Riusciva a capirla perfettamente, era passato anche lui in una situazione simile e sapeva quanto fosse frustrante e difficile da accettare. Ma come lui aveva capito a suo tempo, era sicuro che anche l’intelligentissima Lynda lo avrebbe fatto. Ripensò alle parole che gli disse il suo capo in quella occasione e decise di riciclarle in quella occasione.
«Lynda, ora vai in bagno a sistemarti il viso, te lo sto chiedendo come tuo capo. Non puoi presentarti in questo stato davanti a queste persone. La presentazione del progetto la farà Gregory».
«Chi scusa? Gregory? Quel viscido verme raccomandato?».
«Lui. E’ pur sempre il nipote del Presidente della nostra società, quindi ti chiedo di mantenere un tono di rispetto quando parli di lui. Vai in bagno ora, veloce! E cerca di rientrare in aula il prima possibile, non possiamo aspettare ancora spazientire i nostri ospiti più di quanto non abbiamo già fatto», rispose Jack appoggiandole in segno amichevole una mano sulla spalla.
«Non mi toccare Jack, mi fai schifo anche tu come loro! Tutti qui dentro mi fanno schifo! Anche quelle piante vicino alla finestra, mi hanno sempre fatto schifo! Ma non ho mai detto nulla, ho sempre inghiottito il rospo in attesa di questo giorno! E ora che è arrivato sono io quella che viene tagliata fuori dai giochi, perché sono donna e non mi è permesso partecipare. Ma che scherzo è mai questo?».
«E quindi hai scelto proprio questo momento per parlare Lynda? Proprio ora che sei ad un passo dal raggiungimento del tuo obiettivo? Cos’altro vuoi dire?», replicò Jack con un leggero sorriso, nel tentativo di rassicurala. Ma Lynda non fu dello stesso avviso.
«C’è ancora una cosa che vorrei dire Jack», continuò Lynda, scura in volto, «Andate tutti a farvi fottere, tu compreso Jack. Io mi licenzio, vedetevela voi uomini qui dentro!».
«Lynda ti prego di ragionare, per favore! Non fare la bambinetta insolente! Dai vieni qui, ti aspetto dentro, muoviti! Ne parleremo meglio dopo, quando il contratto sarà stato firmato e io avrò il piacere di ufficializzare la tua promozione!», implorò Jack alla volta della ragazza che, invece di dirigersi verso i bagni per darsi una sistemata, aveva imboccato la rampa delle scale, in preda ad uno sfrenato sfogo di pianto.
2
Sentì sbattere forte la porta d’ingresso e sobbalzò, raddrizzando le orecchie e prestando la massima attenzione ad ogni singolo rumore che percepiva. Puh non si aspettava di veder rincasare la sua padroncina così presto, quando ancora la forte luce del sole filtrava attraverso le enormi vetrate dell’appartamento che dai piani alti si affacciavano sulla città. Le corse incontro abbaiando e saltando sulle quattro zampe come sempre faceva ogni giorno, pronto a giocare con lei e a ricevere le carezze dalle sue mani morbide come la seta. Ma il suo cuore di cane intuì che qualche cosa in lei non andava come al solito: smise di abbaiare, lo scodinzolio della sua coda rallentò e si accucciò, appoggiando il musetto sulle zampette unite ma senza togliere gli occhi di dosso alla sua padroncina. Immobile in quella posizione, la seguiva con gli occhi in ogni suo movimento. Lynda, ancora in preda al pianto e alla tristezza che provava nel cuore, si chinò per accarezzarlo e per ringraziarlo di quella sua complicità che le offriva senza chiedere mai nulla in cambio. Puh era davvero il suo unico, vero amico. Poco importava che si trattasse di un cane, era l’unico essere in grado di donarle un po’ di serenità.
«Caro il mio Puh! Sai, a volte invidio il tuo stato d’essere, la tua libertà. Vorrei essere come te, libero, spensierato. Vorrei poter correre felice rincorrendo una palla, come facevo da bambina quando mamma e papà mi portavano in vacanza dai nonni e dalla zia Beth, in Cornovaglia. Cara zia Beth! Insisteva nel volermi insegnare a preparare la marmellata! Ed ero diventata anche brava, sai Puh?». Le lacrime di Lynda continuavano a solcarle il viso già arrossato, deformato dai due occhi blu come l’oceano, gonfiatisi come due meloni per il troppo pianto. Una lacrima trovò un nuovo percorso sul volto di Lynda, una parte rimasta ancora stranamente asciutta, e terminò la sua corsa sul naso di Puh. Il cane la sentì, la leccò via e poi si alzò per leccare il viso della ragazza che cominciò a ridere come sempre faceva quando il suo cane la trattava in quel modo.
«Dai Puh, smettila!», diceva mentre finalmente il pianto si diradava, lasciando emergere nuovamente il suo bel sorriso.
«Ti voglio bene, mio dolce campione!», disse diretta al cane che, compiaciuto, si lasciava accarezzare la pancia ben volentieri, «Riesci sempre a tirarmi su. Come farei senza di te?». Puh rispose ancora con un timido lamento, per indicarle che aveva capito e che, fin quando gli sarebbe stato possibile, non l’avrebbe mai lasciata.
«Dai forza, scendiamo e facciamo una passeggiata all’aria aperta!». Il cane non se lo fece ripetere due volte! Non capiva il perché di quel fuori programma, ma gli piaceva e voleva approfittare di quell’irripetibile momento di fortuna.
Il sole splendeva alto nel cielo, Lynda lo notava filtrare tra un palazzo e l’altro, disegnando sull’asfalto il profilo ombrato delle anonime facciate. Non era solita passeggiare in settimana a quell’ora nelle strade della città, lei avrebbe dovuto essere in ufficio come sempre in quel momento. Invece la rabbia che l’aveva corrosa quel mattino le aveva poi suggerito di regalarsi un momento di evasione, tutto per lei e per il suo fedele Puh che zampettava felice accanto a lei. Si lasciava trafiggere dai raggi del sole, sperando di trarne beneficio per portare un po’ di calore al suo animo congelato. Com’era diversa la città vista con quegli occhi, ora che sentiva il vuoto dentro di lei accompagnare l’assenza totale di aspettative! Quella passeggiata clandestina le ricordava le volte in cui, da piccola, aveva saltato la scuola per spassarsela con le compagne al parco o nelle città vicine! Si, quando succedeva le furbacchione prendevano i mezzi pubblici e si allontanavano dalla città, per evitare di essere scoperte dal fornaio, dal lattaio o dal droghiere. Quelli si che erano tempi belli! Tempi che a Lynda sembravano ormai così lontani, come facenti parte di una vita passata e per lei ormai definitivamente conclusa. Una macchina accostò e Puh cominciò ad abbaiare.
«Signorina Lynda!».
«James!», rispose Lynda altrettanto sorpresa di vedere il fedele tassista.
«Signorina, non dovrebbe essere in ufficio con i giapponesi ora?», chiese James sorpreso nel vedere la ragazza a piedi per strada in una situazione tanto insolita. Capì che qualche cosa non doveva essere andato per il verso giusto. Ritirò quindi il suo grosso corpo all’interno dell’auto, facendo cenno a Lynda di salire in auto.
«Non posso James, non ho soldi con me. Sono uscita distrattamente e ho lasciato il mio portafogli in casa, mi devi scusare. E poi c’è il mio cucciolo Puh qui con me, non so se è il caso».
James guardò il cane e prese le sue misure ad occhio:
«Beh, son pur sempre più grosso io di lui, non ti pare? E per quanto riguarda la corsa, diciamo che sono in pausa e che quindi è gratis!», rispose per concludere il suo invito. Lynda sorrise aprì la portiera e guardò Puh che accolse l’intesa e balzò subito all’interno della vettura. Lynda si aspettava un po’ di domande da parte del suo amico James. Per lei era più di un semplice tassista. James era stato quasi come un padre per lei fin da quando era piccola. Quel padre mancato capace di ricoprire la ragazza di attenzioni e cure, dandole ciò che il suo vero padre biologico non era stato in grado di darle per via del suo attaccamento al lavoro, così morboso da avergli fatto perdere qualunque interesse per le emozioni vissute in famiglia. Forse lui le riteneva meno importanti delle gratificazioni che la sua prestigiosa carica di Senatore poteva offrirgli. E così che non visse mai gli anni leggeri e spensierati di una Lynda bambina, di quell’unica figlia arrivata per caso e alla quale non era mai stato capace di dire davvero ‘ti voglio bene piccola’. E Lynda, da parte sua, non chiedeva nulla. Non sentiva nulla sgorgare dal cuore di quell’uomo, perché mai doveva provare il desiderio di sentirsi amata come una figlia da lui? Ma, nonostante tutto, si chiedeva spesso il perché ciò non accadesse. Riceveva dalla mamma e da James tutto ciò che le serviva, l’affetto e ogni cura nei suoi confronti provenivano da loro, perché preoccuparsi quindi di quell’altro uomo che non era mai stato veramente presente in occasione delle sue decisioni, dei suoi pianti e dei suoi momenti di gioia? Dai comportamenti del padre Lynda aveva dedotto il significato di quella forma di sentimento che tutti chiamano comunemente “indifferenza”.
Ma con James era tutto diverso! James