Giovanna Esse

Peccati Erotici Delle Italiane 2


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Lo so perché le mie guance bruciano, mentre il resto del corpo lo sento raggelarsi. Com’è strano: quando ci accade qualcosa che riteniamo del tutto impossibile. Siamo sempre stati sicuri di non poterlo mai affrontare e invece, misteriosamente, siamo lì a sopportare l’incredibile e, forse, persino a passarci attraverso.

      Resto ferma come una statua di sale… è già troppo quello che faccio… quel che “provo” ad offrire. Sì, provo! Perché non sono assolutamente sicura di resistere; non posso sapere fin dove ci spingeremo. Non posso garantire sulla mia reazione fisica. Adesso, anche se siamo così vicini, non provando nessun piacere, i miei sensi non sono ottenebrati, quindi il sentimento più potente che mi sovrasta è la vergogna. Una mortificazione doppia, che aumenta sino all’insopportabile, perché ho vergogna oltre che per il possibile atto, osceno di per sé, anche per la mia età. La differenza mi avrebbe fatto sprofondare, chiunque ci fosse stato, quella sera, alle mie spalle… dal garzone del salumiere al migliore amico di mio figlio. Un ragazzo addosso a un’anziana signora; questo era! L’innegabile, squallida realtà.

      Potrei essere una bella signora per un coetaneo; posso piacere ancora a mio marito, ma se giaccio con un trentenne già questa, questa sola, è una depravazione. Però, dietro di me non c’è un ragazzo qualunque: c’è mio figlio! E la cosa è assai più complicata… imperdonabile. Ha un nome, un nome che, da solo, fa venire i brividi… una parola che ho evitato di formulare nella mente per quasi vent’anni: si chiama incesto.

      Avrei voluto restare immobile ma non sono riuscita a non sobbalzare; sorpresa, mentre divagavo persa in mille angosce, ho avuto uno scarto spontaneo, quando le sue mani si sono poggiate sulle mie spalle. Ora sono ferma, di nuovo.

      Lui ha avvertito il mio scatto. Ha ritirato le mani come si fosse scottato, ma poi le ha poggiate di nuovo; forse più deciso, più sicuro di sé. Piano, delicatamente, mi si china completamente addosso: le mani sulle spalle, il petto sulla schiena, il pube sulle grosse chiappe. Non ho sentito la sua virilità e ne sono felice. Un pensiero cretino mi attraversa il cervello, quasi sorrido… certo d’imbarazzo. È mio figlio, lo conosco bene, e so perfettamente che se il suo membro fosse duro lo sentirei, lo sentirei molto bene, visto che ha “un’attrezzatura” notevole; qualche volta persino oggetto di scherno, in famiglia. Il suo pene non mi faceva certo impressione: nonostante sia adulto, all’occorrenza, lo avrei guardato o toccato mille volte, senza tema, moscio o rigido che fosse… per lavarlo, per curarlo, per un’esigenza, un aiuto di qualsiasi genere. Ma pensarlo in vagina, no! Quello proprio non ce la facevo, mi sentivo svenire. Si è appoggiato su di me, tenerissimo, fa di tutto per non pesarmi; sento il suo fiato, veloce e alterato, dietro l’orecchio… Ho lavato anche i capelli. Ho fatto bene! Passano i minuti. Per fortuna non mi parla, non sarei in grado di rispondere. Adesso si alza, mi resta pressato solo sul sedere. Con le mani inizia a massaggiarmi la schiena. Mi piace tanto e mi aiuta a distendermi: “Ah, se tutto finisse così…” penso tra me ma non ne sono convinta. Mi stringe le spalle con le dita e le manipola, poi scende, piano ma deciso, lungo i fianchi e i reni. Come sto bene. Continua scendere e salire, poi stringe le mani verso la spina dorsale. Dio solo sa quanto è gradevole, per la mia povera schiena, di madre che lavora sempre. È tutto solo piacere intenso, potrebbe persino restare innocente. Il suo pene ancora non lo sento. “Buon segno”, mi dico “forse sfuggiamo a questo tremendo destino.” D’improvviso lo sento più deciso, si intuisce che ha preso coraggio, ora le sue mani s’infilano sotto la blusa. Le mie sensazioni cambiano quando torna a massaggiare il centro della schiena, ci passa il pollice, preme, e io mi scaldo. Al secondo passaggio, inesorabile, lungo tutta la schiena, m’inarco come una gatta, indipendentemente dalla mia volontà. La “botta” di calore mi prende come uno schiaffo potente dietro la nuca! Succede quando, per non essere più intralciato dall’elastico, mi sgancia il reggipetto: la molla scatta, i seni precipitano, molli e osceni. Non è più un gioco. Le tempie mi bruciano. Lui riprende a manipolarmi con i suoi massaggi… ma non è come prima: non sono lievi carezze, per quanto tenere e piacevoli.

      Non poteva essere altrimenti… lui va avanti e io immobile, calda, non so più a cosa aggrapparmi per resistere; anche se gli rimango sotto non vorrei provare niente se non amore. Ma lui, si abbassa di nuovo su di me e mi abbraccia, ma l’abbraccio gli permette di prendersi in mano i miei grossi seni e di martoriarli dolcemente, con bramosia. È evidente che sta soddisfacendo un vecchio desiderio, perchè è smanioso, incontenibile: gioca con i capezzoli grossi, che, mio malgrado, gli si inturgidiscono tra le dita, riempiendolo di foia.(*)

      Gli piace da morire. Lo sento, mi stringe: è pazzo di me; è reso folle da quello che sta accadendo… adesso è solo un maschio e mi vuole a tutti i costi.

      â€œChissà se gli piaccio, come donna…?” un pensiero sciocco dettato dai miei sensi, anch’essi alterati. Più il tempo passa, più ci avviciniamo al peccato, lo so, ne sono certa e senza ipocrisia. Andremo oltre: lui non ritornerà sui suoi passi, io non saprò fermarlo, né fermarmi. Eppure, forse, potrebbe anche terminare adesso! La sorte: una telefonata provvidenziale; la vicina che bussa per qualche motivo… qualsiasi cosa. Un’interruzione, un segno, persino una sveglia che suona nel momento sbagliato. Probabilmente ci fermerebbe, ci lascerebbe tornare a vivere le nostre esistenze, con un piccolo segreto, l’accenno di un peccato; con l’alibi dell’indecisione e, segretamente, col rimorso di quello che era stato e di quello che avrebbe potuto essere… Ma il fato non interviene, e lui, mi mette la mano dietro le cosce. Si è accovacciato dietro di me, dietro il sedere, ha poggiato il palmo sul retro delle mie ginocchia. Tengo le gambe unite, strette, come se quest’ultimo baluardo di decenza potesse salvarci. Lui è li dietro per un motivo; la mia gonna nera è stretta ma scivola lentamente sulla seta delle calze, poi sorpassa l’orlo delle autoreggenti, ma lui continua a guidare l’indumento verso l’alto. La gonna diventa una fascia, poi quasi un nastro, un pezzo di stoffa inutile. Sono nuda, difesa solo dalle mutande elastiche nere, con mio figlio talmente vicino al mio sedere e alla mia intimità, da poterne aspirare l’odore segreto: sono perduta! Siamo perduti. Tutto è cambiato. In lui rimangono tracce della sua dolcezza e del suo amore, ma da come mi tocca e da come mi pressa, adesso sento il maschio. Ha voglia, ne ha tanta. Mi affonda col naso, col viso tra le natiche e preme, come volesse mangiarmi, più che baciarmi. Continua a strusciarsi con forza sulle mutande, gira il volto a destra e a sinistra, forse desidera invischiarsi del profumo segreto di sua madre. «Basta… basta, ti prego…» riesco a profferire con un fil di voce, ma tremo. Provo a oppormi ma non a lui… a me, perchè, finalmente, mi sto bagnando. Non immaginavo che quel segnale impudico sarebbe arrivato, in questo frangente, e non immaginavo di sentirmi morire al solo pensiero che lui se ne sarebbe accorto, di sicuro. Prego con tutta me stessa che non mi tocchi lì, con le dita. Invece, si rimette in piedi e, con calma, come se si godesse tutta la scena, mi cala le mutande. Che vergogna, che follia! Al solo pensiero che stia osservando il mio grosso culo, certo non più quello di una ventenne: esposto, chiaro, mi sento venir meno. La mia carne e soda ma non come una volta… mi sento male. Lui lo tocca, mi tocca tutta. Fa piano, piano, quasi temesse di farmi male, però… fa! Mi scorre col palmo le natiche e le carezza, amorevole, ma il suo pollice insiste nel mio spacco e non si frena davanti all’orifizio dell’ano, nemmeno lo evita. E poi di nuovo: su e giù, allargandomi. E poi… l’inevitabile: le dita dell’altra sua mano, favorite dalla divaricazione che già sta attuando, si poggiano sulle grandi labbra pronunciate, mi scavano tra i peli, controllano l’umore e, infine, mi spaccano e affogano nel mio liquido di femmina matura. La figa è larga, ne mette due insieme, di dita; scava e tira verso l’alto, agganciandomi la cavità più intima. Mi sbrodolo come una scolaretta; credo di non avere più sangue nel corpo, me lo sento tutto in testa, e le tempie pulsano per la pressione. Non vorrei, non lo vorrei assolutamente, e invece provo piacere. Comincio a essere stanca e scomoda, non sono a mio agio ma lui, lo so, non ha finito con me, anzi. Lo sento chinarsi di nuovo; ho i brividi, non posso pensare che, inevitabile, potrebbe arrivare in contatto. Il contatto della penetrazione! Orribile, contro natura…