Guido Pagliarino

Il Vero E Il Verosimile


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sia in quanto, la sera stessa, avrebbe avuto ospite in villa un importante cliente grossista.

      Quel volo, sebbene in sé tranquillo, sarebbe stato per l'industriale estremamente sofferto, tutto vissuto con una mano stretta attorno al suo chiodo portafortuna.

      Paura dell'aereo? Normalmente no, ma sì in quell'occasione: era infatti accaduto che l'amico, nel portarlo con Bruno all'aeroporto si fosse lasciato sfuggire, sottolineando divertito che a quelle cose lui per niente credeva, che il dirigente cinematografico aveva nera fama di iettatore potentissimo. Era a lui che i maligni attribuivano, per il solo fatto d'aver partecipato al viaggio inaugurale, il sinistro della modernissima Andrea Doria, affondata nell'oceano pochi anni dopo quella prima crociera. Il Pittò aveva tremato all'idea del pericolo che, senza saperlo, aveva corso durante quell'ormai lontana navigazione; ma era gelato addirittura all'immediato successivo pensiero del rischiosissimo, iellato volo che stava per intraprendere. Sceso dunque dall'auto dell'amico e congedatosi, aveva pensato per un poco, e seriamente, di prendere un taxi e tornarsene alla stazione ferroviaria, nonostante i biglietti aerei già pagati.

      Bruno, che nessuna voglia aveva di altre lunghe ore in treno, e per di più di giorno, gli aveva allora insinuato, riuscendo a rimanere serio: "Ho letto le statistiche, ci sono moltissimi incidenti ferroviari; pensa che sono enormemente più numerosi di quelli aerei. Non parliamo poi neanche di quelli stradali, se si viaggia in pullman!"

      Il cavaliere aveva immediatamente toccato chiodo e, poiché fare a piedi quelle centinaia di chilometri non si poteva proprio, dopo lunga riflessione aveva, infine, subìto di volare.

      Solo all'arrivo avrebbe aperto bocca: "Siamo a terra e fermi, no?" e, all'assenso del nipote, avrebbe concluso: "Hai visto che erano tutte stupidaggini?" come se il superstizioso dei due fosse stato il giovane.

      Vi sono persone, avrebbe ragionato anni dopo Bruno tornando con la mente all’episodio, che come il cavaliere si dichiarano atee perché, così affermano, esse sono concrete, positive o, addirittura, scientifiche; ma poi son quelle stesse, tante volte, che leggono ogni mattina l'oroscopo, non passano mai sotto una scala, sfuggono gatti neri e fiori bianchi e hanno almeno un portafortuna in tasca. Sovente questi esseri umani s’attirano guai proprio a causa della loro superstizione.

      Giunto in ditta, il viso nuovamente rabbuiato, il Pittò aveva rinchiuso, tenendolo per due dita, il contratto in cassaforte.

      "Allora, iniziamo a produrre?" gli aveva chiesto il perito Tirlotti.

      "Un…m... un momento, domani ne riparliamo", era stata l'incertissima risposta del principale. Sceso sano e salvo dall'aeroplano, pur non temendo più per la propria pelle, era infatti nato nell'imprenditore un novello timore, che la fornitura al menagramo romano portasse disgrazia all’azienda.

      Passavano i giorni e l'ordine di produrre non veniva.

      "Cavaliere, cominciamo? Roma aspetta", interrogava lo stupito direttore tecnico.

      "Hmm... non c'è fretta".

      "Cavaliere", interveniva allora il direttore amministrativo, "scusi ma bisogna iniziare! Ci sarà certo un termine di consegna, no? e poi, i soldi ci servono!"

      "Aah!" e il principale, allargando la bocca nel gemito, prendeva a battere alla sua maniera le palme delle mani fra di loro, più e più volte, e si allontanava con l'aria indignata.

      Solo Bruno aveva intuito il motivo di quell'incertezza e, ben comprendendo il danno che alla ditta stava venendone, l'aveva confidato al Fringuella.

      I rapporti fra i due s'erano, nel frattempo, guastati, il dottore aveva perso molto dell'iniziale rispetto per lui e lo chiamava ormai, intenzionalmente, Bruno invece di signor Seta. La causa? Certamente quell'infelice frase del Pittò sulla nomina dell'erede al suo posto e, ben probabilmente, anche le sopraggiunte difficoltà economiche della ditta. Il giovane, per reazione, aveva ricambiato l'antipatia; inoltre, conosciuto il suo passato, aveva perso la stima per lui. Tuttavia, il dottore restava pur sempre l'unica persona cui affidarsi per salvare la situazione. Infatti, nonostante il suo precedente penale, l'uomo riusciva non poco, unico fra tutti, a intimidire il principale, forse in memoria della fiscale carica censoria che aveva a suo tempo esercitato contro di lui; e non era da escludere che soprattutto per questo il cavaliere, inconsciamente, volesse liberarsene non appena possibile.

      "Bruno, perché non m’ha avvertito immediatamente?" lo aveva, per prima cosa, rimproverato.

      "Era solo un sospetto; e mi pareva talmente assurdo! Eppure, è l'unica spiegazione logica"; e gli aveva raccontato del viaggio in aereo.

      "Non c'è più alcun dubbio", aveva sentenziato il direttore; poi, scuotendo la testa: "Son cose da non credere! e non sappiamo nemmeno come sia 'sto benedetto contratto! L'ha predisposto la controparte a Roma; io non ho neanche avuto l'onore di leggerne la bozza; e vuole che non ci siano penali per eventuali consegne in ritardo? È un'azienda a direzione pubblica, chi sa che ghigliottine!" e s'era seduto sconsolato. Poi, con un balzo d'orgoglio: "…ma lo sa che suo zio è proprio un incosciente? Glielo dica pure, e se non lo fa lei, lo farò io; anzi, ci vado subito!" S'era alzato e, alla bersagliera, aveva preso a girare corrucciato per tutto lo stabilimento alla ricerca del principale.

      Per fortuna del Pittò, questi era assente.

      Aspetta un giorno, aspettane due, il cavaliere non veniva. Allora il Fringuella gli aveva telefonato. In casa, soltanto la domestica: "I signori sono partiti per una vacanza."

      "Una vacanza! Con tutto quello che c'è per aria?"

      "Io non so cos'è per aria", aveva replicato la sconcertata fantesca mentre il dottore, senza neppur salutare, abbassava la cornetta.

      "Ecco, adesso siamo proprio a posto. Bel parente che ha lei!" s'era sfogato con Bruno, come se la colpa fosse stata del giovane.

      Finalmente, d'accordo col Tirlotti e testimone l'erede, era stata assunta l'ammutinata decisione di chiamare un fabbro a scassinare la cassaforte; intanto, senza più indugi, si sarebbe cominciato a produrre per Roma.

      Uno dei principali compiti del giovane Seta era divenuto, intanto, quello di passare freneticamente da debitori dell'azienda a sollecitare pagamenti e, raramente, a incassare fatture, e molte volte pure villanie, correndo poi da notai a pagare cambiali del cavaliere prossime al protesto; infatti la crisi, o addirittura la bancarotta, di molti clienti per la congiuntura negativa ormai gravissima, aveva ridotto a un bicchierino la liquidità dell'industria Pittò.

      Perciò, quando il ladro Dialzi era nuovamente venuto a elemosinare, l'ultima volta solo due giorni prima della spensierata vacanza del cavaliere, era stato finalmente allontanato e senza un soldo. Prima d'andarsene, aveva però detto al suo antico principale: "Ricòrdati quello che solo tu ed io sappiamo!" e il dottore e Bruno avevano sentito. "Si dànno del tu?!" s'era stupito il giovane.

      Scassinata la cassaforte, dove peraltro il denaro era del tutto assente, e prelevato il contratto, mentre il Fringuella e il Tirlotti andavano a leggerselo in ufficio e il fabbro ripristinava i meccanismi della porta, l'erede era rimasto di guardia; e, nell'attesa, il suo sguardo era stato attratto da un pacchetto di lettere. Erano indirizzate allo zio e, come avrebbe poi capito, tutte di mano del Dialzi. Non vincendo la curiosità, dopo aver esitato per un minuto buono, le aveva prese e, un poco discosto, s'era seduto a leggerne una.

      Iniziava così: Caro padre...

      Il mittente preannunciava una sua prossima visita e invitava il cavaliere a preparare il denaro.

      Bruno, visto che l'artigiano stava per terminare, s'era tenute le lettere per leggerle tutte e con comodo dopo il lavoro, sperando che lo zio rimanesse in vacanza ancora per qualche tempo. S'era fatto consegnare una delle due nuove chiavi, mentre aveva lasciato l'altra al Fringuella; il giorno dopo, avrebbe riposto le missive nella cassa blindata.

      La sera, a casa, prima di cena, senza nulla dire al papà per timore d'esserne rimproverato, aveva letto. Le lettere cominciavano tutte col Caro padre e annunciavano una prossima visita in fabbrica del Dialzi; c'erano poi, diverse da missiva a missiva, considerazioni