Annie Vivanti

...Sorella di Messalina


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si compiacque di quest'atmosfera inusitata, ma non ne fu per nulla turbato. Accomiatandosi disse a lei che sarebbe tornato l'indomani; e a sè stesso disse che non sarebbe tornato più. Già, aveva molto da fare: doveva finire la Madonna per la chiesa di Laghet, e il ritratto della baronessa Ferrari; e poi quello dell'ex-sindaco di Chieri. Anche una «Danzatrice Araba» e una «Ebe Giovinetta» dovevano essere pronte per l'Espositione di Venezia. No; non aveva davvero tempo da perdere.

      —Addio, Raimonda.

      —Giorgio!... Addio.

      III

      Ma all'indomani ecco che ella comparve inaspettatamente nello studio di lui.

      Ammirò molto le sue opere, fermandosi con lunghi silenzi pieni d'intensità davanti a tutti i piccoli sgorbi e abbozzi a cui Alberto stesso non aveva fino allora attribuito grande importanza.

      Sfortunatamente si fermò a contemplare colla stessa repressa emozione una tela che era del Bosìa. Ritta davanti al piccolo quadro vibrante di colorazione, lo fissava mordendosi le labbra e ansando un poco.

      —Quello non è mio,—disse Alberto, contrariato.

      —Ah!...—fece lei con un lungo sospiro come di sollievo.—Mi pareva... diverso! Mi pareva... un altro temperamento, un'altra anima!

      Indi volle suggerirgli lei l'idea per un quadro.

      —Lo intitolerete «La Riluttante». Nello sfondo, a sinistra, una pianura piena di luce. A destra, in primo piano una vallata tenebrosa. Nel centro, venendo dalla luce e rivolte verso l'ombra, due figure: una Donna (una donna non più giovane) e il Tempo... sapete pure, il vecchio Tempo convenzionale, colla barba, la falce e la clessidra... Egli tiene per il polso la donna e la trae presso di sè, forzandola a seguirlo verso la vallata buia. Ma ella, desiosa e nostalgica, volge il capo verso la pianura soleggiata e primaverile che ha lasciato dietro di sè...

      —La giovinezza!—interpretò Alberto.

      —... dove danzano in cerchio delle diafane figurette adolescenti... Da queste si stacca un giovane, divino di bellezza, che stende ancora verso la Partente una mano piena di fiori...—Tacque con un piccolo sospiro; indi fissando coi profondi occhi Alberto, riprese:—Ma, inesorabile, il Tempo trascina seco la riluttante. La trascina, giù, verso la vallata nubilosa e profonda... E tutte le rose ch'ella aveva in mano cadono a terra, sfiorite...

      —Bello!—disse Alberto, non troppo convinto.—Ma i quadri che dicono qualche cosa non sono più di moda.

      Ella gli diede subito ragione; e si estasiò davanti alla sua ultima tela raffigurante tre donne sedute in fila—due vestite e una nuda—che fisse ed intontite contemplavano una finestra chiusa.

      Ella lo trovò magnifico. Trovò magnifico tutto. Bevette del Malaga ch'egli le offerse; suonò qualche accordo al pianoforte; fu piena di vivaci, inaspettate e affascinanti eccentricità. Si rizzò in punta de' piedi a baciare rabbrividendo, i ghignanti denti di un teschio, che Alberto teneva presso un vaso di fiori su uno scaffale.

      —Io adoro la morte!—esclamò.

      Poi tornò ad ammirare Alberto e i suoi occhi e il suo studio e la sua arte; si stupì che tutti i suoi quadri non fossero già conosciuti e venduti a Parigi, a New York, a Costantinopoli, a Londra, e si meravigliò che tutte le donne d'Italia non fossero ai piedi di lui, convulse d'estasi e di passione.

      —Ah, Giorgio! Giorgio!... come siete meraviglioso e conturbevole!...—esclamava stringendo il fazzoletto orlato di trina alle narici.—Come mi piace odorare l'etere e guardare la linea del vostro profilo perduto...

      —Vi vedrò questa sera?—chiese Alberto un poco agitato.

      —No. Questa sera no.

      —Allora domani?—insistette lui, scordando gli impegni colla baronessa e coll'ex-sindaco.

      —No, Giorgio. Neppure domani.

      Alberto passò la serata al Caffè Nazionale con Piero; e fu irascibile, distratto e impaziente. Vi erano parecchie donne nel Caffè, di quelle che avrebbero dovuto essere ai suoi piedi; ma nessuna aveva l'aria di pensarci.

      Alberto andò a casa pensieroso. E non dormì.

      IV

      —Detesto i baci,—disse lei allorchè, al terzo incontro, Alberto credette giunta l'ora di chiedergliene uno.

      La signora detestava molte cose che le donne in generale sogliono amare.

      —Detesto i baci, detesto i fiori, detesto i bambini,—dichiarò.

      Alberto fu non poco stupito da queste asserzioni che gli parvero anormali ed inestetiche; indi osò chiederle, se in fatto di bambini, non conoscesse che quelli degli altri.

      —Conosco anche i miei,—rise la signora.

      —Ah?—fece Alberto.

      —Sì, due.—diss'ella, laconica, stringendosi nelle spalle.—Grandi e lontani. Quando sarò così vecchia da non potermi più nè tingere nè incipriare, andrò a stare con loro. Mi adorano.

      —E... vostro marito?...—chiese tentativamente Alberto.

      Di nuovo ella si strinse nelle spalle.

      —È in Africa;—disse.

      —Non torna?

      —Sì, sì. Tornerà. Mi adora.

      Secondo lei, tutti la adoravano. E poteva anche essere vero. Ma lei continuava a detestare molta gente e molte cose.

      —Detesto le donne,—disse un giorno, allorchè, giungendo inattesa nello studio, lo aveva trovato invaso da una deputazione di signore del Comitato di Coltura femminile. E all'Esposizione della Promotrice, avendole Alberto presentato due dei suoi amici (di cui uno le fece la corte e l'altro no) ella si mostrò assai risentita.

      —Non mi presentate mai i vostri amici—esclamò.—Detesto gli uomini.

      Egli allora, per distrarla e placarla, e anche perchè cominciava ad interessarsi a quel viso strano che cambiava di linea, di espressione e di colore ogni momento, la pregò di posare per un ritratto.

      —No! no! Detesto i ritratti!—disse lei.—E detesto i ritrattisti! Detesto tutto.

      Egli non insistette.

      Ma l'imagine di lei, il ricordo delle sue frasi e dei suoi atteggiamenti, il bisogno di vederla ogni giorno, crebbe e lo ossessionò.

      V

      Quando si conoscevano da circa due mesi, ed egli non pensava più che a lei e come lei; e non parlava più che con lei o di lei, adottando gli atteggiamenti spirituali, le pose e le espressioni un poco eccentriche a lei abituali; quando tutti i suoi quadri—la danzatrice Araba, l'Ebe giovinetta, la Madonna di Laghet, la baronessa Ferrari, e anche l'ex-sindaco di Chieri—mostravano senza eccezione una vaga ma indiscutibile somiglianza a lei, egli d'un tratto le cadde in ginocchio dinanzi.

      —Ti amo, Raimonda!...

      —No, Giorgio! non amarmi!—sospirò essa.

      —Non posso non amarti. Amarti... è la vita.

      Ella si chinò verso di lui e gli pose le lunghe mani sulle spalle.

      —Amarmi... è la morte,—sussurrò.

      Alberto, per quanto innamorato, ebbe voglia di sorridere a questa dichiarazione che gli parve un po' spinta verso il melodrammatico.

      Ella gli lesse in volto il pensiero, e sospirò:

      —Tu credi;—disse con lenta intensità,—tu credi che io esageri o scherzi. Mi trovi stravagante ed esaltata. Ebbene, ti sbagli. Io voglio che tu