emulazione. Simile ad Alessandro, l'Imperatore romano intraprese una spedizione contro le nazioni dell'Oriente, ma sospirando si lamentava che la sua età avanzata non gli lasciasse speranza di eguagliare la fama del figliuol di Filippo34. I successi però di Traiano furon rapidi ed insigni, benchè passeggieri. I Parti, già degenerati e divisi per le intestine discordie, fuggirono dinanzi alle sue armi. Egli trionfante scese pel fiume Tigri, dalle montagne della Armenia fino al golfo Persico, e godè l'onore di essere il primo, come ei fu l'ultimo, dei Generali romani che navigasse in quel mare lontano. Le sue flotte devastarono le coste dell'Arabia; e Traiano si lusingò, ma indarno, di toccare i confini dell'India35. Ogni giorno il Senato riceveva con istupore la notizia di nuovi nomi e di nuove nazioni, le quali riconoscevano la sua autorità. Seppe che i Re del Bosforo, di Colco, dell'Iberia, dell'Albania, di Osroene e sino il Monarca istesso dei Parti avevano accettato i loro diademi dalle mani dell'Imperatore; che le indipendenti tribù delle montagne della Media e dei monti Carduchi avevano implorata la sua protezione, e che le doviziose regioni dell'Armenia, della Mesopotamia e dell'Assiria erano ridotte in province36. Ma la morte di Traiano oscurò in un momento un prospetto così luminoso; ed era giustamente da temersi, che tante lontane nazioni non iscuotessero il giogo insolito, quando non più le frenasse la mano possente che loro avealo imposto.
Era antica tradizione, che quando un Re di Roma fabbricò il Campidoglio, il Dio Termine (che presedeva ai confini, e secondo l'uso di quei secoli veniva rappresentato da una gran pietra) fosse il solo tra tutti gli Dei inferiori, che ricusasse di cedere il suo posto a Giove medesimo. Da questa ostinazione si dedusse una favorevol conseguenza, interpretata dagli Auguri come sicuro presagio, che i confini della potenza romana non si sarebber ristretti giammai37. Per molti secoli la predizione, come è solito, contribuì al suo adempimento38. Ma quel Dio Termine, che avea resistito alla maestà di Giove, cedè all'autorità di Adriano. La cessione di tutte le conquiste orientali di Traiano fu la prima determinazione del suo regno. Egli rendè ai Parti il diritto di eleggere un Sovrano indipendente, ritirò le guarnigioni romane dalle province dell'Armenia, della Mesopotamia e dell'Assiria, e secondo il precetto di Augusto, stabilì un'altra volta l'Eufrate per frontiera dell'Impero39. La critica, che processa le azioni pubbliche ed i motivi privati dei Principi, ha imputata all'invidia una condotta, che potrebbe attribuirsi alla prudenza ed alla moderazione di Adriano. Il carattere incostante di questo Imperatore, capace a vicenda e dei più bassi e dei più generosi sentimenti, può dare qualche colore al sospetto. Non poteva egli per altro mettere in luce più luminosa la superiorità del suo predecessore, se non se confessandosi in tal modo incapace di difendere quello che Traiano avea conquistato.
Lo spirito marziale ed ambizioso di Traiano faceva un contrasto molto singolare con la moderazione del suo successore; nè men notevole fu l'inquieta attività di Adriano, ove si paragoni al tranquillo riposo di Antonino Pio. La vita di Adriano fu quasi un viaggio continuo; e siccome possedeva i diversi talenti di soldato, di politico e di letterato, così contentava la sua curiosità, soddisfacendo al suo dovere. Non curando la differenza delle stagioni e dei climi, andava a piedi e a testa nuda sulle nevi della Caledonia, e sulle cocenti pianure dell'Egitto superiore; nè vi fu provincia dell'Impero che nel corso del regno di lui, non fosse onorata dalla presenza del suo Monarca40. Al contrario, Antonino Pio passò la sua vita tranquilla in seno all'Italia; e nel corso di ventitre anni che tenne la pubblica amministrazione, i più lunghi viaggi di questo Principe amabile non si estesero più in là che dal palazzo di Roma al suo ritiro nella villa Lanuvia41.
Non ostante questa differenza nella lor personale condotta, Adriano, e i due Antonini egualmente adottarono, e seguirono uniformemente il sistema generale di Augusto. Essi persisterono nel disegno di mantenere la dignità dell'Impero senza tentare di estenderne i confini. Con ogni onorevole espediente invitarono i Barbari alla loro amicizia, e procurarono di convincere il genere umano, che la romana potenza, superiore alla brama di conquistare, era soltanto animata dall'amore dell'ordine e della giustizia. Per il lungo giro di quarantatre anni un prospero successo coronò le loro virtuose fatiche; e se si eccettuino poche leggiere ostilità, che servirono ad esercitare le legioni delle frontiere, i regni di Adriano e di Antonino Pio presentano il bel prospetto di una pace universale42. Il nome romano era venerato dalle più remote nazioni della Terra. I Barbari più feroci spesso eleggevano l'Imperatore per arbitro delle loro dissensioni; ed uno storico contemporaneo, racconta di aver veduto imbasciatori venuti a richiedere l'onore, che lor fu ricusato, di esser ammessi nel numero dei sudditi43.
Il terror dell'armi romane aggiungeva peso e dignità alla moderazione degl'Imperatori. Essi mantennero la pace col prepararsi costantemente alla guerra; e mentre la giustizia dirigeva la loro condotta, facevan conoscere alle nazioni confinanti, che, alieni dal far alcuna ingiuria, non eran neppur disposti a soffrirla. La forza militare, che ad Adriano e ad Antonino il Maggiore era bastato mostrare, fu impiegata contro i Parti ed i Germani dall'Imperatore Marco. Le ostilità dei Barbari provocarono il risentimento di questo Monarca filosofo, e nella continuazione di una giusta difesa, Marco ed i suoi Generali ottennero molte segnalate vittorie sull'Eufrate e sul Danubio44. Gli stabilimenti militari dell'Impero romano, che ne assicuravano o la tranquillità od i progressi, diverranno adesso il proprio ed importante argomento della nostra attenzione.
Nei secoli più belli della repubblica, l'uso delle armi era riservato per quegli ordini di cittadini, che avevano una patria da amare, un patrimonio da difendere, e qualche parte in promulgar quelle leggi, che era loro interesse e dovere di conservare. Ma a misura che la pubblica libertà scemò con l'estensione delle conquiste, la guerra a poco a poco si ridusse ad un'arte, e degenerò in un mestiero45. Le legioni medesime, anche quando erano reclutate nelle più lontane province, si tenevano per composte di cittadini romani. Questa distinzione era considerata generalmente o come qualificazione legale, o come ricompensa propria per un soldato; ma si avea un riguardo più serio al merito essenziale dell'età, della forza, e della statura militare46. In tutte le leve si preferivano giustamente i climi settentrionali a quelli del mezzogiorno. Si cercavan piuttosto nelle campagne che nelle città gli uomini nati all'esercizio delle armi; e si presumeva con molta ragione, che i faticosi esercizj dei fabbri, dei legnaiuoli e dei cacciatori dessero più vigore e più risolutezza, che le arti sedentarie impiegate in servizio del lusso47. Dopo che la qualità di proprietario non fu più considerata, gli eserciti degl'Imperatori romani erano sempre comandati per la maggior parte da uffiziali di nascita e di educazione liberale; ma i soldati comuni, come le truppe mercenarie della moderna Europa, erano tratti dalla più vile e spesso ancora dalla più scellerata parte degli uomini.
Quella pubblica virtù, che gli antichi chiamarono patriottismo, è prodotta dal forte sentimento dell'interesse, che abbiamo nella conservazione e prosperità del libero governo, del quale noi siamo membri. Un tal sentimento che avea renduto le legioni della Repubblica quasi invincibili, non potea fare che una debolissima impressione nei servi mercenarj di un Principe dispotico; e diventò necessario il supplire a questo difetto con altri motivi di diversa, ma molto efficace natura, l'onore e la religione. Il contadino o l'artigiano s'imbevè dell'utile pregiudizio, che esso era innalzato alla più nobile professione delle armi, nella quale il suo grado e la sua riputazione dipenderebbe soltanto dal suo valore; e che sebbene la prodezza di un privato soldato potesse sfuggire alla notizia della fama, sarebbe però in suo potere di arrecar gloria o vergogna alla compagnia, alla legione, e fino all'armata, ai cui onori esso era associato. Appena arrolato, se gli dava il giuramento con ogni solennità. Prometteva di non mai abbandonare la sua insegna, di sottomettere il proprio volere ai comandi de' suoi condottieri, e di sacrificare la vita per la salvezza dell'Imperatore e dell'Impero48. L'affetto delle truppe romane per le loro insegne, era loro inspirato dalla doppia