Emilio Salgari

Il re del mare


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ventiquattro ore, – rispose Tremal-Naik, – per poter raccogliere il meglio che posseggo, poi daremo fuoco a tutto e raggiungeremo la tua nave.

      – E correremo al più presto verso Mompracem, – disse Yanez. – La nostra presenza è necessaria laggiù.

      Aveva pronunciate quelle parole con un tono così grave, che l’indiano ne fu colpito.

      – C’è qualche cosa in aria? – chiese.

      – Ma… non si sa ancora. Corrono delle voci che inquietano la Tigre della Malesia.

      – E quali?

      – Che gli inglesi abbiano intenzione di farci sloggiare da Mompracem. È un po’ di tempo che tutti gli atti di pirateria che succedono lungo le coste occidentali dell’isola li addebitano a noi, quantunque da molti anni i nostri prahos dormano sulle loro àncore. Dicono che la nostra presenza incoraggia i pirati costieri e che noi direttamente o indirettamente li aizziamo contro le navi che si recano a Labuan. Frottole, ma già tu conosci la doppiezza del leopardo inglese.

      – E anche la sua ingratitudine, – disse l’indiano. – Ecco come vorrebbero compensarci d’aver liberata l’India dalla setta dei thugs. E Sandokan cederebbe?

      – Lui! Ah! Quell’uomo è capace di gettare il guanto di sfida contro tutta l’Inghilterra e di…

      Un lontano colpo di cannone gli aveva interrotta la frase.

      – Hai udito? – esclamò, balzando in piedi in preda ad una vivissima agitazione.

      – Sì, il cannone tuona verso il sud.

      – I dayaki attaccano la Marianna!

      – Seguimi sull’osservatorio, Yanez, – disse Tremal-Naik. – Di lassù potremo udire meglio da quale parte giungono gli spari.

      8. Lo scoppio della Marianna

      I due uomini, visibilmente impressionati, uscirono dalla stanza e, salita una scala, si trovarono su una delle terrazze del bengalow su cui si alzava la torricella o meglio il minareto, essendo altissimo e sottilissimo, con una piccola gradinata esterna.

      In pochi istanti raggiunsero la cima che terminava in una piccola piattaforma circolare, su cui trovavasi una grossa spingarda dalla canna lunghissima che doveva battere da quell’altezza tutti i punti dell’orizzonte.

      Il sole erasi già alzato diffondendo sulla pianura i suoi raggi dorati, appena sorti e già subito ardentissimi, non essendovi in quelle regioni nessuna frescura, nemmeno nelle prime ore del mattino.

      I dayaki che assediavano il kampong, coll’apparire della luce, si erano allontanati di sei o settecento metri, riparandosi dietro ai grossi tronchi d’alberi appositamente abbattuti onde servirsene a modo di trincee mobili, potendo farli scorrere innanzi o indietro, a loro piacimento.

      Pareva che durante la notte fossero aumentati di numero, perchè Tremal-Naik, appena ebbe lanciato uno sguardo all’ingiro, non potè trattenersi dall’esclamare: – Ieri sera non ve n’erano tanti intorno a noi.

      Yanez stava per chiedergli qualche cosa, quando un secondo colpo di cannone si udì rimbombare in lontananza, ripercuotendosi contro le cinte del kampong.

      – Questo rombo viene dal sud! – esclamò il portoghese. – Sono i cannoni da caccia della Marianna che tirano. I dayaki hanno assalito i miei uomini.

      – Sì, – confermò l’indiano, – viene dalla parte del Kabatuan. Credi che possano respingere il nemico, coi pezzi che hanno a loro disposizione?

      – Bisognerebbe conoscere il numero degli assalitori. Di quali forze dispone quel maledetto pellegrino?

      – Ha fanatizzato quattro tribù e ognuna deve avergli fornito non meno di centocinquanta guerrieri.

      – E armati di fucili?

      – Sì, Yanez. Quell’uomo misterioso ha portato con sè un vero arsenale e perfino dei lilà e dei mirim. Toh! Un altro colpo!

      – E queste sono le spingarde! – esclamò Yanez, facendo un gesto di rabbia.

      Dalla parte dell’immensa foresta che si estendeva verso il sud, giungevano ad intervalli delle detonazioni più leggere e più secche che dovevano essere prodotte da pezzi a canna lunga.

      Poi gli spari aumentarono rapidamente d’intensità, formando un rimbombo incessante, come se molti pezzi d’artiglieria e molte spingarde sparassero insieme.

      Yanez era diventato pallido e nervosissimo. Passeggiava intorno alla piattaforma come un leone in gabbia, interrogando ansiosamente cogli sguardi tutti i punti dell’orizzonte. Anche l’indiano era in preda ad una sovraeccitazione vivissima.

      I colpi si succedevano intanto ai colpi. Una battaglia furiosa, terribile, doveva essersi impegnata sul fiume fra il poco numeroso equipaggio della Marianna e le grosse forze del misterioso pellegrino.

      – E non cessa! – esclamava Yanez, che non si tratteneva più. – Se fossi là io!

      – Sambigliong è un valoroso che non si arrenderà, – rispose Tremal-Naik. – È una vecchia tigre che la sa lunga e che sa difendersi.

      – Non vi sono che sedici uomini validi a bordo, mentre i dayaki possono essere tre o quattrocento e forniti anche essi d’artiglieria.

      – Dunque tu dubiti che la Marianna possa resistere? – chiese Tremal-Naik con angoscia. – Se la prendessero sarebbe finita anche per noi. E mia figlia?

      – Adagio, amico, – rispose Yanez. – I dayaki troveranno qui un osso ben duro da rodere. Ho osservato attentamente il tuo kampong e mi sembra assai robusto. Tu sai che i selvaggi generalmente si trovano imbarazzati dinanzi ad un ostacolo che frena il loro slancio. Per Giove! Ed il cannone non cessa! Si massacrano laggiù. Quanti uomini hai?

      – Una ventina.

      – Tutti malesi?

      – Fra malesi e giavanesi, – rispose Tremal-Naik.

      – Quaranta uomini, chiusi da una cinta così solida, possono dare del filo da torcere a quei furfanti. Sei ben provvisto?

      – Ho viveri e munizioni in abbondanza.

      – Signor Yanez! Buon giorno! – disse in quel momento una giovane, comparendo sulla piattaforma.

      Il portoghese aveva mandato un grido:

      – Darma!

      Una bellissima fanciulla di forse quindici anni, dal corpo flessuoso come una palma, con lunghi capelli neri, un po’ inanellati, la pelle del viso leggermente abbronzata e vellutata come quella delle donne indiane, ma assai più chiara, i lineamenti perfetti che sembravano più caucasici che indù, si era fermata dinanzi al portoghese, fissandolo coi suoi occhi neri e scintillanti come carbonchi.

      Indossava un costume mezzo europeo e mezzo indiano, che le dava una grazia unica, composta d’un busticino di broccatello, con ricami d’oro, d’un’ampia fascia di cascemir che le cadeva sulle anche ben arrotondate e d’una sottanina piuttosto corta che lasciava vedere i calzoncini di seta bianca che le scendevano fino sulle scarpettine di pelle rossa, a punta rialzata.

      – Ben felice di rivedervi, signor Yanez, – riprese la fanciulla, tendendogli una manina da fata. – Sono due anni che vi abbiamo lasciato.

      – Abbiamo sempre da fare laggiù, a Mompracem.

      – Medita sempre spedizioni la Tigre della Malesia? Che uomo terribile, – disse Darma sorridendo. – Ah… il cannone! Non udite?

      – È già mezz’ora che rimbomba, figlia mia, – disse Tremal-Naik, – e annunzia forse una grave disgrazia.

      – Chi è che fa fuoco, padre?

      – Sono le tigri di Mompracem.

      – Che difendono la mia nave, – aggiunse Yanez. – Tacete! Mi pare che i colpi rallentino! E non poter vedere nulla!

      Si erano tutti curvati sul parapetto della piattaforma, ascoltando ansiosamente.

      Non