Edward Gibbon

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 4


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appoco di sovvertire la loro integrità con gli argomenti degli Arriani, con la destrezza degli Eunuchi, e con le pressanti sollecitazioni di un Principe, che soddisfaceva la sua vendetta a spese della sua dignità, e pubblicava le proprie passioni mentre influiva su quelle del Clero. Si adoperò con successo la corruzione, che è il più infallibil sintomo della libertà costituzionale; si offerirono, e si accettarono onori, doni ed immunità, come prezzo d'un voto Episcopale254; e fu artificiosamente rappresentata la condanna del Primate Alessandrino, come l'unico mezzo che restituir potesse la pace e l'unione alla Chiesa Cattolica. Gli amici però d'Atanasio non abbandonarono il lor Capo o la loro causa. Tanto nelle pubbliche dispute quanto nelle conferenze private coll'Imperatore, essi con uno spirito virile, che dalla santità del loro carattere si rendeva meno pericoloso, sostennero l'obbligo eterno di giustizia e di religione. Dichiararono, che nè la speranza del suo favore, nè il timore della sua disgrazia gli avrebbe potuti mai indurre ad unirsi nella condanna d'un innocente, lontano, e rispettabil fratello255. Affermavano con apparente ragione, che gl'illegittimi ed antiquati decreti del Concilio di Tiro erano stati già da lungo tempo tacitamente aboliti dagli editti Imperiali, dall'onorevol ristabilimento dell'Arcivescovo d'Alessandria, e dal silenzio o dalla ritrattazione dei suoi più clamorosi avversarj. Adducevano ch'erasi attestata la sua innocenza dai concordi Vescovi dell'Egitto, e ch'era stata riconosciuta ne' Concilj di Roma e di Sardica256 dall'imparziale giudizio della Chiesa Latina. Deploravan la dura condizion d'Atanasio, che dopo d'aver per tanti anni goduto la propria Sede, la riputazione, e l'apparente confidenza del suo Sovrano, fosse di nuovo chiamato a confutare le più insussistenti e stravaganti accuse. Il loro linguaggio era specioso, ed onorata la loro condotta; ma in questa lunga ed ostinata contesa, che attirava gli occhi di tutto l'Impero sopra d'un solo Vescovo, le fazioni Ecclesiastiche eran pronte a sacrificare la verità e la giustizia al più interessante oggetto di difendere o di deporre l'intrepido campione della fede Nicena. Gli Arriani sempre stimaron prudente consiglio quello di mascherare con ambigue parole i veri lor sentimenti e disegni: ma i Vescovi Ortodossi, armati dal favore del Popolo e da' decreti d'un Concilio generale, in ogni occasione, e specialmente a Milano, insisterono che i loro avversari purgasser se stessi dal sospetto di eresia, prima di pretendere d'attaccar la condotta del grande Atanasio257.

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      Ma la voce della ragione (se pur la ragione era veramente dalla parte d'Atanasio) fu soppressa dai clamori d'un fazioso e venale partito; e non si sciolsero i Concilj d'Arles e di Milano, finattantochè l'Arcivescovo di Alessandria non fu solennemente condannato e deposto dal giudizio della Chiesa Occidentale non meno che dell'Orientale. A' Vescovi, che opposti s'erano alla sentenza, fu richiesta di sottoscriverla, e di unirsi con religiosa comunione a' sospetti Capi della parte contraria. Fu mandata, per mezzo de' nunzi pubblici, una formola di consenso a' Vescovi assenti; e tutti quelli che ricusarono di sottometter la privata loro opinione alla pubblica ed inspirata sapienza dei Concilj d'Arles e di Milano, furono immediatamente banditi dall'Imperatore, che affettava d'eseguire i decreti della Chiesa Cattolica. Fra que' Prelati, che conducevan l'onorevol drappello dei confessori e degli esuli, meritan d'essere particolarmente distinti Liberio di Roma, Osio di Cordova, Paolino di Treveri, Dionisio di Milano, Eusebio di Vercelli, Lucifero di Cagliari, ed Ilario di Poitiers. L'eminente posto di Liberio, che governava la Capital dell'Impero, ed il merito personale e la lunga esperienza del venerabile Osio, che si rispettava come il favorito del Gran Costantino ed il padre della fede Nicena, ponevano questi due Prelati alla testa della Chiesa Latina, ed il loro esempio di sommissione e di resistenza si sarebbe probabilmente imitato dalla turba de' Vescovi. Ma i replicati sforzi dell'Imperatore per sedurre o per intimorire i Vescovi di Roma e di Cordova riuscirono per qualche tempo inefficaci. Lo Spagnuolo si dichiarò pronto a soffrire sotto Costanzo, come sessant'anni avanti aveva sofferto sotto Massimiano suo avo. Il Romano sostenne in presenza del Principe l'innocenza d'Atanasio e la propria sua libertà. Quando fu mandato in esilio a Berea nella Tracia, rimandò indietro una grossa somma, che gli era stata offerta per le spese del viaggio; ed insultò la Corte di Milano con l'orgogliosa riflessione, che l'Imperatore ed i suoi Eunuchi potevano aver bisogno di quell'oro per pagare i loro soldati, ed i loro Vescovi258. Lo fermezza però di Liberio e d'Osio finalmente fu superata da' travagli dell'esilio e del confino. Il Pontefice Romano comprò il suo ritorno a prezzo di alcune ree condiscendenze, e dopo espiò con opportuna penitenza la propria colpa. S'impiegarono la persuasione e la violenza per estorcere la ripugnante soscrizione del decrepito Vescovo di Cordova, di cui s'opprimeva la forza, e di cui erano probabilmente indebolite le facoltà dal peso di cent'anni; e l'insolente trionfo degli Arriani provocò alcuni della parte ortodossa a trattare con inumano rigore il carattere, o piuttosto la memoria di un infelice vecchio, agli antichi servigi del quale tanto doveva il Cristianesimo stesso259.

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      Si è diligentemente discussa la data delle Istituzioni Divine di Lattanzio; vi si sono scoperte difficoltà; si sono proposti mezzi per iscioglierle; e si è finalmente immaginato l'espediente di supporne due edizioni originali, la prima pubblicata nel tempo della persecuzione di Diocleziano, l'altra sotto quella di Licinio. Vedi Dufresnoy Praef. p. 5. Tillemont Mem. Eccl. Tom. VI p. 465-470. Lardner Credibilità ec. P. II Vol. VII, p. 78-86. Quanto a me io sono quasi convinto, che Lattanzio dedicasse le sue Istituzioni al Sovrano della Gallia nel tempo in cui Galerio, Massimino, e Licinio stesso perseguitavano i Cristiani, cioè fra gli anni 306 e 311.

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      Lactant. Divin Inst. l. I. VII. 27. Veramente il primo ed il più importante di questi passi manca in 28 manoscritti; ma si trova in altri 19. Se vogliam ponderare il merito di questi manoscritti paragonati fra loro, può allegarsene, in favor di quel passo, uno della libreria del Re di Fr

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Si è diligentemente discussa la data delle Istituzioni Divine di Lattanzio; vi si sono scoperte difficoltà; si sono proposti mezzi per iscioglierle; e si è finalmente immaginato l'espediente di supporne due edizioni originali, la prima pubblicata nel tempo della persecuzione di Diocleziano, l'altra sotto quella di Licinio. Vedi Dufresnoy Praef. p. 5. Tillemont Mem. Eccl. Tom. VI p. 465-470. Lardner Credibilità ec. P. II Vol. VII, p. 78-86. Quanto a me io sono quasi convinto, che Lattanzio dedicasse le sue Istituzioni al Sovrano della Gallia nel tempo in cui Galerio, Massimino, e Licinio stesso perseguitavano i Cristiani, cioè fra gli anni 306 e 311.

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Lactant. Divin Inst. l. I. VII. 27. Veramente il primo ed il più importante di questi passi manca in 28 manoscritti; ma si trova in altri 19. Se vogliam ponderare il merito di questi manoscritti paragonati fra loro, può allegarsene, in favor di quel passo, uno della libreria del Re di Francia dell'età di 900 anni, ma si omette lo stesso passo nel corretto manoscritto di Bologna, che il P. Montfaucon giudica del sesto, o del settimo secolo (Diar.