Блейк Пирс

Prima Che Afferri La Preda


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      "Certo, posso farlo. Farò una chiamata da qui tra un attimo e mi assicurerò di farle trovare tutto alla stazione di polizia. E poi... c'è qualcuno con cui probabilmente dovrebbe parlare. Si tratta di una signora in città che lavora come psichiatra e insegnante di sostegno. Mi è stata appiccicata al culo per l'ultimo anno o giù di lì, insistendo che non fosse possibile che tutte quelle morti a Kingsville fossero suicidi. Potrebbe essere in grado di offrirle qualche informazione che potrebbe non trovare nei rapporti.”

      "Sarebbe grandioso."

      "Farò in modo di farle avere il suo recapito insieme alla documentazione. Ha finito qui?”

      "Per ora, sì. Potrei avere il suo numero, per contattarla più facilmente?”

      "Certo. Ma questo dannato affare è difettoso. Dovrei aggiornarlo. Avrei dovuto farlo circa cinque mesi fa. Quindi se mi chiama e parte la segreteria, non è perché la sto ignorando. La richiamerò appena posso. Maledetto aggeggio, odio i cellulari.”

      Dopo essersi sfogato sulla tecnologia moderna, Tate le diede il proprio numero di cellulare, che Mackenzie memorizzò in rubrica.

      "Ci vediamo" disse Tate. “Il medico legale sta venendo qui. Sarò dannatamente felice quando potremo spostare questo corpo.”

      Sembrava una cosa insensibile da dire, ma quando Mackenzie tornò a guardare e vide di nuovo la scena raccapricciante, non poté fare a meno di essere d’accordo con lo sceriffo.

      CAPITOLO CINQUE

      Erano le 10:10 quando entrò nella stazione di polizia. Il luogo era assolutamente morto, l'unico movimento proveniva da una donna annoiata seduta dietro una scrivania - che Mackenzie immaginò essere il centralino del dipartimento della polizia di Kingsville - e da due ufficiali che parlavano animatamente di politica in un corridoio al di là del bancone.

      Nonostante l’impressione scialba, apparentemente la centrale era molto ben gestita. La donna alla scrivania aveva già fatto una copia di tutta la documentazione che lo sceriffo Tate aveva richiesto, che adesso era raccolta in una cartellina, pronta per Mackenzie. Ringraziò la donna quindi le chiese consiglio per un motel in zona. Alla fine, Kingsville aveva solo un motel, a meno di tre chilometri dal dipartimento di polizia.

      Dieci minuti più tardi, Mackenzie stava aprendo la porta della sua stanza in un Motel 6. Sicuramente aveva alloggiato in topaie ben peggiori durante la sua carriera, ma di certo non avrebbe trovato recensioni entusiaste su Yelp o su Google. Senza badare alla sciattezza della camera, posò la cartellina sul tavolino accanto al letto singolo e senza perdere altro tempo si mise a esaminarli.

      Prese appunti mentre leggeva i documenti. La prima cosa che scoprì, e forse la più allarmante, fu che undici dei quattordici suicidi degli ultimi anni erano avvenuti proprio al Miller Moon Bridge. Altri due si erano tolti la vita con un colpo di pistola e uno solo si era impiccato ad una trave in casa propria.

      Mackenzie ne sapeva abbastanza delle città di provincia per capire il fascino di una struttura come il Miller Moon Bridge. Tutta la sua storia e l’atmosfera inquietante che emanava erano allettanti, specialmente per gli adolescenti. Infatti, come dimostravano i dati che aveva davanti agli occhi, sei dei quattordici suicidi avevano meno di ventun anni.

      Passò al setaccio tutti i fogli; nonostante non fossero dettagliati quanto avrebbe voluto, erano meglio di ciò che aveva visto nella maggior parte dei dipartimenti di polizia provinciali. Scribacchiò una parola dopo l’altra, fino ad ottenere un elenco completo di dettagli che la aiutassero a indagare a fondo sulle molte morti collegate al Miller Moon Bridge. Dopo circa un'ora, aveva racimolato abbastanza informazioni da poter elaborare alcune ipotesi approssimative.

      Per prima cosa, solo nella metà dei casi era stato trovato un messaggio d’addio, che diceva esplicitamente che il suicida aveva deciso di porre fine alla propria vita. Una foto dei messaggi era allegata in ogni documento: tutti esprimevano rimpianto, in un modo o nell’altro, dicendo ai propri cari che li amavano ma che non riuscivano a superare il dolore.

      Gli altri sette si potevano quasi considerare tipici casi di sospetto omicidio: corpi spuntati dal nulla, ritrovati in posizioni sgraziate. Sul corpo di uno dei suicidi, una ragazza di diciassette anni, erano stati trovati segni di attività sessuale recente. Quando il DNA del suo compagno era stato trovato su di lei, questi aveva mostrato alla polizia dei messaggi sul cellulare che dimostravano che la ragazza era stata a casa sua, avevano fatto sesso e poi se n'era andata. Da quel che sembrava, si era lanciata dal Miller Moon Bridge circa tre ore dopo.

      L'unico caso dei quattordici che secondo Mackenzie avrebbe richiesto un’indagine più approfondita era il triste e sfortunato suicidio di un ragazzo di sedici anni. Quando il suo corpo era stato trovato su quelle rocce insanguinate sotto il ponte, presentava lividi sul petto e sulle braccia molto diversi dalle altre ferite causate dalla caduta. Nel giro di pochi giorni, la polizia aveva scoperto che il ragazzo veniva picchiato regolarmente dal padre alcolizzato, che tentò poi egli stesso il suicidio tre giorni dopo la scoperta del corpo del figlio.

      Mackenzie finì la sessione di ricerca con il rapporto appena compilato su Malory Thomas. Il suo caso si distingueva un po’ dagli altri perché era nuda. Il rapporto mostrava che i suoi vestiti erano stati trovati in una pila ordinata sul ponte. Non c’erano segni di violenza o attività sessuale recente. Per una ragione o per l'altra, sembrava semplicemente che Malory Thomas avesse deciso di fare quel salto in costume adamitico.

      Però è strano, rifletté Mackenzie. Addirittura fuori luogo. Se hai intenzione di ucciderti, perché mai vorresti far ritrovare il tuo corpo così esposto?

      Ci rimuginò su per un momento, poi ricordò la psichiatra che lo sceriffo Tate aveva menzionato. Certo, ora che era quasi mezzanotte, era troppo tardi per chiamare.

      Mezzanotte, pensò. Guardò il suo telefono, sorpresa che Ellington non avesse provato a contattarla. Immaginò che non volesse infastidirla finché non le fosse passata l’arrabbiatura. Anche se, onestamente, non sapeva quanto ci sarebbe voluto. D’accordo, aveva commesso un errore molto prima di conoscerla... perché diavolo doveva sentirsi così arrabbiata?

      Non era sicura. Sapeva solo di esserlo... e in quel momento, quella era l'unica cosa importante.

      Prima di andare a letto, guardò il biglietto da visita che la donna alla centrale aveva inserito nel fascicolo. C’erano il nome, il numero e l'indirizzo e-mail della psichiatra locale, la dottoressa Jan Haggerty. Giocando d’anticipo, Mackenzie le scrisse un’e-mail, per informarla che era in città e perché, oltre a richiedere un incontro il prima possibile. Decise che se non avesse avuto risposta da Haggerty entro le nove dell’indomani, l’avrebbe direttamente contattata telefonicamente.

      Prima di spegnere le luci, pensò di chiamare Ellington, giusto per sentirlo. Lo conosceva abbastanza bene; probabilmente era in piena fase di autocommiserazione, magari mezzo svenuto sul divano dopo essersi scolato un’intera confezione di birra.

      Pensare a lui in quello stato le rese la decisione molto più facile. Spense le luci e, nell'oscurità, cominciò ad avere l’impressione di trovarsi in una città molto più buia di altre. Il tipo di città che celava alcune brutte cicatrici, che restavano nascoste non a causa dell'ambiente di provincia, ma a causa di quella presenza sulla strada sterrata a circa dieci chilometri da dove in quel momento Mackenzie riposava. E sebbene fece del suo meglio per liberare la mente, si addormentò tormentata dalle immagini di adolescenti che cadevano dal Miller Moon Bridge trovando la morte.

      CAPITOLO SEI

      Mackenzie fu svegliata dalla suoneria del cellulare. L'orologio sul comodino segnava le 6:40. Recuperato il telefono, vide il nome di McGrath lampeggiare sul display, e dopo un istante in cui desiderò che invece fosse Ellington, rispose.

      "Qui agente White."

      "White, a che punto siamo con il caso del nipote del vicedirettore Wilmoth?"

      "Beh, fino a questo momento sembra un chiaro suicidio. Se le cose procedono come credo, dovrei