Edward Gibbon

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 12


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Niceta si vale di espressioni durissime αγραμματοις βαρβαροις, και τελεον αναλφαβητοις Barbari illetterati, e totalmente ignari dell'abbicì. (Fragm. apud Fabricium, Bibl. Graec., t. VI, p. 414). Vero è che questo rimprovero si riferisce principalmente alla loro ignoranza della lingua greca e delle sublimi opere di Omero. I Latini del dodicesimo e tredicesimo secolo non mancavano di opere di letteratura nella propria lingua. V. le Ricerche filologiche di Harris, p. 3, c. IX, X, XI.

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Niceta, nativo di Cona in Frigia (antico Colosso di S. Paolo) era pervenuto al grado di Senatore, di Giudice del Velo e di gran Logoteta. Dopo la rovina dell'Impero, di cui fu vittima e testimonio, si ritrasse a Nicea, ove compose una compiuta e accurata storia che procede dalla morte di Alessio Comneno insino al regno di Enrico.

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Un manoscritto di Niceta (nella biblioteca Bodleana) contiene questo singolare frammento che riguarda lo stato di Costantinopoli, e che o ad arte, o per vergogna, o piuttosto per trascuratezza è stato ommesso nelle precedenti edizioni. Lo ha pubblicato il Fabrizio (Bibl. graec., t. VI, p. 405-416), e l'ingegnoso Harris di Salisbury non ha limiti nel lodarlo (Ricerche filologiche part. III, cap. V).

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Per darne un'idea della statua di Ercole il sig. Harris ha citato un epigramma, e presentata la figura scolpita in una bella pietra; ma questa non offre l'atteggiamento di un Ercole, senza clava, col braccio e la gamba stesa siccome di questa statua vien detto.

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Ho trascritte letteralmente le proporzioni indicate da Niceta, le quali mi sembrano oltre modo ridicole, e forse ne condurranno a giudicare che il preteso buon gusto di questo senatore ad ostentazione e vanità riducensi.

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V. Niceta, ove parla d'Isacco l'Angelo e di Alessio (cap. 3, p. 339). L'Editore latino osserva con molta ragionevolezza che lo Storico greco coll'enfasi del suo stile suol fare ex pulice elephantem.

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Niceta in due passi (edizione di Parigi, p. 360, Fabrizio p. 408) rampogna aspramente i Latini οιτου καλου ανεραστοι Βαρβαροι, Barbari nemici del bello, e indica in precisi termini quanto fossero avidi del bronzo. Non può però negarsi ai Veneziani il merito di avere trasportati quattro cavalli di bronzo da Costantinopoli alla piazza di S. Marco (Sanuto, Vite dei Dogi, Muratori, Script. rer. ital. t. XX, pag. 534).

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Winkelmann, Storia dell'arti, t. III, p. 269-270.

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V. nel Gunther (Hist. C. P. c. 19-23, 24) il pietoso furto dell'abate Martino, che trasportò un ricco fardello di questi tesori religiosi nel suo convento. Nondimeno il Santo non andò immune dalla scomunica, e forse dalla taccia di avere violato un giuramento.

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Fleury, Hist. eccles. t. XVI, p. 139-145.

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Conchiuderò questo capitolo con alcuni cenni sopra una Storia moderna che descrive colle sue particolarità la presa di Costantinopoli per opera dei Latini; ma venutami fra le mani alquanto tardi. Paolo Ramusio figlio del Compilatore de' Viaggi, ebbe dal Senato di Venezia la commissione di scrivere questa Storia: ma ricevè un tal ordine in gioventù e lo eseguì solamente anni dopo, pubblicando un'opera ingegnosamente scritta che ha per titolo, De bello Constantinopolitano et imperatoribus Comnenis per Gallos et Venetos restitutis (Venezia 1635 in folio). Il Ramusio o Ramnusio, trascrive e traduce, seguitur ad unguem, un manoscritto che ei possedeva del Villehardouin; ma ha inoltre arricchito il suo racconto di materiali greci e latini, e gli andiamo pur debitori della descrizione esatta della flotta, dei nomi di cinquanta nobili Veneziani che comandavano le galee della Repubblica, e per lui sappiamo le circostanze delle opposizioni che, spinto da amore di patria, mosse Pantaleone Barbi contro la scelta del Doge a Imperatore di Costantinopoli.

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V. l'originale del Trattato di parteggiamento nella Cronaca di Andrea Dandolo, p. 328-330, e la elezione che ne conseguì, nel Villehardouin (n. 136-140), le Osservazioni del Ducange e il primo libro della Storia di Costantinopoli sotto l'impero de' Francesi.

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Dopo aver parlato di un Elettore francese che avea dato il suo voto al Doge, Andrea Dandolo parente dello stesso Doge ne trova ragionevole l'esclusione. Quidam venetorum, fidelis et nobilis senex usus oratione satis probabili, etc., Orazione che gli scrittori moderni dal Biondi al Le Beau hanno accomodata ciascuno a lor fantasia.

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Niceta, p. 384, vano e ignorante, quanto un Greco di que' tempi doveva esserlo, indica il Marchese di Monferrato come Capo di una potenza maritima λαμπαρδιαν δε οικεισθαι παραλιον, abitava (o governava) la Lombardia marittima. Forse lo ha indotto in errore il tema bisantino della Lombardia situata sulle coste della Calabria.

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I Veneziani pretesero che il Morosini si obbligasse con giuramento a non ammettere nel capitolo di S. Sofia, cui spettava il diritto delle elezioni, altri individui fuor de' Veneziani, e di quelli inoltre che avessero abitato dieci anni in Venezia. Ma ingelosito il Clero della prerogativa che questi arrogavansi, il Papa non la confermò, onde fra sei patriarchi Latini che ebbe Costantinopoli, solamente il primo e l'ultimo furono Veneziani.

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Niceta p. 383.

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Le lettere d'Innocenzo III somministrano ricchi materiali alla Storia delle istituzioni civili ecclesiastiche dell'impero Latino di Costantinopoli. La più importante di tali lettere (delle quali Stefano Baluzio ha pubblicata la raccolta in due volumi in folio) trovasi nell'opera, Gesta script. rer. ital., Muratori, t. III, part. I, c. 94-105.

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Nel Trattato di parteggiamento hanno alterati quasi tutti i nomi proprj. Non sarebbero difficili le correzioni, e una buona Carta corrispondente all'ultimo secolo dell'Impero di Bisanzo sarebbe di grande soccorso alla geografia; ma sfortunatamente d'Anville più non vive.

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Il loro stile d'intitolarsi era Dominus quartae partis et dimidiae imperii romani, e così continuarono fino all'anno 1356, in cui Giovanni Dolfino fu eletto Doge (Sanut., p. 430-641). Quanto al governo di Costantinopoli, V. Ducange, Hist. C. P. 1-37.

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Il Ducange (Hist. C. P. 11, 6) ha enumerate le conquiste fatte dalla Repubblica o dai Nobili veneziani, le isole di Candia, di Corfù, Cefalonia, Zante, Nasso, Paro, Melos, Andros, Micone, Siro, Ceos e Lemno.

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Bonifazio vendè l'isola di Candia ai 12 agosto dell'anno 1204. V. la transazione in Sanuto p. 533; ma non so comprendere come quest'Isola fosse il patrimonio della madre di Bonifazio, o come questa madre esser potesse la figlia d'un Imperatore di nome Alessio.

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Nel 1212, il Doge Pietro Zani inviò nell'isola di Candia una colonia tolta dai differenti rioni di Venezia: ma i nativi Candiotti, per la salvatichezza de' lor costumi, e per le frequenti ribellioni, poteano essere paragonati ai Corsi sotto il dominio de' Genovesi; e allorchè io metto in paragone i racconti del Belon, e quelli del Tournefort, non ravviso molte differenze tra la Candia de' Veneziani, e la Candia de' Turchi.

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Il Villehardouin (n. 159, 160, 173-177) e Niceta (p. 387-394) raccontano la spedizione del Marchese Bonifazio in Grecia. Il secondo ha potuto essere informato di queste particolarità dal suo fratello Michele, arcivescovo di Atene, che ei ne dipinge siccome un eloquente oratore, un uomo di Stato abilissimo, e soprattutto siccome un santo. Dai manoscritti di Niceta, che trovansi nella biblioteca bodleana, avrebbero potuto ritrarsi l'elogio che egli fa di Atene, e la descrizione di Tempe (Fabricius, Bibl. graec., t. VI, p. 405), cose che sarebbero state degne delle indagini del sig. Harris.

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Napoli