Edward Gibbon

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 12


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ladri, usurai, meretrici, e persino alcuni dottori e scolari dell'Università. Appena Innocenzo III tenne la cattedra di San Pietro, bandì per l'Italia, per l'Alemagna e per la Francia, la necessità, ossia il dovere di una nuova Crociata32. L'eloquente Pontefice deplorava in patetico stile la rovina di Gerusalemme, il trionfo dei Pagani, e l'obbrobrio della Cristianità, liberalmente promettendo la remission de' peccati e un'indulgenza plenaria a tutti coloro che presterebbero servigio alla guerra di Palestina, o colla persona per un anno, o col ministerio di un sostituto per due33. Fra i Legati, ed Oratori che intonarono la sacra tromba, Folco di Neuilly ebbe la preminenza così per dimostrato zelo, come per lo sfarzo de' buoni successi che ottenne. E certamente lo stato in allora de' principali monarchi dell'Europa, tutt'altro che favorevole ai voti del Santo Padre, si dimostrava; l'Imperatore Federico II, tuttavia fanciullo, vedea dilacerati i suoi dominj dell'Alemagna dalle discordie delle rivali Case di Svevia e Brunswik, e dalle fazioni memorabili de' Guelfi e de' Ghibellini. Filippo Augusto di Francia aveva il suo pericoloso voto adempiuto, nè troppo talentavagli di rinovarlo; ma per altra parte, avido di lodi e di potenza questo monarca, assegnò un fondo perpetuo al servigio militare di Terra Santa. Riccardo d'Inghilterra, sazio di gloria, e acerbato dai disgustosi incidenti che alla sua prima spedizione si univano, si prese la libertà di rispondere con una facezia alle esortazioni di Folco di Neuilly, che, con egual sicurezza, mandava i suoi rabbuffi ai popoli e ai Re. «Voi mi consigliate, gli facea scrivere Plantageneto, di sciogliermi dalle mie tre figlie, la superbia, l'avarizia e l'incontinenza. Ebbene! Per metterle nelle mani di chi ne sappia far conto, consegno la mia superbia ai Templarj, la mia avarizia ai frati di Citeaux, la mia incontinenza ai Vescovi». Ciò non pertanto i grandi vassalli, e i Principi di secondo ordine, alle voci del predicatore docilmente obbedirono. Il giovine Tebaldo Conte di Sciampagna, in età di ventidue anni fu primo e de' più zelanti a mettersi nella santa impresa; che, a ciò il confortavano gli esempj del padre e del fratel primogenito, quegli stato condottiere della seconda Crociata, questi morto in Palestina col titolo di Re di Gerusalemme. Duemila dugento cavalieri doveano omaggio e servigio militare al Conte di Sciampagna34, e la Nobiltà di questo paese per maestria nell'armi di altissima fama godea35. Oltrechè, Tebaldo, divenuto sposo della erede della Casa di Navarra, poteva aggiugnere alle sue truppe una coraggiosa banda di Guasconi tolti da entrambi i lati de' Pirenei. Gli fu compagno d'armi, Luigi, conte di Blois e di Chartres, venuto, come egli, di sangue reale; perchè questi due Principi erano, l'uno e l'altro, nipote e del francese, e dell'inglese Monarca. Nella moltitudine de' Baroni e Prelati che il fervore de' due Conti imitarono, vogliono essere distinti Mattia di Montmorenci, chiaro per natali e per merito, il famoso Simone di Montfort, flagello degli Albigesi, il valente Goffredo di Villehardouin36, maresciallo di Sciampagna37, che si è degnato scrivere nell'idioma38 barbaro del suo secolo e del suo paese39 la narrazione de' consigli, e delle spedizioni, nelle quali egli medesimo una delle primarie parti sostenne. Nel medesimo tempo, Baldovino, conte di Fiandra, che avea sposata la sorella di Tebaldo, prese la croce a Bruges non meno del proprio fratello Enrico, e dei principali cavalieri e cittadini di questa ricca ed industriosa provincia40. I Capi pronunziarono solennemente il lor voto nella Chiesa, e lo ratificarono ne' tornei. Dopo che in parecchie assemblee generali fu discusso intorno ai modi di accignersi alla grande impresa, venne risoluto che, per liberare la Palestina, si dovea portar la guerra in Egitto, paese che, dopo la morte di Saladino, la fame e le civili guerre straziavano. Ma la ria ventura che aveano incontrata tanti eserciti, condotti dai Sovrani in persona, mostravano pericolosissima cosa l'imprendere per terra una sì lunga spedizione: e benchè i Fiamminghi abitassero le coste dell'Oceano, i Baroni francesi mancavano di navilio, nè avevano inoltre sull'arte del navigare nozioni di sorte alcuna. In tal frangente, i Crociati saggiamente nominarono sei deputati o rappresentanti, nel novero de' quali il Villehardouin si trovò, con pieno potere di negoziare pel vantaggio della Confederazione, e di regolare tutte le fazioni di questa impresa. Non essendovi che gli Stati marittimi dell'Italia, atti a fornire quanto facea di mestieri per trasportare i pellegrini, le armi loro e i cavalli, i sei deputati cercarono Venezia, onde far valere e la divozione, e l'interesse allo scopo di ritrar soccorsi da quella possente repubblica.

      A. D. 697-1200

      Nel narrare l'invasione fatta da Attila nell'Italia, non tacqui41, come i Veneziani fuggiti dalle città distrutte del Continente, si fossero cercato uno oscuro asilo nella catena d'isolette che l'estremità dell'Adriatico golfo fiancheggiano. Circondati per ogni lato dal mare, liberi, indigenti, laboriosi, e padroni d'una inaccessibil dimora, a mano a mano in repubblica si congregarono. Le prime fondamenta di Venezia accolse l'isola di Rialto, e venne, in vece della elezione annuale di dodici tribuni, l'uffizio di un Duca o Doge perpetuo, che durava quanto la vita di chi lo assumea. Collocati fra due imperi, i Veneziani vanno fastosi della fama di aver sempre mantenuta la primitiva loro independenza42, e sostenuta coll'armi la lor libertà, dai Latini posta in pericolo, fama che, con testimonianze commesse allo scritto, potrebbero di leggieri giustificare. Il medesimo Carlomagno abbandonò tutte le sue pretensioni sulle isole del golfo Adriatico; Pipino, figlio di lui, ebbe mal successo in volendo superare le lagune di Venezia, troppo profonde, perchè la sua cavalleria potesse varcarle, ma non a bastanza per offerire alle sue navi ricetto; e sotto il successivo regno di tutti gli alemanni Imperatori, le terre della Repubblica veneta da ogn'altro paese italiano sonosi contraddistinte. Ma quegli abitanti imbevuti eransi dell'opinione generale dell'estranie nazioni, e de' Greci loro sovrani, i quali siccome parte non alienabile dell'Impero d'Oriente li riguardavano43. Il nono e il decimo secolo somministrano prove e molte, e saldissime di tale dipendenza. Laonde i vani titoli e i servili onori della Corte di Bisanzo, cotanto ambiti dai loro Dogi, avrebbero invilite le magistrature di questo popolo libero, se l'ambizione de' cittadini, e la debolezza di Costantinopoli non avessero per insensibili gradi sciolte le catene di questa dependenza medesima, che poi non era nè severissima, nè di soverchio assoluta. Convertiti l'obbedienza in rispetto, i privilegi in prerogative, la libertà del Governo politico quella del Governo civile affrancò. Le città marittime dell'Istria e della Dalmazia obbedivano ai sovrani dell'Adriatico; e quando questi armarono per Alessio contra i Normanni, l'Imperatore greco non riguardò i soccorsi de' medesimi, qual tributo che il Sovrano può aspettarsi dai sudditi, ma beneficenza di grati e fedeli confederati li reputò. Retaggio fu di questo popolo il mare44. Certamente i Genovesi e i Pisani, rivali de' Veneti, teneano la parte occidentale del Mediterraneo, dalla Toscana a Gibilterra; ma avendo Venezia ottenuta di buon'ora una grossa parte nel commercio vantaggiosissimo della Grecia e dell'Egitto, le ricchezze di essa, a proporzione delle inchieste degli Europei, si aumentarono; le sue manifatture di cristalli e di seta, fors'anche l'instituzione della sua Banca ad una antichità la più rimota risalgono, e i frutti della comune industria nella magnificenza della Repubblica e de' privati ammiravansi. Facea mestieri di mantenere l'onore della veneta bandiera, di vendicare ingiurie a questa inferite, o proteggerne la marittima libertà? La Repubblica potea in brevissimo tempo lanciar nell'acque, allestire una flotta di cento galee, ch'essa adoperò a mano a mano contra i Greci, contra i Saracini, contra i Normanni, o in soccorso, che grande fu, de' Francesi nelle loro spedizioni alle coste della Sorìa. Ma questa solerzia de' Veneziani, nè cieca, nè disinteressata mostravasi. Dopo la conquista di Tiro, parteciparono al dominio sovrano di questa città, primo ricettacolo del commercio di tutto il Globo; e già scorgeansi nella politica del veneto Governo tutta l'avarizia di un popolo trafficante, e tutta l'audacia di una potenza marittima. Ma non fu mai che il consiglio l'ambizione non ne regolasse; e dimenticò rare volte, che, se la copia delle sue galee armate era conseguenza e salvaguardia di sua grandezza, il suo navilio mercantile le avea dato origine e la sostenea. Evitato lo scisma de' Greci, non quindi Venezia un'obbedienza servile al Pontefice di Roma prestò; e l'abito di corrispondere cogl'Infedeli di tutti i climi, le fu schermo di buon'ora contra gl'influssi della superstizione. Il Governo primitivo di Venezia presentava