Edward Gibbon

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10


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immagina e compie i più orrendi misfatti. Confessa il Poeta che non ha fondamento storico, e si contenta a dire per sua giustificazione, «che chi fa la guerra alla patria in nome di Dio, è capace di tutto.» (Oeuvr. de Voltaire, t. XV, p. 282). Questa massima non è nè caritatevole nè filosofica, e si dee poi certamente portare un po' di rispetto alla gloria degli eroi, e alla religione de' popoli. So poi che la rappresentazione di quella tragedia scandolezzò forte un ambasciatore Turco che allora stava a Parigi.

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Si disputa tuttavia da' dottori Musulmani su la quistione se la Mecca fosse soggiogata dalla forza, o se ella si sottomettesse di buon grado (Abulf. p. 107, e Gagnier, ad loc.); e questa contesa di parole è tanto importante quanto quella che si agita in Inghilterra sopra Guglielmo il Conquistatore.

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Il Chardin (Voyage en Perse, t. IV, p. 166) e il Reland (Disser. miscell., t. III, p. 51) escludendo i cristiani dalla penisola d'Arabia, dalla provincia di Heyas o dalla navigazione del mar Rosso, sono più severi de' Musulmani medesimi. Sono ammessi i cristiani senza ostacolo nel porto di Moka, e in quello altresì di Gedda, e solo s'è interdetto ai profani l'ingresso nella città e nel precinto della Mecca. (Niebuhr, Description de l'Arabie, p. 308, 309; Voyage en Arabie, t. I, p. 205-248, ec.).

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Abulfeda, pag. 112-115, Gagnier, t. III, pag. 67-88, d'Herbelot, art. Mohammed.

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Abulfeda (p. 117-123) e Gagnier (t. III, p. 88-111) narrano l'assedio di Tayef, la division del bottino, cc. Al-Iannabi fa menzione delle macchine, e degl'ingegneri della tribù di Daws. Credevasi che l'ubertoso terreno di Tayef fosse una porzione della Siria, e trasportato l'avesse colà il diluvio universale.

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Abulfeda (p. 121-133), Gagnier (t. III. p. 119-219), Elmacin (pag. 10, 11) ed Abulfaragio (p. 103) raccontano gli ultimi conquisti, e il pellegrinaggio ultimo di Maometto. Il nono anno dell'Egira fu denominato l'anno delle ambasciate. (Gagnier, Not. ad Abulfed., p. 121).

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Si confronti il superstizioso Al-Iannabi (ap. Gagnier, t. II, p. 232-255) con Teofane (p. 276-278), con Zonara (t. II, l. XIV, p. 86) e con Cedreno (p. 421), Greci non meno di lui superstiziosi.

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V. su la battaglia di Muta, e le conseguenze, Abulfeda (p. 100-102) e Gagnier (t. II, p. 327-343). Καλεδος, scrive Teofane, ον λεγουσι μαχαιραν του Θιου Caled, denominato Spada di Dio.

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I nostri soliti storici, Abulfeda (Vit. Moham. p. 123-127) e Gagnier (Vie de Mahomet, t. III, pag. 147-163) espongono l'impresa di Tabuc; ma per fortuna possiamo per questa ricorrere al Corano (c. 9, p. 154-165), e alle note erudite e sagaci del Sale.

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Il Diploma securitatis Ailensibus è attestato da Ahmed-Ben-Giuseppe e dall'autore Libri splendorum (Gagnier, Not. ad Abulfeda p. 125). Ma lo stesso Abulfeda, come Elmacin (Hist. Saracen. p. 11), quantunque convengano su i riguardi che Maometto ebbe ai cristiani (p. 13), non fan menzione che della pace che con essi conchiuse, e del tributo che loro impose. Nel 1630, Sionita pubblicò a Parigi il testo e la versione della patente di Maometto in favor de' cristiani: fu ammessa dal Salmasio, rigettata dal Grozio (Bayle, MAHOMET, Rem. A. A.). Hottinger dubita se sia autentica (Hist. orien. p. 237). Renaudot la sostiene, perchè riconosciuta da' Musulmani (Hist. patriarch. Alexand. pag. 169); ma il Mosemio (Hist. eccles., p. 224) dimostra quanto futile sia quest'opinione, e inclina a quella che crede apocrifa la patente. Pure Abulfaragio cita il trattato dell'impostore col patriarca Nestoriano (Assemani, Bibl. orient. t. II, p. 418); ma Abulfaragio era patriarca de' Giacobiti.

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Teofane, Zonara e gli altri Greci asseriscono che Maometto pativa accesi epilettici, e questa asserzione è con trasporto ammessa dal goffo bigottismo dell'Hottinger (Hist. orient. p. 10, 11), del Prideaux (Vie de Mahomet, p. 12) e del Maracci (t. II), Alcoran. (pag. 762, 763). I titoli dei due capitoli del Corano (73, 74), denominati l'avviluppato ed il coperto, citati in pruova di questo fatto, s'adattano male a questa interpretazione. È più decisivo il silenzio o l'ignoranza de' commentatori Musulmani che una negativa perentoria; ed Ockley (Hist. of the Saracen., t. I, pag. 301), il Gagnier (ad Abulfeda, p. 9, Vie de Mahomet, t. I. p. 118) e il Sale (Koran, p. 469-474) si attengono alla parte più caritatevole.

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Abulfeda (p. 92) ed Al-Jannabi (apud Gagnier, t. II, p. 286-288), suoi partigiani zelanti, francamente confessano il fatto del veleno, il cui effetto era tanto più obbrobrioso, poichè la donna, che glielo diede, aveva avuta intenzione di smascherare così l'impostura del Profeta.

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Non deve maravigliare, che nel caldo del fanatismo i discepoli di Maometto si sieno ingannati a grado di non crederlo morto, ed abbianlo paragonato a Mosè, ed a Gesù Cristo. Saggio e bello è poi il discorso di Abubeker, e conforme al puro Deismo, ed alla religione dello stesso Maometto, che non ha mai nè detto, nè preteso d'essere adorato, ma soltanto obbedito come un preteso inviato da Dio per manifestare la sua legge agli uomini. (Nota di N. N.)

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I Greci e i Latini hanno inventato e divolgato la ridicola fola che da forti calamite sia tenuto sospeso in aria il deposito di Maometto nella volta del tempio della Mecca σημα μετεωριζομενον. (Laonico Calcondile, De rebus turcicis, l. III. p. 66). V. il Dizionario di Bayle, art. Mahomet. Rem. EE. FF. Anche senza l'aiuto della filosofia, basta osservare, 1. che il Profeta non è stato sepolto alla Mecca; 2. che la sua tomba, che sta a Medina, fu veduta da milioni di pellegrini, ed è in terra (Reland, De religione Moammed, l. II, c. 19, p. 209-211; Gagnier, Vie de Mahomet, t. III, p. 263-268).

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Al-Jannabi enumera (Vie de Mahomet, t. III, p. 372-391) i vari doveri del pellegrino che va a visitare il sepolcro del Profeta e de' suoi compagni; e quel dotto casuista decide che questo è un atto rigoroso di devozione come l'adempimento d'un precetto divino, e quasi meritorio ugualmente. Contendono fra loro i dottori per sapere quale delle due città, della Mecca o di Medina, debba ottenere la preminenza, (p. 392-394).

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Abulfeda (Vit. Moham., p. 133-142) e Gagnier (Vie de Mahomet, t. III, p. 220-271) descrivono l'ultima malattia, la morte e la sepoltura di Maometto. I particolari più secreti e rilevanti furono descritti nel principio da Ayesha, da Alì, da' figli d'Abbas, ec.; e abitando essi in Medina, e avendo sopravvissuto al Profeta molt'anni, poterono ripetere que' pii racconti ad una seconda e terza generazione di pellegrini.

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Con molta imprudenza s'avvisarono i cristiani di dare a Maometto una colomba domestica, la quale parea che scendesse dal cielo, e gli parlasse all'orecchio: siccome Grozio si fonda su questa supposizione di miracolo (De veritate religionis christianae), il suo traduttore Arabo, il dotto Pocock, gli ha chiesto il nome de' suoi autori; Grozio ha confessato essere ignota la cosa a' Musulmani. Si soppresse nella versione Araba questa pia menzogna, per timore non movesse a riso e a sdegno i Settari di Maometto; ma s'è conservata, per edificare i fedeli, nelle tante edizioni del testo latino. (Pocock, Specimen Hist. Arabum, pag. 186, 187; Reland, De religione moham. l. II, c. 39, p. 259-262).

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Εμοι δε τουτο εσιν εκ παιδος αρξαμενον φωνη τις γιγνομενη η οταν γενηται ασι αποτρεπει με τουτου ό αν μελλπραττειν, προτρεπει δε ουποτου: sin da fanciullo ho provato una certa voce interna, la quale ogni volta mi distoglieva da quel ch'io fossi per fare,