â disse loro â ai due discepoli che, non credendo più, stavano fuggendo verso Emmaus dopo la sua crocifissione e morte â: 'Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella gloria?'â(Lc 24, 25 s).
La liberazione dallâesilio babilonese è recepita religiosamente come il segno divino del perdono (Ez capitoli da 41 a 48. V. anche Esdra, 1, 1-9); essa è attribuita teologicamente allâintervento di Jahvè nel cuore di Ciro lâaffrancatore che il Deutero Isaia chiama amico di Dio, suo eletto e suo pastore: il regno di Nabucodonosor non era stato longevo, verso il 539 a.C. Ciro II di Persia aveva conquistato Babilonia e, quindi, la Palestina era divenuta tributaria del suo grande impero. Il sovrano, persona dalla mente piuttosto aperta a differenza del re babilonese che aveva cercato dâeliminare lâidentità ebraica, essendo conscio che la tolleranza può favorire lâordine rispetta le culture dei popoli soggetti (2 Cr 36, 23): âNellâanno primo di Ciro, re di Persia, a compimento della parola del Signore predetta per bocca di Geremia, il Signore suscitò lo spirito di Ciro re di Persia, che fece proclamare per tutto il regno, a voce e per iscritto: Dice Ciro re di Persia: Il Signore, Dio dei cieli, mi ha consegnato tutti i regni della terra. Egli mi ha comandato di costruirgli un tempio in Gerusalemme, che è di Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il suo Dio sia con lui e parta!â Come si vede, lâautore immagina un Ciro semplice strumento di Dio.
nche altrove nella Bibbia dei sovrani pagani sono presentati come inviati di Jahvè, ma per punire popoli avversari dâIsraele, che essi sconfiggono. Ad esempio in Ezechiele tale incarico, contro gli Egiziani, è dato da Dio a Nabucodonosor (cfr. Ez 29, 17-20).
Già nel 538 a.C. l'illuminato Ciro concede agli israeliti deportati che lo desiderino di rientrare nella loro terra, in ogni caso a lui soggetta. Non tutti scelgono di tornare, essendo passati tanti anni e trattandosi della seconda e terza generazione, ormai radicate in Babilonia, in parte i deportati scelgono di restarvi come liberi sudditi di Ciro. Il ritorno di chi sceglie il rimpatrio è a tappe, riguarda vari gruppi e si svolge in un periodo di oltre un secolo. Intanto il re, per ingraziarsi maggiormente il popolo ebraico e meglio assicurare lâordine sociale, comanda addirittura la ricostruzione del tempio di Gerusalemme e la ripresa del culto, restituendo gli arredi sacri rubati a suo tempo da Nabucodonosor. Al giudeo Sesbassar, discendente della casa di Davide, lâimperatore dà autorità e lo incarica di ricostruire il tempio. Egli accetta con entusiasmo, ma lâopera si rivela assai difficile e non procede. Inoltre ostacoli sorgono dagli altri abitanti del luogo: Gerusalemme si trova compresa nella Prefettura di Samaria, governata per conto dei Persiani da certi ebrei considerati impuri dai rimpatriati perché ritenuti discendenti da donne non giudee, in senso etnico-religioso considerati bastardi, persone che non solo sono restie a collaborare ma si mostrano, per reazione, nemiche. Dopo ventâanni, invece del nuovo tempio câè ancora un cumulo di macerie: evidentemente lâentusiasmo per la ritrovata, sia pur entro certi limiti, libertà non è durato a lungo presso il popolo. Per qualche tempo, scomparso dalla scena Sesbassar, la Persia nomina re-vassallo Zorobabele, anch'egli discendente di Davide, che ritorna a Gerusalemme al comando dâun secondo gruppo di rimpatriati. I profeti Zaccaria e Aggeo confidano in lui (Zc 6, 9 ss; Ag 2, 20 ss), sperano che ricostruisca finalmente il tempio, ma invano. Dopo Zorobabele anche il potere politico passa, di fatto, ai sacerdoti, il primo dei quali ha nome Giosuè (come lâantico delfino di Mosè, ma non necessariamente così chiamato dai genitori in sua memoria, perché Joshua - o Jeshua -, in italiano Giosuè o Gesù, era nome assai comune presso gli Ebrei.
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