Emilio Salgari

Le tigri di Monpracem


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sconvolto, in preda ad una agitazione violentissima che lo faceva tremare dai piedi al capo. Una voce ben nota, che sapeva trovargli la via del cuore anche attraverso le tempeste, lo richiamò in sé.

      Lady Marianna era apparsa allo svolto di un sentiero, accompagnata da due indigeni armati fino ai denti e l’aveva chiamato.

      – Milady! – esclamò Sandokan, correndole incontro.

      – Mio prode amico, vi cercavo – diss’ella, arrossendo. Poi accostò un dito alla labbra, come per raccomandargli il silenzio e presolo per una mano, lo condusse in un piccolo chiosco cinese, semisepolto fra un boschetto di aranci.

      I due indigeni si fermarono a breve distanza, colle carabine montate.

      – Ascoltate – disse la giovanetta, che pareva atterrita. – Ieri sera vi ho udito… avete lasciato sfuggire dalle vostre labbra delle parole che hanno allarmato mio zio… Amico mio, mi è balenato un sospetto, che voi dovete strapparmi dal cuore. Ditemi, mio prode amico, se la donna alla quale voi avete giurato amore, vi chiedesse una confessione, la fareste voi?

      Il pirata, che nel mentre la lady parlava, le si era avvicinato, a quelle parole si ritrasse bruscamente indietro. I suoi lineamenti si scomposero e parve che vacillasse sotto un fiero colpo.

      – Milady – disse, dopo qualche istante di silenzio e afferrando le mani della giovanetta. – Milady, per voi tutto mi sarebbe possibile, tutto farei: parlate! Se io devo farvi una rivelazione, per quanto possa essere dolorosa per entrambi, vi giuro che la farò.

      Marianna alzò gli occhi su di lui. I loro sguardi, quello di lei supplichevole e lacrimoso, quello del pirata scintillante s’incontrarono e si fissarono a lungo. Quei due esseri erano in preda ad una ansietà che faceva male a entrambi.

      – Non ingannatemi, principe – disse Marianna, con voce soffocata. – Chiunque voi siate, l’amore che avete suscitato nel mio cuore, non si spegnerà più mai. Re o bandito io vi amerò ugualmente.

      Un profondo sospiro uscì dalle labbra del pirata.

      – È il mio nome adunque, il mio vero nome che tu vuoi sapere, creatura celeste?– esclamò.

      – Sì, il tuo nome, il tuo nome!

      Sandokan si passò più volte la mano sulla fronte, madida di sudore, mentre le vene del collo gli si gonfiavano prodigiosamente, come se facesse uno sforzo sovrumano.

      – Odimi, Marianna – diss’egli, con accento selvaggio. – Vi è un uomo che impera su questo mare, che bagna le coste delle isole malesi, un uomo che è il flagello dei naviganti, che fa tremare le popolazioni, e il cui nome suona come una campana funebre. Hai tu udito parlare di Sandokan, soprannominato la Tigre della Malesia? Guardami in viso. La Tigre sono io!…

      La giovanetta mandò involontariamente un grido d’orrore e si coperse il viso colle mani.

      – Marianna! – esclamò il pirata, cadendo ai suoi piedi, colle braccia tese verso di lei. – Non respingermi, non spaventarti così! Fu la fatalità che mi fece diventare un pirata, come fu la fatalità che mi impose questo sanguinoso soprannome. Gli uomini della tua razza furono inesorabili con me, che pur non avevo fatto loro alcun male; furono essi che, dai gradini d’un trono mi precipitarono nel fango, che mi tolsero il regno, che mi assassinarono madre, fratelli e sorelle, e che mi spinsero su questi mari. Non sono pirata per avidità sono un giustiziere, il vendicatore della mia famiglia e del mio popolo, nulla di più. Ora, se lo credi, respingimi e io m’allontanerò per sempre da questi luoghi, onde non farti più paura.

      – No, Sandokan, non ti respingo, perché ti amo troppo, perché tu sei prode, tu sei potente, tu sei tremendo, come gli uragani che sconvolgono gli oceani.

      – Ah! tu m’ami ancora adunque? Dimmelo colle tue labbra, dimmelo ancora.

      – Sì, t’amo Sandokan, e più ora che ieri.

      Il pirata l’attirò a sé e se la strinse al petto. Una gioia sconfinata illuminava il suo maschio viso e su quelle labbra errava un sorriso di felicità sconfinata.

      – Mia! Tu sei mia! – esclamò egli delirante, fuori di sé. – Parla ora o mia adorata, dimmi che cosa io posso fare per te, che tutto mi è possibile.

      «Se vuoi andrò a rovesciare un sultano per darti un regno, se vorrai essere immensamente ricca io andrò a saccheggiare i templi dell’India e della Birmania, per coprirti di diamanti e di oro; se vuoi io mi farò inglese; se vuoi che io rinunci per sempre alle mie vendette e che il pirata scompaia, andrò a incendiare i miei prahos, onde non possano più corseggiare, andrò a disperdere i miei tigrotti, andrò ad inchiodare i miei cannoni, onde non possano più ruggire e distruggerò il mio covo.

      «Parla, dimmi ciò che vuoi; chiedimi l’impossibile e io lo farò. Per te mi sentirei capace di sollevare il mondo e di precipitarlo attraverso gli spazi del cielo.» La giovanetta si chinò verso di lui sorridendo, cingendogli colle delicate manine il robusto collo.

      – No, mio valoroso, – disse, – non chiedo altro che la felicità accanto a te. Portami lontana, in un’isola qualunque, ma dove tu possa sposarmi senza pericoli, senza ansie.

      – Sì, se tu lo vorrai, ti porterò in una lontana isola, coperta di fiori e di boschi, dove tu non udrai più parlare della tua Labuan, né io della mia Mompracem, in un’isola incantata del grande oceano dove potremo vivere felici come due colombi innamorati; il terribile pirata che si è lasciato dietro torrenti di sangue e la gentile «Perla di Labuan». Tu verrai, Marianna?

      – Sì, Sandokan, io verrò. Odimi ora, un pericolo ti sovrasta, forse un tradimento si sta tramando in questi momenti contro di te.

      – Lo so! – esclamò Sandokan. – Lo sento questo tradimento, ma io non lo temo.

      – Bisogna che tu mi ubbidisca, Sandokan.

      – Che cosa devo fare?

      – Devi partire all’istante.

      – Partire!… partire!… Ma io non ho paura!

      – Sandokan fuggi, mentre hai tempo. Ho un funesto presentimento, temo che ti tocchi una sciagura. Mio zio non è partito per capriccio; egli deve essere stato chiamato dal baronetto William Rosenthal, il quale ti ha forse conosciuto. Ah Sandokan! Parti, ritorna ora alla tua isola e mettiti in salvo, prima che la tempesta si scateni sul tuo capo.

      Invece di ubbidire, Sandokan afferrò la giovanetta e la sollevò fra le braccia. La sua faccia, poco prima commossa, aveva preso un’altra espressione: i suoi occhi balenavano, le tempie gli battevano furiosamente e le sue labbra si schiudevano, mostrando i denti.

      Un istante dopo si scagliò come una belva attraverso il parco, varcando ruscelli, fossati e la cinta, come se avesse paura, o cercasse di fuggire qualcosa.

      Non si arrestò che sulla spiaggia, dove errò a lungo senza sapere dove andasse né cosa facesse. Quando si decise a ritornare la notte era calata e la luna era sorta.

      Appena rientrato nella villa chiese se il lord era giunto, ma gli fu risposto che non era stato veduto.

      Salì nel salotto e trovò lady Marianna inginocchiata dinanzi una immagine e col viso inondato di lagrime.

      – Mia adorata Marianna! – esclamò egli, rialzandola. – È per me che piangi? Forse perché io sono la Tigre della Malesia, l’uomo esecrato dai tuoi compatrioti?

      – No, Sandokan. Ma ho paura, una disgrazia sta per accadere, fuggi, fuggi da qui.

      – Non ho paura io, la Tigre della Malesia non ha mai tremato e…

      Si arrestò di colpo, rabbrividendo suo malgrado. Un cavallo era entrato nel parco, arrestandosi dinanzi alla palazzina:

      – Mio zio!… Fuggì Sandokan! – esclamò la giovanetta. – Io!… Io!…

      In quel momento istesso entrava nel salotto lord James. Non era più l’uomo del giorno innanzi: era grave, accigliato, torvo, e indossava la divisa di capitano di marina.

      Con un gesto sdegnoso respinse la mano che il pirata audacemente gli porgeva, dicendo con freddo accento:

      – Se