in groppa a Micople e entrambi si voltarono per dare un’ultima lunga occhiata alla Terra dei Druidi, quel luogo misterioso che aveva accolto Thor e ora lo respingeva. Era un luogo che Thor ammirava, un posto che non avrebbe mai compreso del tutto.
Thor si voltò poi a guardare il grande oceano di fronte a loro.
“È tempo di guerra, amica mia,” disse a Micople con voce tonante, fiduciosa, la voce di un uomo, di un guerriero, di un futuro re.
Micople gracchiò, sollevò le ali e le sbatté sollevandosi in volo verso il cielo, al di sopra dell’oceano, lontano da quel mondo, diretta verso Guwayne, verso Gwendolyn, verso Romolo, verso i suoi draghi, verso la battaglia della vita per Thor.
CAPITOLO QUATTRO
Romolo si trovava sulla prua della sua nave, la prima della flotta, con migliaia di altre navi dell’Impero al suo seguito, e guardava verso l’orizzonte con estrema soddisfazione. In alto sopra di lui volavano i suoi draghi che riempivano l’aria dei loro versi, lottando contro Ralibar. Romolo si teneva stretto al corrimano della nave mentre guardava, affondando nel legno le lunghe unghie, mentre guardava le sue bestie attaccare Ralibar e spingerlo nell’oceano, tenendolo poi sott’acqua.
Romolo gridò di gioia e strinse il corrimano con tale forza da spezzarlo quando vide uscire i suoi draghi dall’oceano, vittoriosi, senza lasciarsi alle spalle alcun segno di Ralibar. Romolo sollevò le mani al cielo e si chinò in avanti sentendo il potere che gli ardeva nei palmi.
“Andate, draghi miei,” sussurrò con occhi scintillanti. “Andate.”
Non aveva quasi finito di pronunciare quelle parole che i suoi draghi subito si erano girati e avevano messo gli occhi sulle Isole Superiori: si lanciarono in avanti, gracchiando e aprendo le loro grandi ali. Romolo sentiva che era lui a controllarli, si sentiva invincibile, capace di manovrare ogni cosa nell’universo. Dopotutto la luna era ancora a suo favore. Il suo momento di potere sarebbe presto terminato, ma intanto niente al mondo poteva fermarlo.
Gli si accesero gli occhi quando vide i draghi dirigersi verso le Isole Superiori, quando vide in lontananza uomini, donne e bambini correre e gridare per fuggire dalla loro traiettoria. Guardò con piacere mentre le fiamme iniziavano a scendere, la gente bruciava viva e l’intera isola si trasformava in un’enorme palla di fuoco e distruzione. Si godette lo spettacolo di quel luogo che veniva distrutto, proprio nello stesso modo in cui era stato distrutto l’Anello.
Gwendolyn era riuscita a scappargli, ma questa volta non c’era via di fuga per lei. Alla fine l’ultima dei MacGil sarebbe stata schiacciata per sempre sotto il suo pugno. Alla fine non sarebbe rimasto angolo dell’universo che non fosse sotto il suo controllo.
Romolo si voltò per guardarsi alle spalle, alle migliaia di navi, alla sua immensa flotta che riempiva l’orizzonte. Fece un respiro profondo, sollevò la testa guardando il cielo, alzò le mani portando le braccia in fuori e lanciò un grido di vittoria.
CAPITOLO CINQUE
Gwendolyn si trovava nella cavernosa cantina sotterranea insieme a decine di persone ammucchiate là sotto, ascoltando il terremoto e l’incendio che stava dilagando sopra di loro. Il suo corpo rabbrividiva ad ogni rumore. La terra tremava tanto da farli spesso barcollare o cadere mentre fuori enormi pezzi di macerie sbattevano contro il terreno come giocattoli per i draghi. Il suono di quel precipitare e riecheggiare risuonava senza sosta nelle orecchie di Gwen, facendola sentire come se tutto il mondo fosse in fase di distruzione.
Il calore divenne sempre più intenso sottoterra man mano che i draghi sputavano fuoco contro le porte d’acciaio, come se sapessero che loro erano nascosti là sotto. Le fiamme fortunatamente venivano bloccate dall’acciaio, ma il fumo nero filtrava all’interno e rendeva difficile respirare. Tutti tossivano sempre di più.
Si udì un orribile rumore di pietra che sbatteva contro il metallo e Gwen vide che le porte d’acciaio venivano piegate e scosse fin quasi a cedere. Chiaramente i draghi sapevano che loro si trovavano lì e stavano facendo del loro meglio per entrare.
“Quanto terranno ancora le porte?” chiese Gwen a Mati che le stava vicino.
“Non ne ho idea,” le rispose. “Mio padre ha fatto costruire queste cantine sotterranee per far fronte agli attacchi dei nemici, non dei draghi. Non penso che resisteranno ancora a lungo.”
Gwendolyn sentiva la morte che si faceva sempre più vicina man mano che la stanza diventava sempre più calda. Si sentiva come in una terra bruciata. Il fumo rendeva sempre più difficile anche vedere e il pavimento tremava mentre le macerie cadevano ripetutamente sopra le loro teste sotto forma di piccoli pezzi di pietra e polvere che si staccavano dal soffitto.
Gwen si guardò attorno scrutando i volti terrorizzati di tutti coloro che si trovavano lì con lei: non poteva fare a meno di chiedersi se, ritirandosi là sotto, si fossero destinati a una morte lenta e dolorosa. Stava iniziando infatti a pensare che magari tutti coloro che erano morti in superficie fossero stati più fortunati.
Improvvisamente vi fu una tregua, come se i draghi fossero volati altrove. Gwen fu sorpresa e si chiese cosa stessero tramando, quando pochi attimi dopo udì un tremendo schianto di roccia contro il suolo che si scosse con una tale forza da far cadere tutti nella stanza. Il tonfo era avvenuto lontano e venne seguito da altri due scossoni, come di una frana di roccia.
“La fortezza di Tiro,” disse Kendrick avvicinandosi a Gwen. “Devono averla distrutta.”
Gwen guardò verso il soffitto e si rese conto che suo fratello aveva probabilmente ragione. Cos’altro avrebbe potuto spiegare una tale valanga di roccia? Chiaramente i draghi erano infuriati, decisi a distruggere qualsiasi cosa fino all’ultimo sull’isola. Sapeva che era solo questione di tempo e poi avrebbero fatto irruzione anche lì.
Nell’improvvisa calma Gwen fu scioccata di sentire l’acuto pianto di un bambino squarciare l’aria. Quel suono la perforò come un coltello conficcato nel petto. Non poté fare a meno di pensare immediatamente a Guwayne e mentre il grido, da qualche parte in superficie, si faceva sempre più forte, una parte di lei, ancora distrutta, si convinse che si trattava sicuramente di Guwayne che la chiamava. Sapeva razionalmente che non era possibile: suo figlio era in mezzo all’oceano, lontano da lì. Eppure il cuore le diceva che era così.
“Il mio bambino,” gridò Gwen. “È lassù. Devo salvarlo!”
Gwen corse verso i gradini ma improvvisamente sentì una mano forte che la tratteneva.
Si voltò e vide suo fratello Reece che la bloccava.
“Mia signora,” disse, “Guwayne è lontano da qui. Quello è il pianto di un altro bambino.”
Gwen non avrebbe voluto altro che fosse vero.
“È pur sempre un bambino,” disse. “È tutto solo lassù. Non posso lasciarlo morire.”
“Se salissi in superficie,” disse Kendrick facendosi avanti e tossendo tra la fuliggine, “dovremmo chiudere le porte alle tue spalle e ti troveresti sola. Moriresti là sopra.”
Gwen non riusciva a pensare con chiarezza. Nella sua mente c’era un bimbo vivo lassù, tutto solo, e sapeva che doveva salvarlo a qualunque costo.
Gwen diede uno strattone e liberò il braccio dalla stretta di Reece, scattando verso le scale. Fece tre gradini alla volta e prima che chiunque altro potesse raggiungerla, tirò la sbarra di metallo che teneva le porte chiuse. Si appoggiò poi ad esse con la spalla e spinse con tutte le sue forze sollevando le mani.
Gridò di dolore facendo così, dato che il metallo era talmente caldo da ustionarle il palmi. Si ritrasse di scatto, ma imperterrita si coprì le mani con le maniche e spinse di nuovo le porte spalancandole.
Gwendolyn tossì furiosamente facendo irruzione nella luce del giorno, avvolta da nuvole di fumo che emersero da sottoterra insieme a lei. Mentre balzava in superficie strizzò gli occhi per guardare controluce, poi si diede un’occhiata attorno portandosi una mano sopra gli occhi. Rimase scioccata dall’ondata di distruzione che le si presentò davanti. Tutto ciò che poco prima era in piedi era stato ora raso al suolo, ridotto in mucchi di fumo