In qualunque punto colla piccozza si rompa la prima crosta tenue di neve e ghiaccio friabile, sgorga subito l’acqua irrompendo da ogni lato, riempie e inonda i pozzetti esportandone il fine detrito nero. Il ghiaccio sottoposto è compatto, duro, purissimo; le analisi gli assegnano il residuo fisso più tenue, e l’ammoniaca in certi punti è scomparsa, lavata essa pure dalle acque.
Dove i ghiacciai sono molto inclinati, e fessurati dai crepacci, e solcati da quei ruscelli che nascono, crescono impetuosi col sole e muoiono con lui, la crioconite è trascinata nelle cascate e scende a mescolarsi col profondo limo glaciale. Alla superficie calma, riposata, unita del Garstelet invece rimane a lungo depositata sotto l’acqua dei pozzetti, spesso congelantesi durante la notte, e lentamente scende a seppellirsi sotto le morene e le roccie che incassano il ghiaccio. Più in alto, al Colle del Lys (4200 m.) la mancanza di fusione, anche diurna, spiega l’assenza di crioconite, che potrebbe benissimo formarsi per la poca inclinazione e la scarsità di crepacci.
Con questo meccanismo continuo, agevolato dalla pressione e dal movimento dei ghiacciai, la crioconite della superficie scende al profondo, dove si mescola colle sabbie moreniche, coi limi glaciali e passa nelle correnti inter- e sottoglaciali, dove non è più possibile isolarla.
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