglio di carta, volgeva sguardi impazienti ai cocchieri non ancora pronti, intanto che dava sottovoce ordini a Baldassarre, il quale chinava il capo nudo e lucente ad ogni parola del padrone: «Eccellenza sì! Eccellenza sì!» E il cocchiere affibbiava ancora le cinghie che il padrone saltò nella carrozza, con Salvatore in serpe: Baldassarre, afferrato allo sportello, stava sempre ad udire gli ordini, seguiva correndo il legnetto fin oltre il portone per acchiappare le ultime raccomandazioni: «Eccellenza sì! Eccellenza sì!»

      «Baldassarre!… Don Baldassarre!…» Tutti assediavano ora il maestro di casa; poiché, lasciata la carrozza che scappava di corsa, egli rientrava nel cortile: «Baldassarre, che è stato?… E ora che si fa?… Don Baldassarre, chiudere?…»

      Ma egli aveva l’aria grave delle circostanze solenni, s’affrettava verso le scale, liberandosi dagli importuni con un gesto del braccio e un «Vengo!…» spazientito.

      Il portone restava spalancato; tuttavia alcuni passanti, scorto lo straordinario movimento nel cortile, s’informavano col portinaio dell’accaduto; l’ebanista, il fornaio, il bettoliere e l’orologiaio che tenevano in affitto le botteghe di levante, venivano anch’essi a dare una capatina, a sentir la notizia della gran disgrazia, a commentare la repentina partenza del principe:

      «E poi dicevano che il padrone non voleva bene alla madre!… Pareva Cristo sceso dalla croce, povero figlio!…»

      Le donne pensavano alla signorina Lucrezia, alla principessa nuora: sapevano nulla, o avevano loro nascosto la notizia?… E Baldassarre, Baldassarre dove diamine aveva il capo, se non ordinava di chiudere ogni cosa?… Don Gaspare, il cocchiere maggiore, verde in viso come un aglio, si stringeva nelle spalle:

      «Tutto a rovescio, qui dentro.»

      Ma Pasqualino Riso, il secondo cocchiere, gli spiattellò chiaro e tondo.

      «Non avrete il disturbo di restarci un pezzo!»

      E l’altro, di rimando:

      «Tu no, che hai fatto il ruffiano al tuo padrone!»

      E Pasqualino, botta e risposta:

      «E voi che lo faceste al contino!…»

      Tanto che Salemi, il quale risaliva all’amministrazione, ammonì:

      «Che è questa vergogna?»

      Ma don Gaspare, a cui la certezza di perdere il posto toglieva il lume degli occhi, continuava:

      «Quale vergogna?… Quella d’una casa dove madre e figli si soffrivano come il fumo negli occhi?…»

      Molte voci finalmente ingiunsero:

      «Silenzio, adesso!»

      Però quelli che s’eran messi troppo apertamente con la principessa avevano il cuore piccino piccino, sicuri di ricevere il benservito dal figlio. Giuseppe, in quella confusione, non sapeva che fare: chiudere il portone per la morte della padrona era una cosa, in verità, che andava con i suoi piedi; ma perché mai don Baldassarre non dava l’ordine? Senza l’ordine di don Baldassarre non si poteva far nulla. Del resto, neppure gli scuri erano chiusi su al piano nobile; e poiché il tempo passava senza che l’ordine venisse, qualcuno cominciava ad accogliere un timore e una speranza, nella corte: se la padrona non fosse morta? «Chi ha detto che è morta?… Il cocchiere!… Ma non l’ha veduta!… Può aver capito male!…» Altri argomenti convalidavano la supposizione: il principe non sarebbe partito così a rotta di collo, se fosse morta, perché non avrebbe avuto nulla da fare lassù… E il dubbio cominciava a divenire per alcuni certezza: doveva esserci un malinteso, la principessa era soltanto in agonia, quando finalmente Baldassarre affacciossi dall’alto della loggia gridando:

      «Giuseppe, il portone! Non hai chiuso il portone? Chiudete le finestre della stalla e delle scuderie… Dite che chiudano le botteghe. Chiudete tutto!»

      «Non c’era fretta!» mormorò don Gaspare.

      E come, spinto da Giuseppe, il portone girò finalmente sui cardini, i passanti cominciarono ad accrocchiarsi: «Chi è morta?… La principessa?… Al Belvedere?…» Giuseppe si stringeva nelle spalle, avendo perso del tutto la testa; ma domande e risposte s’incrociavano confusamente tra la folla: «Era in campagna?… Ammalata da quasi un anno… Sola?… Senza nessuno dei figli!…» I meglio informati spiegavano: «Non voleva nessuno vicino, fuorché l’amministratore… Non li poteva soffrire…» Un vecchio disse, scrollando il capo: «Razza di matti, questi Francalanza!»

      I famigli, frattanto, sbarravano le finestre delle scuderie e delle rimesse; il fornaio, il bettoliere, l’ebanista e l’orologiaio accostavano anch’essi i loro usci. Un altro crocchio di curiosi radunati dinanzi al portone di servizio, rimasto ancora aperto, guardavano dentro