Andrea Calo'

Il Giardino Dei Rododendri


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      Andrea Calò

      IL GIARDINO DEI RODODENDRI

ROMANZO

      Prima Edizione – Gennaio 2014

      Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e situazioni sono invenzioni dell’autore o hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, eventi, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale.

      La stilista Sonia Galiano è invece un personaggio reale. I suoi lavori sono disponibili sul sito internet: www.soniagaliano.com

      © Copyright 2014 – Andrea Calò

      ISBN: 9788873042884

      @ e-mail: [email protected]

      Edizioni TEKTIME

      A mia moglie Sonia, l’amore della mia vita.

      Per sempre.

      RINGRAZIAMENTI

      Scrivere un libro è sempre un’avventura, sembra di partire per un viaggio. Si fanno le valige, si parte da un punto preciso e si procede cercando di raggiungere il punto d’arrivo, la meta tanto desiderata. Ma come a volte accade durante un viaggio, le insidie, gli errori, le paure e gli imprevisti sono lì pronti a sorprenderci, a frenarci, a volte al punto di farci desistere dal proseguire. Con l’aiuto delle persone che ci stanno accanto o di quelle incontrate lungo la strada, si riesce tuttavia a venirne fuori, a volte con facilità, altre con estrema pena; ma non ci si siede mai sull’errore, per non perdere l’investimento fatto. Durante il mio viaggio ho avuto diverse persone al mio fianco che mi hanno spronato e incoraggiato a continuare il cammino, a realizzare il sogno che da tanti anni tenevo chiuso in un cassetto, il mio progetto.

      Grazie ai miei genitori, che mi hanno donato la vita, mi hanno cresciuto e istruito, permettendo che tutto questo si trasformasse in realtà.

      Un grazie particolare alla stilista Sonia Galiano, un personaggio reale che prende vita in questo romanzo, per aver prestato gentilmente il suo nome e quello dei suoi lavori. Li potrete trovare sul suo sito internet ufficiale: www.soniagaliano.com.

      E infine, ma non da ultimo, grazie a te Elena, per aver istruito il mio cuore e guidato la mia mente durante tutto questo percorso: qui dentro c’è davvero una grossa parte di te.

      1

      La sveglia suonò facendola sobbalzare. Erano già le sette e mezza del mattino e quell’orrendo suono non le lasciava alcuna scelta, le perforava il cervello come se fosse un semplice ammasso di gelatina. Appena svegliati, tutti i rumori sembrano amplificati a dismisura. Ancora assonnata, Lynda allungò la mano per premere il tasto e far tacere finalmente quella macchinetta infernale, e per un attimo sperò fosse per sempre. Si rigirò nel letto avvolta nel suo caldo piumone e fu lì per riaddormentarsi, quando sentì sul suo viso il fiato caldo del suo cane Puh, venuto al suo letto per incoraggiarla ad alzarsi, come faceva ogni mattina, con puntualità.

      «Ciao bello mio!», esclamò anche quel giorno mentre con le mani prendeva e strapazzava il musetto morbido del cane, completamente ricoperto di pelo. Da parte sua Puh ricambiava con un dolce lamento, reclinando il capo e lasciando libero sfogo alla coda scodinzolante.

      «Dai, ma che fai Lynda Grant, muoviti! Alza le chiappe dal materasso, oggi hai l’incontro con i giapponesi e ti giochi la carriera, te ne sei dimenticata forse?», si obbligò ad alta voce per convincersi prima e meglio a lasciare quelle calde lenzuola che le davano sicurezza oltre che una piacevole sensazione di benessere. Alzatasi dal letto, Puh la seguì, felice di aver compiuto il suo dovere anche quel mattino. Puh sapeva che entro pochi minuti la sua padrona lo avrebbe lasciato ancora da solo per una lunga, interminabile giornata e lui sarebbe rimasto lì ad attenderla fino a sera quando lei, rincasando, lo avrebbe fatto giocare un po’, regalandogli un po’ di quella compagnia che il cucciolone andava elemosinando ogni giorno. La seguiva ovunque per la casa, non voleva perdersi nemmeno un istante di quella sua fugace presenza.

      Lynda lavorava per una multinazionale operante nel settore delle materie plastiche di ogni genere e da qualche tempo aveva avviato una grossa trattativa con un importante cliente giapponese, un produttore e distributore di giocattoli. Lynda non aveva però mai avuto l’opportunità di parlare con il signor Yamada in persona, l’avevano sempre messa in contatto con i suoi scagnozzi. Tuttavia alla fine le fu comunicato che Yamada avrebbe preso parte personalmente alla presentazione del suo progetto, presso la loro sede di New York. Si diresse in bagno con tutti i vestiti in mano, li aveva già diligentemente riposti ben stirati sulla sedia della camera la sera precedente. Si conosceva troppo bene per accettare di correre rischi quel mattino. Entrò nella cabina doccia e le luci colorate cominciarono a coprire il suo corpo con sfumature di colore che andavano dal rosso al verde, dal blu al giallo e davano alla sua pelle una parvenza metallica. Le usava per rilassarsi la sera, prima di andare a dormire. Ma quel mattino non aveva davvero nessuna voglia di starle a guardare. Doveva incontrare i giapponesi, Yamada-san in persona! E doveva ancora ripassare tutte quelle stupide regolette sull’inchino tra persone di diversa classe, età, estrazione sociale e sesso! Troppe cose da fare ancora, tutte concentrate in una sola mattina, tanto che non riuscì nemmeno a ritagliarsi un momento per un caffè veloce.

      Uscì di casa intorno alle otto e un quarto, le strade erano già intasate come sempre dal traffico di pendolari diretti in ufficio, dai turisti e dai taxi fermi in coda ai semafori. Lynda ne individuò subito uno, guidato da un uomo che conosceva molto bene e che l’aveva già portata in giro parecchie volte in precedenza, fin dalla tenera età.

      «Buongiorno signorina Grant!», esclamò il tassista non appena Lynda ebbe spalancata la portiera posteriore del veicolo.

      «Buongiorno James», rispose, senza nemmeno guardarlo negli occhi, «Questa mattina devi volare come un razzo, mi raccomando! Sono già in ritardo pazzesco e ho un’importante riunione di lavoro che mi aspetta tra poco».

      «Farò l’impossibile signorina, ma come anche lei può vedere siamo tutti qui fermi in coda. A che ora è il suo appuntamento?».

      «Alle nove meno un quarto, abbiamo ben trenta minuti!», rispose Lynda, irritata dall’osservazione dell’uomo che la contrariava.

      «Abbiamo solo trenta minuti, vorrà dire. Lei sa bene quanto tempo ci vuole per attraversare il centro città a quest’ora del mattino e con questo traffico. Saremo fortunati se riuscirà ad arrivare per le nove. Ma sarà già comunque in ritardo e non so se con i giapponesi è una cosa buona», rettificò James.

      «Infatti non lo è. Oggi mi gioco la promozione James, quello per cui ho lavorato per anni! Senti, scendo e me la faccio a piedi, arriverò prima», esclamò mentre si apprestava ad aprire la portiera per scendere dall’auto.

      «Arriverà sfinita e bagnata di sudore come un pulcino signorina. Non glie lo consiglio. Almeno non oggi. Visto che per lei è così importante, deve presentarsi in modo impeccabile! I giapponesi badano molto alle apparenze!».

      «E tu come lo sai?».

      «Dopo aver lavorato per tanti anni per il Senatore, suo padre, qualche cosa l’ho imparata! Forza ora andiamo».

      Lynda accennò un segnale di consenso, tirò verso di se la sua valigetta in pelle contenente i cataloghi e il materiale cartaceo da distribuire quel mattino ai partecipanti e lasciò andare la testa contro il poggiatesta, per rilassarsi un po’. Il taxi procedeva lentamente, quasi a passo d’uomo, mentre i minuti correvano via senza pietà come blocchi di marmo su una lastra d’acciaio cosparsa d’olio. Arrivò l’ora dell’appuntamento e Lynda era ancora lontana dalla sede di lavoro. In quel momento squillò il cellulare, se lo aspettava.

      «E’ il mio capo! E adesso che cosa gli dico?», esclamò mentre cercava il tasto per rispondere alla chiamata. Ma, trovatolo, decise di non rispondere e lasciò squillare il telefono a vuoto fino a quando non si fermò dopo parecchi interminabili secondi. L’uomo la guardava attraverso lo specchietto retrovisore, accennando un timido sorriso per la ragazza.

      «Signorina, forse dovrebbe rispondere al suo capo, che ne