e le promesse fattele, poterono sole trattenere l'impetuosità di Valancourt, che voleva correre da Montoni a domandar con fermezza quanto veniva ricusato alle sue preghiere. Si limitò dunque a rinnovare le sue istanze, e le appoggiò con tutte le ragioni che poteva somministrare la sua posizione. Passarono alcuni giorni in domande da una parte, e nell'inflessibilità dall'altra. Fosse per timore, o per vergogna, o per l'odio che risultava da questi due sentimenti, Montoni evitava accuratamente colui che aveva tanto offeso; non era nè intenerito dal dolore espresso nelle lettere di Valancourt, nè colpito dal pentimento per le solide ragioni in esse contenute. In fine, le lettere dell'infelice giovine furono respinte senza essere aperte. Nella sua prima disperazione, obliò tutte le promesse eccettuata quella di evitare la violenza, e corse al castello, risoluto di veder Montoni, e porre tutto in opra per riuscirvi. L'Italiano fece dire che non era in casa, ed allorchè Valancourt chiese di parlare alla signora o ad Emilia, gli fu negato positivamente l'ingresso. Non volendo impegnarsi in alterchi coi servitori, partì e tornò a casa in uno stato di frenesia: scrisse l'accaduto a Emilia, esprimendole senza riserva le angosce dell'anima; e la scongiurò, giacchè restava solo questo ripiego, di accordargli un abboccamento segreto.
Appena quella lettera fu spedita, la sua alterazione si calmò: conobbe il fallo commesso, aumentando le pene di Emilia colla descrizione troppo sincera de' suoi guai. Avrebbe dato la metà del mondo per ricuperare quella lettera imprudente. Emilia però fu preservata dal dolore che avrebbe provato ricevendola. La signora Montoni aveva ordinato che le fossero portate tutte le lettere dirette alla nipote: la lesse, e montata sulle furie per la maniera con la quale Valancourt vi trattava Montoni, la bruciò.
Montoni, intanto, sempre più impaziente di lasciar la Francia, sollecitava i preparativi della partenza, e terminava in fretta ciò che gli restava da fare. Osservò il più profondo silenzio sulle lettere nelle quali Valancourt, disperando d'ottener di più, e moderando la passione che avealo fatto trascendere, sollecitava il permesso soltanto di dire addio ad Emilia. Ma quando il giovane intese che sarebbe partita fra pochi giorni, e ch'era stato deciso che non la rivedrebbe più, perdè ogni prudenza, e in una seconda lettera le propose un matrimonio segreto. Questa lettera andò come l'altra nelle mani della signora Montoni, e venne la vigilia della partenza senza che Valancourt avesse ricevuto una sola riga di consolazione, o la menoma speranza di un ultimo abboccamento.
Intanto Emilia era inabissata nello stupore prodotto da tante disgrazie inaspettate ed irrimediabili. Essa amava Valancourt col più tenero affetto; erasi abituata da lunga pezza a considerarlo come l'amico ed il compagno di tutta la vita; non avea un pensiero di felicità al quale non fosse unita la sua idea. Qual doveva esser dunque il suo dolore al momento di una separazione così inaspettata, e forse eterna, e ad una distanza tale, dove le nuove della loro esistenza potrebbero appena giugnere, e tutto questo per obbedire ai voleri di uno straniero, a quelli d'una persona che provocava non ha guari ancora il loro matrimonio? Invano procurava essa di vincere il suo dolore, e rassegnarsi ad una sciagura inevitabile. Il silenzio di Valancourt l'affliggeva ancor più, perchè non sapeva attribuirlo al suo vero motivo; ma quando, alla vigilia di lasciar Tolosa, seppe che non erale permesso di salutarlo, il dolore l'oppresse maggiormente, e non potè trattenersi dal domandare alla zia se le fosse stata positivamente negata questa consolazione, ciò che le fu barbaramente confermato.
« Se il cavaliere avesse voluto ottener da noi questo favore, » diss'ella, « avrebbe dovuto contenersi diversamente. Egli doveva aspettare con pazienza che noi fossimo disposti ad accordarglielo; non mi avrebbe rimproverata perchè persisteva a negargli mia nipote, e non avrebbe molestato il signor Montoni, il quale non credeva conveniente di entrare in discussione su questa ragazzata. La di lui condotta in quest'affare è stata affatto presuntuosa e importuna; desidero di non sentir mai più parlar di lui, e che ci liberiate da cotesta ridicola tristezza, da cotesti sospiri, da cotesta aria cupa, la quale farebbe credere che voi siate sempre disposta a piagnucolare; fate come tutti gli altri; il vostro silenzio non basta a nascondere la vostra inquietudine alla mia penetrazione; vedo bene che siete disposta a piangere in questo momento, sì in questo momento istesso, a dispetto della mia proibizione. »
Emilia, che si era voltata dall'altra parte per nascondere le sue lacrime, si ritirò a precipizio per versarne in copia. Fu sì grande la di lei agitazione nel riflettere al suo stato e all'idea di non veder più Valancourt, che sentissi venir meno. Appena si fu riavuta un poco, si affacciò alla finestra, e l'aria fresca della notte la rianimò alquanto. Il chiaro di luna, cadendo sopra un lungo viale di olmi, sotto di lei, invitolla a tentare se il moto e l'aria aperta non calmerebbero l'irritazione di tutti i suoi nervi. Tutti dormivano nel castello: Emilia scese lo scalone, e traversando il vestibolo, penetrò cautamente nel giardino per un andito solitario. Camminava più o meno celeremente, secondo che le ombre la ingannavano, credendo vedere qualcuno da lontano, e temendo non fosse qualche spione di sua zia. Frattanto, il desiderio di rivedere il padiglione, nel quale aveva passati tanti momenti felici con Valancourt, dove aveva ammirato seco lui le belle pianure della Linguadoca, e la Guascogna sua cara patria, questo desiderio la vinse sul timore di essere osservata, e andò verso il terrazzo, che si prolungava sino all'ingresso del giardino, dominando gran parte della sottoposta prateria, alla quale si scendeva per una marmorea scalea. Quando fu alla scala, sostò un momento guardando intorno. La distanza del castello aumentava la specie di spavento che le cagionavano il silenzio, l'ora e l'oscurità; ma non iscorgendo nulla che potesse giustificare i suoi timori, salì sul terrazzo, onde il chiaro di luna scopriva l'ampiezza, e mostrava il padiglione in fondo. Si avanzò verso questo, e vi entrò; l'oscurità del luogo non era adatta a diminuire la sua timidezza. Le gelosie erano aperte, ma le piante dei fiori ingombravano l'esterno delle finestre, lasciando appena vedere a traverso i rami il paese fiocamente illuminato dalla luna. Avvicinandosi ad una finestra, essa non gustava di quello spettacolo se non in quanto potea servirla a richiamarle alla fantasia più vivamente l'immagine di Valancourt.
« Ah! » sclamò con un gran sospiro, gettandosi sopra una sedia; « quante volte ci siamo seduti in questo luogo! Quante volte abbiamo noi contemplato questa bella vista! Non l'ammireremo più insieme? mai, forse non ci rivedremo mai più! »
D'improvviso, lo spavento ne sospese le lagrime: avendo udito una voce vicina a lei nel padiglione, gettò un grido, ma lo strepito ripetendosi, distinse la voce amata di Valancourt. Era egli stesso, era il giovane che la teneva in braccio. In quell'istante la commozione le tolse l'uso della parola.
« Emilia, » disse alfine Valancourt, tenendole una mano stretta tra le sue, « mia cara Emilia! » Tacque nuovamente, e l'accento col quale aveva pronunziato questo nome, esprimeva la sua tenerezza insieme ed il suo dolore.
« O Emilia mia! » soggiuns'egli dopo una lunga pausa; « vi riveggo ancora, ed ascolto ancora il suono della vostra voce! Ho errato intorno a questi luoghi e a questo giardino per tante notti, nè aveva che una debolissima speranza di rivedervi! Era questa la sola risorsa che mi restava; grazie al cielo non mi è mancata. »
Emilia pronunziò qualche parola senza saper quasi ciò che dicea, espresse il suo inviolabile affetto, e si sforzò di calmare l'agitazione di Valancourt. Quando egli si fu un poco rimesso, le disse:
« Io son venuto qui subito dopo il tramonto del sole, nè ho cessato poi dal percorrere i giardini ed il padiglione. Aveva abbandonato qualunque speranza di vedervi; ma non sapeva risolvermi a staccarmi da un luogo ove vi sapeva così vicino a me, e sarei probabilmente rimasto tutta notte in questi contorni. Ma quando apriste il padiglione, l'oscurità m'impediva di distinguere con certezza se fosse la mia cara Emilia: il cuore mi batteva così forte per la speranza ed il timore ch'io non poteva parlare. Appena intesi gli accenti lamentosi della vostra voce, ogni dubbio svanì, ma non i miei timori, fintantochè non pronunziaste il mio nome. Nell'eccesso della gioia, non ho pensato allo spavento che vi avrei cagionato; ma non poteva più tacere. Oh! Emilia, in momenti così preziosi, la consolazione e il dolore lottano con tanta forza, che il cuore può a stento sopportarne la tenzone. »
Il cuore d'Emilia sentiva questa verità; ma la gioia di riveder l'amante nel momento in cui si accorava di esserne separata per sempre, si confuse presto col dolore, quando la riflessione guidò la sua immaginazione sull'avvenire. Faceva essa ogni sforzo per ricuperare la calma e dignità tanto necessarie per sostenere quest'ultimo colloquio. Valancourt non poteva moderarsi; i trasporti della gioia si cangiarono improvvisamente