tavolo e lo spaccò in due. Banconote, monete e gioielli volarono per aria. Una collana quasi frustò Avery al volto e lei fu costretta a spingersi contro la porta. Tutti e cinque gli uomini si alzarono dalle sedie. Il fratello di Desoto gridò per la frustrazione e alzò le braccia. Desoto concentrò tutta la sua furia su un uomo in particolare. Puntò un dito in volto al tizio e volarono minacce.
“È stato lui a portare gli altri al negozio,” bisbigliò Ramirez. “È nei guai.”
Desoto si voltò con le braccia spalancate.
“Vi devo delle scuse,” annunciò. “I miei uomini hanno veramente avvicinato questa donna nel suo negozio. Due volte. È la prima volta che ne sento parlare.”
Il cuore di Avery batteva forte. Erano in una stanza isolata piena di criminali arrabbiati e armati, e nonostante le parole e i gesti di Desoto, l’uomo era una presenza intimidatoria, e se le voci erano vere, un pluriomicida.
“Grazie,” rispose Avery. “Giusto per essere chiari, uno dei tuoi uomini potrebbe aver avuto un motivo per uccidere Henrietta Venemeer?”
“Nessuno uccide senza il mio permesso,” affermò lui categoricamente.
“La Venemeer è stata posizionata in modo strano sulla barca,” insisté Avery. “In bella vista di tutto il porto. Le hanno disegnato una stella sopra la sua testa. Significa qualcosa per te?”
“Ti ricordi mio cugino?” domandò Desoto. “Michael Cruz? Un piccoletto? Magrolino?”
“No.”
“Gli hai spezzato un braccio. Gli ho chiesto come avesse potuto farsi battere da una ragazzina, e lui ha detto che era molto veloce, e forte. Credi che potresti battere me, agente Black?”
Era iniziata una spirale discendente.
Avery riusciva a sentirlo. Desoto si annoiava. Aveva risposto alle loro domande, era seccato e arrabbiato, e aveva due poliziotti disarmati nella saletta privata sotto il suo negozio. Anche gli uomini che stavano giocando a poker ormai erano totalmente concentrati su di loro.
“No,” disse lei. “Secondo me in una lotta corpo a corpo mi ammazzeresti.”
“Credo nella legge del taglione,” disse Desoto. “Credo che quando vengono date informazioni, in cambio ne devono essere ricevute. L’equilibrio,” sottolineò, “è molto importante nella vita. Io ti ho dato delle informazioni. Tu hai arrestato mio cugino. Ora hai preso due volte qualcosa da me. Lo capisci, vero?” domandò. “Tu mi devi qualcosa.”
Avery indietreggiò e assunse la tipica posa da jujitsu, con le gambe piegate leggermente divaricate, le braccia alzate e le mani aperte sotto il mento.
“Che cosa ti devo?” chiese.
Con un grugnito, Desoto balzò in avanti, caricò il braccio destro e colpì.
CAPITOLO SETTE
Nella mente di Avery la stanza si svuotò; divenne nera e tutto ciò che riusciva a vedere erano i cinque uomini, Ramirez accanto a lei e il pugno di Desoto che le si avvicinava al volto. La chiamava la nebbia, una dimensione dove andava spesso ai tempi in cui correva. Un altro mondo, separato dalla sua esistenza fisica. Il suo istruttore di jujitsu la definiva la “consapevolezza definitiva”, uno spazio in cui la sua concentrazione si faceva selettiva, e quindi i sensi erano più amplificati attorno a determinati obiettivi.
Volteggiò oltre il braccio di Desoto e gli strinse il polso. Nello stesso momento, raddrizzò un fianco per fare leva e usò lo slancio per scagliarlo sul pavimento dello scantinato. Il legno si incrinò e il grosso uomo si schiantò pesantemente.
Senza fermarsi, Avery si girò e colpì il suo assalitore allo stomaco. Dopo di che, tutto iniziò a muoversi al rallentatore. Prese di mira tutti e cinque gli uomini, per provocare il massimo dei danni con il minimo dello sforzo. Un colpo alla gola ne fece cadere uno a terra. Un calcio all’inguine seguito da un violento colpo all’indietro e un altro uomo si schiantò sul tavolo spaccato. Per un secondo perse di vista il fratello di Desoto. Si voltò per scoprire che stava per colpirla con un tirapugni; Ramirez si intromise con un balzo e lo sbatté a terra.
Desoto ruggì e la afferrò da dietro in una stretta micidiale.
L’enorme peso del suo corpo era come un blocco di cemento. Avery non riusciva a liberarsi dalla sua presa. Calciò per aria e lui la sollevò e la gettò contro un muro.
Avery volò contro una scaffalatura e l’intero mobile le precipitò addosso quando cadde a terra. Desoto le sferrò un calcio allo stomaco; il colpo fu così forte da sollevarla per aria. Un altro calcio e le scattò la testa all’indietro. Desoto si abbassò. Grosse braccia le strinsero il collo in una morsa pericolosa. Uno scatto rapido e lei tornò verticale, con i piedi ciondoloni.
“Potrei spezzarti il collo,” sussurrò lui, “come un ramoscello.”
Stordita.
La sua mente era stordita per i colpi. Era difficile prendere fiato.
Concentrati, ordinò a se stessa. O sei morta.
Cercò di farlo ribaltare, o di liberarsi dalla presa delle sue braccia. La morsa ferrea la tenne stretta. Qualcosa si abbatté sulla schiena di Desoto. L’uomo abbassò i piedi di Avery per terra e si guardò alle spalle per vedere Ramirez con una sedia.
“Non ti ha fatto male?” chiese Ramirez.
Desoto ringhiò.
Avery tornò in sé, sollevò una gamba e gli spinse il tallone sulle dita dei piedi.
“Uh!” ululò Desoto.
Indossava una maglietta bianca con i bottoni, pantaloni corti beige e infradito; il tallone di Avery gli aveva spaccato due ossa. Istintivamente la lasciò andare, e quando fu pronto a stringerla di nuovo, Avery era già in posizione. Un rapido pugno alla gola fu seguito da un colpo al plesso solare.
A terra c’era una mazza di ferro.
Lei la prese e lo colpì alla testa.
Desoto si accasciò immediatamente al suolo.
Due dei suoi uomini erano già a terra, incluso il fratello minore. Un terzo, che aveva osservato la lotta con Desoto, sgranò gli occhi per la sorpresa. Estrasse la pistola e Avery gli schiaffeggiò la mano con la mazza, volteggiò su se stessa per lo slancio e lo colpì in faccia. L’uomo volò contro una scaffalatura.
Nel frattempo gli ultimi due uomini avevano sopraffatto Ramirez.
Avery roteò la mazza contro l’interno delle ginocchia di un assalitore. Lui si ribaltò e lei gli abbatté il metallo sul petto, per poi calciarlo in faccia con violenza. L’altro uomo le sferrò un pugno su una guancia e la scagliò urlando sul tavolo da poker.
Si schiantarono insieme.
L’uomo era su di lei e continuava a colpirla. Alla fine Avery riuscì ad afferrargli un polso e si girò. Lui cadde e lei roteò per intrappolargli le braccia in una presa di sottomissione. Era perpendicolare al suo corpo. Aveva la gambe sopra la sua pancia e le braccia erano diritte e iper-estese.
“Lasciami andare! Lasciami andare!” gridò l’uomo.
Lei sollevò una gamba e lo calciò in faccia fino a quando non perse i sensi.
“Vaffanculo!” urlò.
Tutto cadde nel silenzio. Tutte e cinque gli uomini, Desoto incluso, erano svenuti.
Ramirez gemette e si alzò sulle mani e le ginocchia.
“Gesù…” sussurrò.
Avery notò una pistola sul pavimento. La prese e la puntò alla porta dello scantinato. Non appena ebbe preso la mira, Tito apparve.
“Non alzare la pistola!” strillò Avery. “Mi hai sentita? Non farlo!”
Tito gettò un’occhiata all’arma