Edward Gibbon

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6


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conosceva i costumi, la religione, e neppure il linguaggio delle nazioni civilizzate del Mezzodì. Accrescevasi la fierezza della sua natura da una crudele superstizione, e generalmente credevasi, che si fosse obbligato con un solenne voto a ridur la città in un mucchio di sassi e di cenere, ed a sacrificare i Romani Senatori più illustri sugli altari di quegli Dei, che si placavano per mezzo del sangue umano. Il pubblico pericolo, che avrebbe dovuto riconciliare tutte le domestiche animosità, scuoprì l'incurabil pazzia d'una religiosa fazione. Gli oppressi adoratori di Mercurio e di Giove nell'implacabil nemico di Roma rispettavano il carattere di devoto Pagano: altamente dichiaravano, che più temevano i sacrifizi che le armi di Radagaiso: e segretamente godevano della calamità della patria, le quali condannavano la fede de' Cristiani loro avversari137.

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      Firenze fu ridotta all'ultima estremità, ed il coraggio dei cittadini, che già mancava, non fu sostenuto che dall'autorità di S. Ambrogio, che in sogno aveva avuto la promessa della pronta liberazion loro138. Ad un tratto essi videro dalle mura le bandiere di Stilicone, che s'avanzava con le unite sue forze in sollievo della fedele città, e che tosto destinò quel fatal luogo per sepoltura del Barbaro esercito. Possono conciliarsi le apparenti contraddizioni di quegli scrittori, che riferiscono in diverse maniere la disfatta di Radagaiso, senza far molta violenza alle rispettive loro testimonianze. Orosio ed Agostino, ch'erano intimamente connessi per amicizia e per religione, attribuiscono questa miracolosa vittoria piuttosto alla Providenza divina, che al valor umano139. Essi rigorosamente escludono qualunque idea di eventualità, o anche di spargimento di sangue, e positivamente affermano, che i Romani, il campo de' quali era un teatro d'abbondanza e d'oziosità, godevano delle angustie de' Barbari, che lentamente spiravano sulla scoscesa e nuda cima de' colli di Fiesole, che s'innalzano sopra la città di Firenze. Si può con tacito disprezzo riguardare la stravagante loro asserzione, che neppure un soldato dell'esercito Cristiano restasse ucciso o ferito; ma il resto della narrazione d'Agostino e d'Orosio è coerente allo stato della guerra ed al carattere di Stilicone. Sapendo, ch'ei comandava l'ultimo esercito della Repubblica, la sua prudenza non gli permetteva d'esporlo in campo aperto all'ostinata furia dei Germani. Il metodo di circondare il nemico con forti linee di circonvallazione, che per due volte aveva impiegato contro il Re Goto, fu replicato più estesamente in quest'occasione, e con più notabile effetto. Gli esempi di Cesare dovevano esser famigliari anche a' più ignoranti guerrieri di Roma; e le fortificazioni di Dirrachio, che riunivano insieme ventiquattro castelli per mezzo d'un perpetuo fosso e riparo di quindici miglia, davano il modello d'un trinceramento, che potea circondare ed affamar l'esercito più numeroso di Barbari140. Le truppe Romane avevano degenerato meno dall'industria che dal valore dei loro antichi; e se l'opera servile e laboriosa offendeva l'orgoglio de' soldati, la Toscana potea supplir più migliaia di contadini, che avranno lavorato, quantunque non avrebbero forse combattuto per la salute della patria. La moltitudine dei cavalli e degli uomini141, chiusi prigionieri, fu appoco appoco distrutta più dalla fame che dalla spada; ma nel progresso d'un'operazione così estesa i Romani furono esposti ai frequenti attacchi d'un impaziente nemico. La disperazione degli affamati Barbari gli faceva precipitare contro le fortificazioni di Stilicone; il Generale potè qualche volta condiscendere all'ardore dei suoi bravi ausiliari, che ardentemente lo stimolavano ad assaltare il campo de' Germani; e questi varj accidenti probabilmente produssero gli aspri e sanguinosi conflitti, che adornano la narrazione di Zosimo, e le croniche di Prospero e di Marcellino142. Era stato introdotto nelle mura di Firenze un opportuno soccorso di uomini e di provvisioni; e l'affamato esercito di Radagaiso a vicenda restò assediato. L'orgoglioso Monarca di tante guerriere nazioni, dopo la perdita dei suoi più bravi soldati, fu ridotto a confidare o nell'osservanza d'una capitolazione o nella clemenza di Stilicone143. Ma la morte del prigioniero reale, che fu ignominiosamente decapitato, disonorò il trionfo di Roma e del Cristianesimo; ed il breve indugio della sua esecuzione fu sufficiente a macchiare il vincitore della colpa d'una fredda e deliberata crudeltà144. Gli affamati Germani, che scamparono dal furore degli ausiliari, si venderono come schiavi al vil prezzo d'una moneta d'oro per ciascheduno: ma la differenza del cibo e del clima tolse di mezzo una gran parte di quegli infelici stranieri: e fu osservato, che gl'inumani compratori, invece di cogliere il frutto della loro fatica, furono in breve obbligati a provvedere alla spesa della lor sepoltura. Stilicone informò l'Imperatore ed il Senato del suo buon successo, e meritò per la seconda volta il glorioso titolo di liberator dell'Italia145.

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      La fama della vittoria, e specialmente del miracolo ha favorito una vana persuasione, che tutta l'armata, o piuttosto la nazione dei Germani, che emigrò dai lidi del Baltico, fosse miserabilmente perita sotto le mura di Firenze. Tale in vero fu il destino di Radagaiso medesimo, dei suoi bravi e fedeli compagni, e di più d'un terzo della varia moltitudine di Svevi e di Vandali, di Alani e di Borgognoni, che rimasero attaccati allo stendardo del lor Generale146. Può eccitare la nostra sorpresa l'unione di tale armata; ma ovvie sono e ben forti le cause di separazione, come l'orgoglio della nascita, l'insolenza del valore, la gelosia del comando, l'intolleranza della subordinazione, e l'ostinato contrasto di opinioni, d'interessi, e di passioni fra tanti Re e guerrieri, che non sapevan cedere, nè obbedire. Dopo la disfatta di Radagaiso, due parti dell'esercito Germano, che doveva eccedere il numero di centomila uomini, restarono sempre in armi fra l'Apennino e le Alpi, o fra le Alpi e il Danubio. È incerto, se tentassero di vendicar la morte del lor Capitano; ma l'irregolare lor furia fu presto divertita dalla prudenza e fermezza di Stilicone, che s'oppose alla loro marcia, e facilitonne la ritirata; egli risguardò la salvezza di Roma e dell'Italia, come il grand'oggetto della sua cura; e sacrificò con troppa indifferenza la ricchezza e la tranquillità delle distanti Province147. I Barbari ebbero cognizione, da alcuni disertori della Pannonia, del paese e delle strade, e l'invasione della Gallia, che Alarico avea disegnata, fu eseguita dagli avanzi del grand'esercito di Radagaiso148.

      Se però si erano aspettati di trarre qualche soccorso dallo tribù della Germania, che abitavano le rive del Reno, le loro speranze rimasero deluse. Gli Alemanni mantennero uno stato d'inattiva neutralità; ed i Franchi distinsero lo zelo ed il coraggio loro in difesa dell'Imperio. Nel rapido progresso fatto da Stilicone lungo il Reno, che fu il primo atto dell'amministrazione di lui, s'era particolarmente applicato ad assicurarsi l'alleanza dei bellicosi Franchi, e ad allontanare i nemici implacabili della pace e della Repubblica. Marcomiro, uno dei loro Re, fu pubblicamente convinto avanti al Tribunale del Magistrato Romano d'aver violato la fede de' trattati. Ei fu condannato ad un mite, ma lontano esilio nella Provincia di Toscana; e tal degradazione della dignità reale fu sì lungi dall'eccitare lo sdegno dei suoi sudditi, che punirono con la morte il turbolento Sunno, il quale tentò di vendicare il proprio fratello; e conservarono una rispettosa fedeltà verso quei Principi, che stabiliti furono sul trono per la scelta di Stilicone149. Quando l'emigrazione Settentrionale ebbe rotto i confini della Gallia e della Germania, i Franchi valorosamente si opposero alla sola forza dei Vandali, che non curando le lezioni dell'avversità, avevano di nuovo separato le loro truppe dallo stendardo de' Barbari loro alleati. Pagarono questi la pena della loro temerità, e restaron morti sul campo di battaglia ventimila Vandali, col loro Re Godigisclo. Sarebbesi esterminato tutto quel popolo, se avanzandosi in loro aiuto gli squadroni degli Alani, non avessero calpestato l'infanteria de' Franchi, che dopo un'onorevole resistenza furon costretti ad abbandonare quel disuguale combattimento. I vittoriosi confederati proseguirono la lor marcia, e l'ultimo giorno dell'anno, in una stagione in cui le acque del Reno erano probabilmente agghiacciate, entrarono senza contrasto nelle non difese Province della Gallia. Questo memorabil passaggio degli Svevi, dei Vandali, degli Alani e dei Borgognoni, che poi non si ritirarono mai più, si può risguardare come la causa della caduta del Romano Impero ne' paesi di là dalle Alpi, e da quel momento fatale si gettarono a terra i ripari,