Barrili Anton Giulio

Il ponte del paradiso: racconto


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per mano, muovevano leggeri leggeri sul verde smalto d'un prato, di tanto in tanto levandosi a piccoli voli, posando il piede a terra un istante per rivolare ancora, come due uccellini che alternassero capricciosamente i passi coi salti, e i salti colle volate, spensierati ed allegri, contenti di sè e dell'ora propizia, senz'altro desiderio che di sentirsi vivere. E si addentravano, così muovendo i passi e i voli, in una valle ampia, per lenti giri sinuosa tra due ordini di colline verdeggianti, lungo le rive d'un fiume, ora ristretto e gorgogliante tra scogli muscosi e macchie di ontàni e di càrpini, ora placido e disteso sui greti come una lunga fascia d'argento. Dal colmo dei poggi, frattanto, occhieggiavano al sole ceppi di case e castella; dalle alte ripe sassose ruzzolavano branchi di capre a dissetarsi nei tònfani; sulle vette dei pioppi inneggiavano i rosignuoli ai non contesi amori, alle gioie imminenti del nido.

      Ma egli aveva già veduta quella valle; la conosceva bene da un pezzo. Laggiù, sulla sua destra, quel monte solitario, sparso di casolari a mezza costa, non era lo Sporno? Più in là, sulla sinistra, quell'altro monte, erto e lungo, non era il Caio, giustamente superbo del suo nome romano, vestito i fianchi di pini e di cerri, il dorso di faggi, o le alte insenature di corbezzoli e di peri selvatici? Più oltre ancora e più su, non erano quelle le creste dell'Appennino, dalla rupe dell'Orsaro all'alpe di Succiso? E lì, poco lontano da lui, quelle folte siepi di biancospino, ben ragguagliate dal falcetto, correnti in lunghe file accanto alla strada, non segnavano forse i confini del suo lembo di terra? E le indicava, tutto felice, alla sua dolce compagna. “E qui il mio Lesignano; il vostro Montechiarugolo è laggiù da sinistra. Volete che ci andiamo? Anch'io lo vedrò volentieri. Ma quanto cammino fin là, e in terra non nostra, pur troppo! Bisogna che l'intervallo si colmi, non vi pare? Bisogna che siano unite le nostre terre, come sono unite le nostre mani…„ – “Sì, sì,„ gli rispondeva la cara voce; e una cara mano tremava nella sua.

      Bel sogno! bel sogno! Quanto era durato? Certo, a contenere le molte cose vedute, tutto il tempo ch'egli aveva passato dormendo. Si era destato, infatti, avendo ancora quella dolce visione negli occhi, e la sua destra ancor tiepida dal tocco della mano di Margherita. La giornata che doveva seguire, non sarebbe stata meno lieta per lui. Quella mattina andò al Danieli verso le undici, ora combinata per l'appunto colle signore Cantelli. Le trovò, che avevano finito di far colazione, essendosi volentieri adattate ad anticiparla un poco, per conceder più tempo alla gita che avevano disegnato di fare.

      La signorina Margherita fu lesta a mettere il suo cappellino nero alla spagnuola, dal nastro cremisi, sul ricco volume della chioma corvina, e a gittarsi sulle spalle il corto mantello di velluto, nero anche quello e con la fodera dell'istesso colore del nastro. Nero e rosso le andavano d'incanto. La signora Eleonora fu più lenta ad aggiustare intorno alle staffe dei suoi capegli grigi il cappellino chiuso, guernito di viole mammole, e a tapparsi con molta cura nella sua pelliccia di martora. Uscite col signor Filippo dall'albergo, passarono il ponte dei Sospiri, svoltarono dal palazzo Ducale a San Marco, e di là, per l'arco dell'Orologio, entrarono in Mercerìa, non già per rimanervi, a goder lo spettacolo, sempre nuovo della turba affaccendata e chiacchierina. Quel giorno andavano assai più lontano, e senza avere da dondolarsi in Laguna. Che piacere! Margherita amava far diverso, se poteva, dalle altre viaggiatrici: quelle in gondoletta per ogni piccola corsa; lei volentieri a piedi per le corse più lunghe. Che peccato non aver sempre al fianco una guida come il conte Aldini gentilissimo! Per quella volta, a buon conto, non mancando la guida desiderata, non c'era da temere di smarrirsi in quel labirinto di calli, di campi e di campielli, di fondamenta, di ponticelli: senza darsi pensiero della via da tenere, Margherita avrebbe osservata e studiata frattanto, di quartiere in quartiere, quella calca di popolino così gaio, così originale nella sua vivacità, e sentita bene quella sua parlata tutta vezzi e moinerie, arguzie di pensiero e carezze di suoni.

      Riusciti al ponte di Rialto, ed ivi passato il Canal Grande, scesero a San Giacomo, donde piegarono a sinistra per Campo San Polo. Laggiù era un altro viluppo di strade, con gran delizia della signorina Margherita, che rideva spesso e volentieri, quel giorno, dovendo fare, al cenno della sua guida severa, tanti giri e rigiri impreveduti, andare a sghembi come le saette, ficcarsi per cento viottole, varcare cento ponticelli minuscoli, e pensare frattanto, pensare con un vago terrore quante volte si sarebbero smarrite, lei e la mamma, se avessero dovuto fare quel curioso tragitto da sole.

      – Ci siamo; – disse Filippo, come furono nella contrada di San Giovanni Decollato. – Ella sarà un po' stanca, signora?

      – Ma no, ma no; – rispose la signora Eleonora. – Sento un po' meno il bisogno della pelliccia, ecco tutto.

      – Voglia sopportarla due minuti ancora. L'aprirà quando saremo al Museo; – soggiunse Filippo.

      Andavano infatti a visitare il museo Correr; museo municipale, così chiamato dal nome del suo fondatore, che alla città lo aveva generosamente lasciato, ma via via cresciuto ed arricchito dalle liberalità di altri nobili veneziani. C'era un po' di tutto, là dentro: tele, marmi, bronzi, maioliche e porcellane, vetri di Murano anteriori al Mille, musaici, smalti, nielli, gemme incise ed avorii intagliati, monili d'oro e d'argento; a farla breve, tanto da tesserci per via d'esempi la storia di tutte le arti e di tutte le industrie veneziane.

      Margherita era nel suo elemento: curiosa indagatrice, pronta a ritenere le cose nuove e a paragonarle con altre già viste, aveva là dentro di che saziare l'avidità molteplice del suo intelletto, passando così facilmente da un genere all'altro. I marmi, a dir vero, la lasciarono un po' fredda, essendo piuttosto scarsi di numero e di pregio. Diede tuttavia un pensiero a Marco Vipsanio Agrippa, se proprio era lui quel colosso venuto al Correr dalle case dei Grimani, come ai Grimani dagli scavi a tergo del Panteon di Roma. Ammirò poi come saggio di precoce valentìa, due canestri di frutta, che Antonio Canova quattordicenne aveva scolpiti pel nobile Giovanni Falier. Tra i dipinti la colpì il ritratto di Cesare Borgia, opera di Leonardo da Vinci; una figura storica che farà sempre pensare, come e quanto farà sempre fremere. Ma più grande maraviglia le cagionò un gran disegno a matita nera, di Paolo Veronese, rappresentante il convito del Nazareno in casa di Simeone, con la Maddalena pentita ai piedi del Redentore, e Giuda che balza dalla seggiola in atto di rimproverare alla donna quell'eccesso di pietà, o quell'abuso di unguento. Era un bozzetto, e Margherita ricordò di aver contemplato il quadro a Parigi.

      – Certo; – disse Filippo. – Paolo Veronese lo aveva dipinto qui, pel refettorio dei frati Serviti. Ma poi il Senato lo mandò in presente a Luigi XIV; perciò Ella ha veduto quel quadro nel Louvre.

      – E qui, – ripigliò Margherita, – vediamo il capolavoro al suo nascere. In questo modo comprendiamo meglio il quadro. Tra l'idea e l'esecuzione c'è quasi sempre un grande intervallo, tutto seminato d'incertezze, di pentimenti, di aggiunte, di variazioni, per cui la composizione finale non corrisponde più all'idea primitiva. Qui invece è bello veder l'idea già matura, fin dal suo primo apparire; e ci guadagna il pittore, lasciandoci intendere la natura del suo genio. Non crede, signor conte, che fosse un genio, il Veronese?

      – Lo credo; – rispose Filippo, mettendosi volentieri all'unisono con la bella ragionatrice; – se non per la idealità, certo per la varietà de' suoi tipi. È un pittore che ha composto mirabilmente le scene più vaste e più complesse, facendo correre molt'aria e molta luce intorno ad un gran numero di figure, tutte diversamente atteggiate, e senz'ombra di sforzo. Ricorda, signorina, le Nozze di Cana, che maraviglia? Quelle centinaia di personaggi d'ogni razza e d'ogni provenienza, si occupano ben poco del convitato principale e del miracolo ch'egli sarà costretto a fare per loro soddisfazione; ma che importa? La nota dominante è l'allegria della festa: l'allegria basterà dunque a collegare, a stringere in una tante espressioni svariate; e finalmente la vita umana non sarà stata mai rappresentata così vera, così evidente, nella pienezza delle sue forze, nella molteplicità delle sue espansioni. Il buon Paolo Caliari ha sentito il grande meglio d'ogni altro. Ma anche nel piccolo può rivelarsi l'ingegno. Veda i quadri del Longhi. —

      La signorina Margherita fu ben contenta di vederli, e di esaminarli attentamente, provandone alla bella prima un gusto matto. Pietro Longhi, un pittore del Settecento, conosciuto quasi esclusivamente a Venezia, perchè ivi soltanto si poteva studiarlo, figurava egregiamente nel museo Correr con quattordici tele. Veneziano nell'anima, originale nella scelta dei soggetti, bizzarro nella composizione, arguto nei raccostamene impensati dei tipi, gentile