Emilio Salgari

La perla sanguinosa


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Udite, signor Will?»

      «Che cosa?»

      «Dei tonfi.»

      Alzarono i remi, mentre l’elica della scialuppa cominciava a mordere le acque. Dietro la scogliera che stavano per girare, si udivano infatti dei tonfi, come se dei pezzi di roccia o altre cose precipitassero in acqua. Il quartiermastro raccolse la carabina, mentre Jody toglieva disotto ad un banco una pistola, la sola arma che aveva rubato alla piccola armeria del penitenziario.

      «Lancia la scialuppa verso il nascondiglio,» disse Will.

      «Ma udite?» chiese Jody.

      «Sì: al timone tu, Palicur.»

      La scialuppa girò intorno alla punta estrema dell’isolotto e si cacciò fra due file di scoglietti, le cui punte emergevano fra le acque tormentate dalla risacca.

      Tosto un grido di furore sfuggì al macchinista. Un uomo era uscito in quel momento dal crepaccio che serviva di nascondiglio alle provviste e aveva gettato in mare una cassa di latta, la quale era subito affondata.

      «Ah! Miserabile!» urlò Jody, scaricando la pistola.

      L’uomo che aveva gettato la cassetta mandò un grido, poi balzò verso le rocce superiori, cercando di raggiungere un gruppo di cocchi.

      «Il Guercio! – urlò Will. – Muori, cane!»

      Il cingalese che, con quella rapida mossa, era sfuggito al colpo di pistola del macchinista, non poté salvarsi da quello della carabina. La detonazione non si era ancora spenta, che i fuggiaschi lo videro stramazzare dietro la cresta e sparire dall’altra parte dell’isolotto gridando:

      «Sono morto!»

      Poi si udì un tonfo come d’un corpo che cade in mare.

      Jody balzò subito a terra e si inerpicò fino al crepaccio che formava una minuscola caverna, appena sufficiente a dare asilo a due uomini.

      «Ah! Furfante! – gridò cacciandosi le mani nei capelli con un gesto disperato. – Ha gettato tutto in mare! Ci ha rovinati!»

      «Scendi, non fermarti, – disse Will. – I guardiani giungono! Odo i colpi di remo.»

      «Non abbiamo più nemmeno un biscotto. Ha gettato tutto in acqua.»

      «Non importa, vieni o saremo presi.»

      Il macchinista, comprendendo finalmente che non era quello il momento di disperarsi, ridiscese la riva e balzò nella scialuppa, mentre alcuni spari rimbombavano dall’altra parte della scogliera.

      «A tutto vapore, Jody!» comandò il quartiermastro della Britannia. La scialuppa si scostò dalla riva e s’allontanò rapidissima verso il sud, mentre sulla cima dell’isolotto apparivano alcuni sorveglianti. Nello stesso momento una voce formidabile, quella del Guercio, risuonò altissima fra le tenebre.

      «Ci rivedremo, – egli gridò, – e ti disputerò Juga, cane di Palicur!»

      7. La caccia ai fuggiaschi

      Lo stupore prodotto da quelle misteriose parole, pronunciate da quell’uomo che essi credevano ormai morto in fondo alle acque, fu così profondo, che per qualche minuto i tre fuggiaschi dimenticarono perfino le scialuppe dei sorveglianti, lanciate sulle loro tracce con la speranza di raggiungerli.

      «Ti disputerò Juga! Davati ti lancia la sfida!» Come mai quell›uomo conosceva la fidanzata infelice del pescatore di perle?

      Davati! chi era costui? Non era facile spiegarlo. Solo allora i fuggiaschi compresero che l’accanita sorveglianza del cingalese per impedire a loro, o meglio a Palicur, di fuggire aveva un motivo ben diverso da quello che avevano supposto fino a quel giorno.

      Il malabaro stava per aprire le labbra, quando il quartiermastro lo prevenne, dicendo:

      «Parleremo di ciò più tardi. Abbiamo la pelle da salvare. Ecco che anche il Nizam si mette della partita. Guardiamoci dai suoi cannoni.»

      E infatti i fuggiaschi non potevano ritenersi ormai salvi. Quattro scialuppe, montate dai migliori tiratori del penitenziario e dai remiganti più robusti, si erano staccate dalla scogliera e davano vigorosamente la caccia alla barca a vapore.

      Non erano però le scialuppe a preoccupare il quartiermastro. La macchina ormai funzionava e quei remi, per quanto poderosamente manovrati, non potevano competere coll’elica che già girava vorticosamente e che aumentava di momento in momento il numero dei suoi giri.

      Era il Nizam a costituire il vero pericolo, almeno pel momento, poiché la scialuppa a vapore era ormai fuori portata dalle palle delle carabine, ma si trovava ancora sotto il tiro delle artiglierie.

      La nave, che portava ogni quindici giorni le provviste destinate al penitenziario, subito avvertita della fuga dei tre forzati, si era a sua volta messa in caccia. Era un vecchio piroscafo di tre o quattrocento tonnellate, con macchinario non troppo in buono stato a dire il vero, ma certo ben provvisto di combustibile, montato da una cinquantina di marinai dello Stato e armato di quattro pezzi d’artiglieria disposti sul ponte in barbetta.

      La scialuppa, che aveva un buon forno verticale, poteva senza difficoltà guadagnare via, sviluppando una velocità di undici nodi all’ora, ma per quanto tempo? Il combustibile accumulato da Jody poteva durare tutt’al più quaranta ore, se usato con economia, mentre il Nizain ne aveva forse per qualche settimana, senza bisogno di rifornirsi.

      «Getta carbone, Jody, – disse il quartiermastro che si era collocato alla barra del timone. – Il Nizam sta girando la scogliera.»

      «E le barche?»

      «Non occupartene.»

      I sorveglianti, vedendo la scialuppa fuggire verso il sud, per mettersi al riparo dietro una punta rocciosa che si spingeva molto innanzi sul mare, avevano aperto un violentissimo fuoco colle carabine, fuoco affatto inefficace perché, come abbiamo detto, i fuggiaschi si trovavano ormai fuori tiro.

      La nave a vapore, che affrettava la marcia, comparve a sua volta, mostrando i suoi tre fanali che spiccavano vivamente nelle tenebre. Quasi subito una fiamma balenò a prora, seguita da una formidabile detonazione. Si udì in aria il ronfo rauco del proiettile, poi si vide un getto di spuma balzare in alto a trenta metri dalla prora della scialuppa.

      «Assaggiano, – disse Will. – Al terzo colpo ci prenderanno, se saremo ancora a tiro. Jody, carica la valvola o la scialuppa verrà spaccata!»

      Un secondo sparo rimbombò sul ponte della nave a vapore e la palla s’affondò a quaranta o cinquanta metri dalla poppa della scialuppa. Will si voltò vivamente, guardando il Nizam.

      Le scialuppe dei sorveglianti si erano fermate e tornavano lentamente verso Port-Cornwallis, avendo ormai compreso che sprecavano forze e munizioni senza alcun risultato.

      La nave invece forzava le sue macchine, per raggiungere i fuggiaschi prima che potessero mettersi fuori portata dalle sue artiglierie. Dalla sua ciminiera uscivano, a gran volate, nubi di fumo miste a scorie, che salivano in cielo fiammeggiando.

      «Se ci sbagliano siamo salvi, – mormorò il quartiermastro. – Ancora mezzo minuto e le sue artiglierie diverranno inutili. Palicur… Jody… tenetevi pronti a gettarvi in acqua. Se ci spaccano la scialuppa, ripareremo sulla costa, se saremo ancora tutti vivi.»

      Un terzo lampo balenò sulla nave, verso poppa questa volta.

      Il quartiermastro si curvò istintivamente e forse con quell’atto salvò la propria vita, poiché un istante dopo una palla passava quasi rasente la scialuppa, perdendosi in mare a brevissima distanza.

      «Siamo salvi! – urlò. – A tutto vapore, Jody! Non ci prendono più.»

      La scialuppa aveva raggiunto la penisoletta che si protendeva molto avanti sul mare, mettendosi completamente al coperto dai colpi del Nizam. Il quartiermastro la lasciò filare per qualche po’ lungo la costa, poi quando stimò che fosse ormai abbastanza lontana per non aver più da temere le palle di cannone, tornò a lanciarla verso il sud. Avendo un vantaggio di quasi tre nodi all’ora sulla vecchia carcassa, anche mostrandosi non aveva più nulla da temere.

      E