che un corno gli graffiasse un braccio, facendolo gridare di dolore e facendogli perdere la presa sulla spada. Caduta la spada, Thor prese la fionda, posizionò un sasso e tirò.
La bestia barcollò e gridò quando la pietra gli colpì un occhio, ma continuò a correre.
Thor correva a destra e a sinistra, cercando di zigzagare fuori dalla traiettoria, ma la creatura era troppo veloce. Non c’era posto dove scappare e Thor capì che l’avrebbe colpito. Mentre correva lanciò un’occhiata ai suoi compagni della Legione a cui non stava andando molto meglio: tutti scappavano da quelle creature.
La bestia si avvicinò, a pochi centimetri da lui, l’orribile sbuffo nelle orecchie di Thor e il suo odore nel naso, e abbassò le corna. Thor si preparò all’impatto.
Improvvisamente la bestia gridò e Thor si voltò vedendola sollevata in aria. Sorpreso e non capendo cosa stesse accadendo, guardò meglio e vide dietro ad essa un enorme mostro verde limone, grande come un dinosauro, alto una trentina di metri, con file di denti affilati come rasoi. Teneva la bestia tra le zanne come se fosse un nonnulla e la sollevò. La teneva stretta lì mentre si dimenava, poi la masticò e ingoiò in tre grossi bocconi, leccandosi le labbra.
Attorno a Thor le creature gialle si girarono e scapparono dal mostro. Questo le inseguì, roteando e facendo schioccare la sua lunga coda, che colpì Thor alla schiena e lo fece volare a terra insieme agli altri. Ma la bestia continuò oltre, più interessata alle creature gialle.
Thor si voltò e guardò gli altri che sedevano lì vicino, intontiti, fissandolo.
Indra si sollevò e scosse la testa.
“Non preoccupatevi,” disse, “andrà ancora peggio.”
CAPITOLO OTTO
Kendrick camminava lentamente attraverso il cortile devastato di Silesia superiore con al suo fianco Srog, Brom, Kolk, Atme, Godfrey e una decina di soldati dell’Argento. Marciavano tutti con cautela, attenti, le mani intrecciate dietro la testa in segno di resa.
Il piccolo gruppo si fece così strada tra le migliaia di guerrieri dell’Impero che li osservavano, procedendo verso Andronico che li attendeva al cancello della città. Kendrick sentiva tutti gli occhi su di loro mentre avanzavano e la tensione nell’aria era particolarmente densa. Il cortile, nonostante fosse occupato da migliaia di uomini, era tanto silenzioso da poter sentire uno spillo se fosse caduto.
Un’ora prima Kendrick aveva gridato la sua resa ad Andronico e lui e i suoi uomini erano saliti insieme, mostrando di non avere armi con loro mentre camminavano tra la folla di soldati dell’Impero che si facevano da parte per farli passare, diretti verso Andronico per inginocchiarsi davanti a lui. Il cuore di Kendrick gli batteva a mille nel petto e aveva la gola secca mentre vedeva le migliaia di nemici ostili che li circondavano.
Kendrick e gli altri avevano rivisto e ripassato un piano e mentre si avvicinavano ad Andronico, vedendo per la prima volta che aspetto imponente e selvaggio avesse, Kendrick pregò che il piano funzionasse. Se non l’avesse fatto, le loro vite erano finite.
Marciavano, gli speroni tintinnanti, fino a che uno dei generali di Andronico si fece avanti – un uomo imponente e particolarmente accigliato – e tese un palmo aperto verso di loro, colpendo Kendrick al petto. Li fece fermare a neanche dieci metri da Andronico, probabilmente una forma di cautela. I loro soldati erano più saggi di quanto Kendrick avesse immaginato. Aveva sperato di camminare fino ad Andronico, ma evidentemente non era una cosa concessa. Il cuore iniziò a battergli più forte e sperò che la distanza non intaccasse il loro piano.
Mentre stavano lì in silenzio uno di fronte all’altro, Kendrick si schiarì la gola.
“Siamo qui per arrenderci al grande Andronico,” annunciò con voce tonante, cercando di usare il tono più convincente possibile, immobile insieme agli altri, guardando Andronico negli occhi.
Andronico portò una mano alla collana di teste mozzate che aveva al collo e guardò il gruppetto con una sorta di smorfia, o forse un sorriso.
“Accettiamo le tue condizioni,” continuò Kendrick. “Ammettiamo la sconfitta.”
Andronico si chinò in avanti, appena un po’, seduto su un’enorme panca di pietra, e continuò a guardarli con quel sorrisino.
“So che lo farete,” disse, la voce rimbombante nel cortile. “Dov’è la ragazza?”
Kendrick era preparato a quella domanda.
“Siamo venuti qui in qualità di contingente di uomini più esperti e valorosi,” gli rispose. “Siamo venuti prima noi per pronunciare la nostra resa. Quando avremo finito, arriveranno gli altri, con il tuo permesso.”
Kendrick pensava che aggiungere “con il tuo permesso” fosse un tocco perfetto e avrebbe aiutato a rendere la situazione più plausibile. Aveva imparato una grande lezione tempo prima, da uno dei suoi consiglieri militari: quando si tratta con un comandante narcisista, fare sempre appello al suo ego. Non c’erano limiti agli errori che un comandante poteva fare sentendosi adulato, quando veniva tirata in ballo la sua grandezza.
Andronico si raddrizzò un poco, rispondendo appena.
“Certo che lo faranno,” disse. “Altrimenti voi sareste piuttosto stupidi a farvi vedere qui.”
Andronico rimase seduto, osservandoli, come se stesse cercando di prendere una decisione. Sembrava che percepisse che c’era qualcosa di strano. Il cuore di Kendrick batteva follemente.
Alla fine, dopo una lunga attesa, Andronico sembrò essersi deciso.
“Fate un passo avanti e inginocchiatevi,” disse. “Tutti.”
Gli altri guardarono Kendrick e lui fece loro un cenno di assenso.
Fecero tutti un passo avanti e si inginocchiarono di fronte ad Andronico.
“Ripetete dopo di me,” disse il comandante. “Noi, rappresentanti di Silesia…”
“Noi, rappresentanti di Silesia…”
“Ci arrendiamo qui al grande Andronico…”
“Ci arrendiamo qui al grande Andronico…”
“e gli giuriamo lealtà per il resto dei nostri giorni e oltre…”
“e gli giuriamo lealtà per il resto dei nostri giorni e oltre…”
“E di servirlo come schiavi per quanto vivremo.”
Le ultime parole risultarono difficili da dire per Kendrick, che deglutì a fatica e alla fine riuscì a ripetere parola per parola: ““E di servirlo come schiavi per quanto vivremo.”
Gli dava alla nausea comportarsi in quel modo e il cuore gli martellava nelle orecchie. Alla fine lo fece.
Seguì un teso silenzio e Andronico sorrise.
“Voi MacGil siete più deboli di quanto pensassi,” li sbeffeggiò. “Sarà per me un grande piacere rendervi schiavi e insegnarvi come funziona l’Impero. Ora andate a prendere la ragazza, prima che cambi idea e vi uccida tutti qui sul posto.”
Mentre stava lì inginocchiato, Kendrick si vide passare davanti agli occhi tutta la vita. Sapeva che questo era uno di quei momenti decisivi nella vita. Se tutto fosse andato come sperato, sarebbe sopravvissuto per raccontare ciò che era accaduto quel giorno ai suoi nipoti; se non fosse andata bene, nel giro di pochi istanti si sarebbe ritrovato lì in qualità di cadavere. Sapeva che le probabilità erano contro di lui, ma era un’occasione che doveva prendere. Per se stesso, per i MacGil e per sua sorella Gwendolyn. Ora o mai più.
In un veloce movimento Kendrick portò una mano dietro la schiena, afferrò una spade corta nascosta sotto la camicia e gridò mentre la scagliava con tutte le sue forze.
“SILESIANI, ALL’ATTACCO!”
La spada di Kendrick fendette l’aria roteando su se stessa, diretta verso il petto di Andronico. Era stato un colpo potente e con una mira perfetta: un colpo talmente ben assestato da poter uccidere qualsiasi guerriero.
Ma Andronico non era un guerriero qualsiasi. Kendrick si trovava troppo