Guido Pagliarino

Le Immortalità


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e commettono, un peccato che, quando non ci si penta in tempo, conduce all'Inferno. Bene, ciò precisato, fate bene attenzione! possiamo finalmente andare alla conclusione. Chi fu più superbo e ateo degli eterni? Chi andò contro la natura? Io credo nessuno. In secondo luogo, si consideri ch’essi sono assolutamente indistruttibili, e questo non può di certo apparire come un fatto scientifico, umano. Alcuni di loro, nessuno ne rida anche se appare ridicolo! a un certo punto, colmi d'angoscia, tentarono ogni strada per morire, prima sotto anestesia poi, pensando che proprio questa fosse la causa del loro fallimento, rinunciandovi: taglio del capo, esplosione di bomba, fame e sete, affogamento, chiusura stagna in camere senz'aria... Stanno ridendo? Va beh, li scuso, è umanamente comprensibile, ma ora, per favore… Grazie. Stavo per dire che, alla fine, nulla ottenendo, questi eterni aspiranti suicidi s'accordarono e tentarono di farsi annichilire tutti assieme da una bomba ultranuclear... Eh, per favore! Smettano di ridere, per favore: è un fatto tragico. Grazie. Dicevo: sembra assurdo, ma essi, anche in quell'estremo caso, dopo essere stati ridotti a meno che atomi si ricomposero, del tutto incolumi. Essendo stata provata dunque all’estremo la loro assoluta indistruttibilità, è corretto dedurne che, anche quando un giorno il Sole collasserà, quando la Terra sarà morta, anzi addirittura quando l'intero universo, per l'inversione del Big Bang, tornerà infine nel nulla, quegli eterni dannati continueranno ad esistere, nell'interminabile Inferno di quello stesso nulla. Un Inferno senza essere prima morti? mi chiederete. No. Sappiate infatti che il procedimento Vita Eterna, ma meglio lo si chiamerebbe Morte Eterna, contemplava, come passaggio necessario, proprio la morte: per un momento soltanto, ma morte vera, anche cerebrale. Solo poi avveniva il richiamo in vita, alla Vita Eterna. Aggiungerò ancora un concetto, a maggior conforto della mia tesi, e poi vi saluterò perché il collegamento sta per venir meno. Dove si potrebbe mai situare lo stato infernale se non al di fuori di Dio cioè al di fuori dell'Essere, che è come dire dell'Eterna Infinita Felicità Trascendente? Dunque quello stato non può trovarsi che nell'immanente che continuerà, per così dire, ad esistere per quei dannati anche quando tutto il resto dell'universo sarà semplicemente nulla. Oh… vedo che il nostro collegamento sta svanendo. Arrivederci a tutti."

      Tra applausi, l'immagine del cattedratico s’era dissolta.

      Questa volta però non tutti gli studenti avevano battuto le mani: non quattro atei, non due discendenti di annoiatissimi eterni e non una giovane nota a tutti per il suo animo grande che, anzi, era stata sentita dire alla vicina: "Eppure io credo lo stesso che alla fine dei tempi anche quei disgraziati… Potrebbe trattarsi solo d’una sorta di purgatorio in terra, no? È scritto: Non giudicare, se non vuoi essere giudicato; e se è vero che in certa scienza può esserci tanta superbia, quanta pure può trovarsene in certa teologia!"

      Ad accendere l’avversione generale verso gli eterni era stata dapprima l’invidia, nel desiderio dei comuni mortali d’essere come loro, una gelosia travestita nondimeno da desiderio di giustizia, come quasi sempre succede. Successivamente, quand’era stata nota generalmente la noia esistenziale degl’immortali, l’ostilità contro di loro non era cessata, ma ad alimentarla era stato adesso un senso di sprezzo per la loro sofferta condizione, quel dispregio che s'accende purtroppo, negli spiriti meno nobili, verso coloro ch'essi sentono, per qualche ragione, diversi. Il disprezzo s'esprimeva a volte in forma d'irridente sarcasmo, con osservazioni come queste: “Ben gli sta, a quei prepotenti che volevano essere superiori a noi e si davano tutte quelle arie!” “…ma guardali, quei miliardari! Hanno speso un patrimonio per guadagnarsi la noia, quelle teste di rapa”, o come queste altre, più pesanti: “I loro visi giulivi sono diventati pallide facce da sedere!” In ultima fase s’era acceso in molti mortali, non in tutti ché qualche persona non spietata ancora esisteva, un puro odio per gli eterni. La miccia era stata accesa da un caso, definito dai media La carneficina di Parigi, la cui notizia, in un attimo, aveva fatto il giro del mondo scandalizzando. Il fatto era accaduto dopo il ritorno al vecchio calendario, precisamente nell’anno 2509, essendo stati ormai distrutti gl’impianti Vita Eterna per cui il numero degl’immortali, tutti censiti per obbligo di legge, era rimasto da allora fermo a 1003 persone, anche perché l’eternità originata dal procedimento Vita Eterna non era trasmissibile, in quanto il processo rendeva sterili coloro vi si erano sottoposti. Diversi immortali avevano sì figli e nipoti, ma tutti frutti di concepimenti precedenti. A far salire all’acme l’odio entro la coscienza collettiva era stata la consapevolezza, rimasta prima de La carneficina di Parigi nel profondo delle menti, che in nessun modo sarebbe stato possibile a un mortale reagire con successo all’attacco violento d’un immortale che avesse deciso di ferirlo o ucciderlo, causa la famigerata facoltà degli eterni di rigenerarsi subito dopo essere stati a loro volta feriti o, all’apparenza, ammazzati; dunque, che in caso d’aggressione, l’unica possibilità di difesa, attuabile però soltanto se di fronte all’immortale violento ci fossero state molte persone, sarebbe stata quella d’avvincerlo in corde o catene impedendone così i movimenti. Casi d’aggressione da parte d’un eterno contro un mortale erano sicuramente già avvenuti prima de La carneficina di Parigi e anzi, in oltre quattro secoli, dovevano essere stati molti, ma solo dopo questa mattanza s’era sparsa ovunque un’irata ossessione collettiva contro gli eterni. Era accaduto che uno degl’immortali, uomo aitante dell’apparente età di trent’anni e vecchio ormai d’oltre quattrocento, Louis Villon, celebre per essere stato uno dei due magnati che avevano finanziato la ricerca dell’Istituto Privato Bertrand Russell sfociata nel procedimento Vita Eterna e che per primi ne avevano fruito, fosse stato attaccato una sera nella campagna attorno a Parigi, nel rientrare a piedi nella propria villa dopo una passeggiata digestiva, da tre cani dobermann aizzatigli contro da quattro giovani mortali appartenenti, come il Villon avrebbe poi appurato, a una cerchia d’una decina di teppisti razzisti che avevano come primo fine il prendere di petto gli odiati eterni. Louis Villon era stato fatto letteralmente a pezzi dai cani, poi i loro padroni s’erano allontanati psicologicamente satolli di sangue assieme alle loro bestie. Risanatosi fra tremende sofferenze, il Villon, colmo di rabbia verso quei mascalzoni, aveva ingaggiato il giorno seguente agenti privati per scoprirne l’identità. Saputo quanto bastava su quei brutti figuri e sul loro circolo, invece di denunciarli il miliardario s’era voluto prendere una rivincita personale e, di notte, quando il loro club era vuoto di persone, l'aveva incendiato. Il circolo occupava una catapecchia in legno nella campagna attorno a Parigi, non lontano dalla villa dell’eterno. Perciò l'incendiario era stato visto fuggire da uno dei soci, che viveva in un casolare vicino al club, appena a un'ottantina di metri, e la notte stessa era stato da lui denunciato agli altri membri. Non molto dopo i dieci tutti assieme, abbattuta la porta d’ingresso di villa Villon, avevano invaso la dimora coi loro tre cani, impugnando torce, con la più che verosimile intenzione di contraccambiare dando fuoco alla costruzione. Il proprietario e i suoi due domestici, comuni mortali di mezza età marito e moglie, accorsi al fracasso dello sfondamento, giunti nell’atrio e visti gl’invasori avevano tentato coraggiosamente d’opporsi ed erano stati aggrediti dai cagnacci, sguinzagliati dai padroni. Tutti e tre erano stati sbranati orribilmente; però, mentre i domestici erano irrimediabilmente morti, il Villon s’era a poco a poco ricostituito fin a riapparire incolume. Intanto i delinquenti, con le loro bestie al seguito, avevano preso a esplorare le altre stanze della casa, con la probabile intenzione di depredare la villa. Il proprietario, armatosi di due fucili e due pistole che custodiva in un armadio a muro dell’ingresso, colmo d’ira come mai in tutta la sua lunghissima esistenza, aveva anzitutto ucciso i tre dobermann che, avendo avvertito il suo odore, avevano lasciato i loro padroni ed erano corsi ringhiando verso di lui per assalirlo; quindi, ormai cieco di rabbia, raggiunti gli aggressori il Villon ne aveva ammazzati quattro, uno dopo l’altro. Gli altri sei a questo punto avevano preferito fuggire. Essendo stata riconosciuta dal giudice istruttore la legittima difesa, il Villon non aveva avuto condanne, mentre i delinquenti superstiti erano stati arrestati, giudicati e condannati. Il sentimento generale però era ormai troppo ostile agl’immortali; così i media, raccogliendo ed esprimendo quella profonda avversione,