aveva la patente (e neppure possedeva un'automobile), e quindi quel giorno li avrebbe accompagnati a piedi. Si rivelò scrupolosa e previdente, perché alla fine riuscì comunque a farli arrivare a scuola per l'ora prefissata.
Li seguii da lontano fino a scuola, ed attesi che Enrica ne riuscisse da sola per parlarle.
"Allora, Enrica, tutto a posto? Come ti stai trovando nel ruolo di mamma?". La presi di sorpresa: sicuramente non mi avrebbe riconosciuto se non le avessi parlato.
"Non male, direi. Ho promesso loro che, se fossero stati buoni, nel pomeriggio li avrei portati al Luna Park, perché so che gli piacerebbe tanto e che non ci sono mai stati. Anche tuo marito è d'accordo. E così sono stati due angioletti."
"Ottima idea", condivisi. "E se ti servisse l'aiuto di una baby sitter, non esitare a chiamarmi." Accostai alla mia guancia il mio pugno come un immaginario telefono.
"Già, una baby sitter. Magari per stasera, se ho voglia di passare qualche oretta da sola con il mio maritino. Caso mai ti chiamo. Ora vado, che ho un po' di sfizietti da levarmi con questa mia nuova faccia, e … ah, mi raccomando, tieni nota dei miei straordinari!"
Andava davvero di fretta e non feci in tempo a risponderle. Ma poi risponderle cosa? Le sue parole mi lasciarono dapprima interdetta ma, soprattutto, preoccupata e stizzita. Lei non era sposata, e quindi, a meno di un suo fidanzato a me ignoto, il maritino di cui parlava era in realtà il mio maritino. E cosa voleva farci sola soletta per qualche ora? E che sfizietti voleva levarsi con la mia faccia? Forse qualcuno se l'era già tolto con mio marito. Quanto ai suoi straordinari, forse non aveva poi tutti i torti, anche se molte di quelle ore da mamma le aveva trascorse dormendo. Magari, pensai, se e quando tutta questa strana storia finirà discuteremo insieme di tutto ciò.
Ora però avevo anch'io alcuni sfizietti da togliermi con la mia nuova faccia. Tornai a casa, mi feci una bella doccia, mi cambiai e mi preparai per nuove emozioni.
Il guardaroba di Enrica era, a mio parere, veramente spropositato per una ragazza della sua età. Nondimeno ne fui molto contenta: passai almeno un quarto d'ora a provarmi ed a guardarmi addosso i suoi vestiti, come se fossi in un negozio. Alla fine uscii di casa che ero davvero molto simile alla Silvestrini come compariva a pagina 24 dell'ultimo numero dello Specchio Magico.
Già sulla metropolitana più d'uno mi guardò in modo strano, e due ragazze mi si fecero incontro per chiedermi se ero la Silvestrini. Io negai, quasi istintivamente, ma in realtà un attimo dopo mi ero quasi pentita di averlo fatto. Così, quando arrivai a Cinecittà ed alcuni ragazzi - che aspettavano là fuori chissà cosa o chissà chi - mi chiesero un autografo, non mi tirai indietro. Però … che firma fare? Alla fine tirai fuori uno sgorbio tale, che sfido chiunque a capire cosa ci fosse scritto.
Di autografi ne firmai forse dieci o venti, prima di riuscire ad arrivare alla guardiola della portineria facendomi largo tra quella folla di giovani in attesa.
"Venga, venga, signorina. Ma la prossima volta farebbe meglio ad entrare dall'altro ingresso. E magari arrivare un po' prima: lei sa com'è, quando ci sono i provini."
"Mi scusi, dovrei andare nello studio dove stanno registrando quella fiction … non mi ricordo come si chiama: quella con la Silvestrini".
"Oh, ma che mi sta prendendo in giro? Ma non è lei la signorina Silvestrini?"
"Beh, … veramente …"
"Ah, ho capito. Tu devi essere la controfigura, quella che stavano cercando da tanto tempo. Beh, in effetti ci somigli parecchio: credo che saranno molto contenti di vederti. Lo studio è il numero 3, in fondo a sinistra." Lo ringraziai, e mi incamminai nella direzione che mi aveva indicato.
Quando mi affacciai timidamente nel capannone all'apparenza vuoto e addormentato dello studio 3, il mio arrivo portò una certa agitazione nell'unica persona là presente, un certo Alvaro.
"Signorina Silvestrini, è arrivata! Pensavamo che non sarebbe venuta, che fosse ancora ammalata. Chiamo subito il regista, ne sarà contento."
"Non sono la signorina Silvestini", mi affrettai a precisare, "ma ho sentito dire che cercavate una controfigura per lei."
"Benissimo. Mi sembri perfetta. Li avviso subito."
Per telefono Alvaro non riuscì a contattare il regista, ma parlò con qualcun altro che gli disse di non farmi andare via, e che dopo pochi minuti si presentò lì.
"Ci sono ancora da fare tutte le scene su moto e motorini", mi disse. "Purtroppo la Silvestrini ha una gran paura delle moto, e sembra che non ci sia proprio verso di fargliela passare. Le prende proprio il panico. Ma quelle scene bisognerebbe comunque girarle. A proposito, lei sa guidare una moto?"
"Io veramente …". Mi sentivo imbarazzata. Sì, occasionalmente da giovane ero salita in sella dietro a qualche ragazzo, anche su moto potenti. Ma guidarle proprio non mi pareva di averlo mai fatto.
"Non si preoccupi, signorina. Non è che serva fare chissà cosa. In teoria potrebbe anche non avere la patente, se ci arrangiamo a girare in qualche zona privata. Adesso sentiamo il regista. Io direi di iniziare da quelle in cui lei sta dietro e guida Alfonso, se riusciamo a trovarlo in tempi decenti. Intanto vedo se riesco a procurarmi una di quelle moto elettriche che volendo saprebbe guidare anche un bambino. Sempre che sappia andare almeno in bicicletta."
"Si, si, quello si."
Alfonso prima delle undici non poteva arrivare. Così ebbi parecchio tempo per fare pratica con la moto elettrica. Davvero non proprio come una bicicletta: un vero stress, devo dire. Però tutti i presenti si mostrarono davvero molto pazienti e disponibili ad insegnarmi e ad aiutarmi.
Alla fine con la moto elettrica me la cavavo bene, e ci fu il tempo per farmi provare anche un motorino normale.
Quando finalmente arrivò Alfonso Cardinale (una faccia nota, protagonista di una serie di spot pubblicitari molto conosciuti su un dentifricio), mi fecero cambiare vestiti e mi diedero una sistemata secondo le esigenze del copione. Per le riprese uscimmo in moto per le strade della città, col casco, Alfonso alla guida ed io seduta dietro a lui; ci seguivano un furgoncino e un'altra moto con la troupe e gli operatori.
"Sorridi e tieniti stretta a lui con fiducia. Pensa che ne sei innamorata", mi raccomandarono prima delle riprese che durarono parecchi minuti ma, come dissero forse solo per tranquillizzarmi, sarebbero risultati solo pochi secondi nel prodotto finale.
"Più rilassata. Stai tranquilla, e cerca di sentirti più a tuo agio. Non sei mica sotto la minaccia di una pistola", mi sentii dire diverse volte, con leggere varianti, durante i numerosi ciak delle scene con Alfonso.
Poi invece la scena in cui partivo da sola col motorino andò molto meglio, anche perché da copione dovevo essere nervosa e preoccupata. Ma di queste riprese non ricordo gran che, se non alla fine l'aiuto regista che mi disse:
"Bene, abbiamo finito. Lascia ad Alvaro il tuo nominativo, se non l'hai già fatto, e con il foglio che ti darà presentati all'amministrazione per il compenso non prima di una settimana. Ora riprendi pure le tue cose. Mi raccomando, lasciaci tutti i vestiti e gli accessori di scena. Se non vuoi tornare a Cinecittà, puoi cambiarti sul furgone."
Seguii alla lettera le sue istruzioni. Quando alla fine uscii dal furgone mi accorsi che tutti stavano aspettando me, come una diva … ma solo per potersene andare. O almeno, tutti tranne Alfonso, che mi porse nuovamente il casco.
"Posso avere il piacere di accompagnarti a casa?", mi chiese. "Tanto la mia moto e la mia guida le conosci, sai che ti puoi fidare".
Io ero sfinita, accaldata e per giunta affamata. Sicuramente tornare a casa in moto sarebbe stato più veloce e piacevole che non coi mezzi pubblici.
"Con piacere", gli risposi, "basta che non vai troppo forte."
"D'accordo", mi rispose lui. E partimmo.
Ero convinta che di solito un uomo, portando dietro di sé una donna in moto, cerchi sempre inconsciamente di spaventarla con la velocità, in modo da far si che lei si stringa a lui e lo abbracci forte. Un contatto fisico ed un senso di potenza e protezione che,