nel cesto che Karen del negozio le aveva lasciato come extra l’altro giorno, e c’erano le uova per cui poteva ringraziare Lola e Lolly.
Pentendosi delle scarpe che aveva scelto, Emily corse all’uscita posteriore, e attraverso l’erba bagnata di rugiada raggiunse il pollaio. Lola e Lolly camminavano tutte impettite per l’aia. Entrambe inclinarono la testa di lato sentendola avvicinarsi, aspettandosi del mais fresco.
“Non ancora, stelline,” disse. “Kapowski ha la precedenza.”
Becchettarono la loro frustrazione mentre Emily si affrettava verso l’angolo in cui deponevano le uova.
“State scherzando,” balbettò scoprendo che non c’era nulla. Abbassò lo sguardo verso le galline, con le mani sui fianchi. “Tra tutti i giorni in cui voi due potevate non fare le uova, proprio oggi!”
Poi si ricordò di tutte le uova in camicia che si era allenata a fare il giorno prima. Doveva averne usate almeno cinque! Alzò le braccia in alto. Perché Daniel mi ha fatto preoccupare delle uova in camicia? pensò, frustrata.
Emily tornò dentro, delusa di non poter nemmeno oggi provvedere alla colazione che voleva Kapowski, e si mise a grigliare il bacon. Fosse l’ansia o la mancanza di esperienza, Emily pareva incapace di portare a termine anche la più semplice mansione. Versò il caffè su tutto il piano di lavoro, poi lasciò il bacon a grigliare troppo e così i bordi divennero croccanti e neri. Il nuovo tostapane – un sostituto di quello che era saltato per aria e aveva rovinato la cucina – sembrava avere impostazioni molto più sensibili dell’ultimo, e riuscì a bruciare anche il toast.
Quando guardò quello che aveva prodotto, la colazione finale sul piatto, Emily fu decisamente insoddisfatta. Non poteva servire quel disastro come pasto. Quindi andò in lavanderia e buttò tutto nelle ciotole dei cani. Almeno con il cibo dei cani toglieva una cosa dalla lista di cose da fare.
Tornata in cucina, Emily provò ancora a creare il piatto che Kapowski aveva ordinato. Questa volta venne meglio. Il bacon non era troppo cotto. Il toast non era bruciato. Sperò solo che le perdonasse gli ingredienti mancanti.
Guardò l’ora e vide che erano passati quasi trenta minuti, e il cuore prese a batterle veloce.
Tornò di corsa nella stanza.
“Eccoci, signor Kapowski,” disse Emily riemergendo nella sala da pranzo con il vassoio della colazione. “Mi scusi tanto per l’attesa.”
Mentre si avvicinava al tavolo si accorse che Kapowski si era addormentato. Non sapendo se sentirsi sollevata o infastidita, Emily appoggiò il vassoio e uscì silenziosamente dalla stanza.
La testa di Kapowski balzò su all’improvviso. “Ah,” disse guardando il vassoio. “La colazione. Grazie.”
“Mi spiace di non avere uova né pomodori né funghi oggi,” disse.
Kapowski sembrò deluso.
Emily uscì nel corridoio e fece dei respiri profondi. La mattinata era stata incredibilmente intensa dal punto di vista lavorativo, considerando la quantità di soldi che in sostanza ricavava dai suoi sforzi. Se voleva sostenere la sua attività, doveva farsi un po’ più efficiente. E aveva bisogno di un piano B nel caso in cui Lola e Lolly avessero passato un’altra giornata senza deporre uova.
Proprio allora Kapowski uscì dalla sala da pranzo. Era passato meno di un minuto da quando gli aveva consegnato il cibo.
“Va tutto bene?” chiese Emily. “Ha bisogno di qualcosa?”
Ancora una volta, Kapowski sembrava reticente a parlare.
“Ehm… la colazione è un po’ fredda.”
“Oh,” disse Emily, facendosi prendere dal panico. “Ecco, lasci che gliela scaldi.”
“A dire il vero va bene,” disse Kapowski. “Devo andare in realtà.”
“Okay,” disse Emily, sentendosi a terra. “Ha qualcosa di carino in programma per oggi?” Cercava di tenere un tono che suonasse più come quello di una padrona di Bed and Breakfast che come quello di una ragazza in crisi, anche se si sentiva più simile alla seconda.
“Oh, no, volevo dire che devo andare a casa,” la corresse Kapowski.
“Vuol dire che vuol fare il check out?” chiese Emily, sbalordita.
Sentì un brivido freddo spargersi per il corpo.
“Ma le ho prenotato tre notti.”
Kapowski sembrava impacciato.
“Ehm, devo proprio andare via. Pagherò per tre notti, comunque.”
Sembrava avere fretta di andarsene e persino quando Emily suggerì di togliere dal conto le due colazioni che non aveva mangiato insistette che avrebbe pagato per tutto quanto e partì subito. Emily rimase alla porta a guardarlo uscire dal vialetto con la macchina, sentendosi una fallita totale.
Non sapeva quanto fosse rimasta lì, in piedi, a piangere il disastro combinato col suo primo cliente, ma a un certo punto divenne conscia del suono del cellulare che veniva da dentro. Grazie alla ricezione terribile che c’era nella vecchia casa, l’unico posto in cui Emily riusciva a prendere segnale era presso la porta d’ingresso. Aveva uno speciale tavolino solo per il cellulare – un bellissimo pezzo antico che aveva scoperto in una delle stanze chiuse del Bed and Breakfast. Si avviò in quella direzione, preparandosi a scoprire chi potesse essere.
Non c’erano tante opzioni buone. Sua madre non la sentiva da quella commovente telefonata notturna durante la quale avevano parlato della verità sulla morte di Charlotte e, più nello specifico, del ruolo di Emily – o del suo non-ruolo – nella faccenda. Non sentiva nemmeno Amy dal suo sprezzante tentativo di “salvare” Emily dalla sua nuova vita, nonostante da allora avessero fatto pace. Ben, l’ex di Emily, aveva chiamato molte volte da quando se n’era andata ma Emily non aveva risposto nemmeno a una telefonata e ora la loro frequenza sembrava diminuire.
Si preparò a scrutare lo schermo. Il nome che lampeggiava fu una sorpresa. Era Jayne, una vecchia amica di scuola di New York. Conosceva Jayne da quando era una ragazzina, e nel corso degli anni avevano sviluppato il tipo di amicizia in cui scivolavano via mesi senza sentirsi ma nell’istante in cui si rivedevano era come se il tempo non fosse passato affatto. Jayne probabilmente aveva sentito Amy, oppure delle voci sulla nuova vita di Emily, e stava chiamando per indagare sul cambiamento improvviso e repentino che l’amica aveva fatto.
Emily rispose al telefono.
“Em?” disse Jayne, con la voce sconnessa e il respiro affannoso. “Ho appena beccato Amy mentre facevo jogging. Ha detto che hai lasciato New York!”
Emily sbatté le palpebre, con la mente non più abituata allo stile di conversazione frenetico che accomunava tutti i suoi amici di New York. L’idea di fare del jogging mentre parlava al telefono era assurda per Emily, adesso.
“Sì, è passato un po’ di tempo, ormai,” disse.
“Di quanto tempo parliamo?” chiese Jayne, e il rumore della scarica dei suoi passi era udibile attraverso la linea.
Emily rispose con un debole tono di scusa. “Uhm, be’, circa sei mesi.”
“Accidenti, devo chiamarti più spesso!” ansimò Jayne.
Emily riusciva a sentire il traffico in sottofondo, lo starnazzare dei clacson delle auto, il tonfo delle scarpe da ginnastica di Jayne che martellavano sul marciapiede. Tutto quanto le portava alla mente un’immagine molto familiare. Appena qualche mese fa, Emily era identica a lei, sempre occupata, che non si riposava mai, con il telefonino attaccato all’orecchio.
“Quindi il gossip qual è?” disse Jayne. “Dimmi tutto. Scommetto che Ben è fuori dal quadro, eh?”
A Jayne, come a tutti gli amici di Emily e come a tutta la sua famiglia, Ben non era mai piaciuto. Erano riusciti a vedere quello che Emily era stata troppo cieca per vedere per sette anni – che non era quello giusto per lei.
“Decisamente