Морган Райс

Il Dono Della Battaglia


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“Si tratta di come preferiamo morire: qua sotto nascosti come ratti? O là sopra diretti verso la nostra libertà?”

      Lentamente, uno alla volta, anche gli altri si alzarono. Lo guardarono tutti e annuirono solennemente.

      In quel momento capì che il piano era stato deciso: quella notte sarebbero fuggiti.

      CAPITOLO OTTO

      Loti e Loc camminavano fianco a fianco sotto il bruciante sole del deserto, incatenati l’uno all’altra e frustati dal supervisore dell’Impero alle loro spalle. Camminavano attraverso al desolazione e Loti si chiese ancora una volta perché suo fratello si fosse offerto volontario per quel pericoloso e faticosissimo lavoro. Era forse impazzito?

      “Cosa stavi pensando?” gli sussurrò. Vennero spinti da dietro e mentre Loc perdeva l’equilibrio ed inciampava in avanti Loti lo prese per il braccio buono prima che cadesse.

      “Perché avresti dovuto offrirci entrambi volontari?” chiese.

      “Guarda avanti,” le disse riprendendo l’equilibrio. “Cosa vedi?”

      Loti sollevò lo sguardo e non vide altro che monotono deserto che si allungava davanti a loro, pieno di schiavi, il terreno di dura roccia. Oltre a questo vide una salita che conduceva a un crinale in cima al quale lavoravano una decina di altri schiavi. Ovunque c’erano supervisori, il rumore delle fruste era pesante nell’aria.

      “Non vedo niente,” rispose impaziente. “Sempre lo stesso: schiavi che vengono sfruttati fino alla morte dai supervisori.”

      Loti sentì improvvisamente un profondo dolore alla schiena, come se le stessero strappando la pelle, e gridò mentre la frustavano e la frusta le tagliava la pelle.

      Si voltò e vide il volto accigliato del supervisore alle sue spalle.

      “Fai silenzio!” le ordinò.

      Loti aveva voglia di gridare per l’intenso dolore, ma trattenne la lingua e continuò a camminare accanto a Loc con le catene che tintinnavano sotto il sole. Giurò di uccidere tutti quegli uomini dell’Impero non appena avesse potuto.

      Continuarono a camminare in silenzio: l’unico rumore era quello dei loro stivali che facevano scricchiolare la roccia sotto di essi. Alla fine Loc le si avvicinò di più.

      “Non è quello che vedi,” le sussurrò, “ma quello che non vedi. Guarda meglio. Lassù, sulla dorsale.”

      Lei osservò meglio il paesaggio ma non vide niente.

      “Non c’è che un supervisore lassù. Uno. Per due decine di schiavi. Guarda dietro, nella vallata, e guarda quanti ce ne sono.”

      Loti si guardò furtivamente alle spalle e nella valle che si allungava lì vide decine di supervisori che sorvegliavano gli schiavi mentre rompevano la roccia e dissodavano la terra. Si voltò a guardare di nuovo in cima al crinale e capì per la prima volta cosa suo fratello avesse in mente. Non solo c’era solamente un supervisore, ma ancora meglio: c’era una zerta accanto a lui. Un mezzo di fuga.

      Era impressionata.

      Lui le fece un cenno eloquente.

      “La cima del crinale è la postazione più pericolosa,” le sussurrò. “Quella più calda e meno desiderata dagli schiavi e dai supervisori. Ma questa, sorella mia, è un’opportunità.”

      Loti ricevette improvvisamente un calcio alla schiena e inciampò in avanti insieme a Loc. I due si raddrizzarono e continuarono a risalire il pendio, Loti ansimando per prendere fiato e cercando di resistere sotto il calore che cresceva man mano che salivano. Ma questa volta, sollevando lo sguardo, il cuore le si gonfiò di ottimismo battendole più forte in gola: finalmente avevano un piano.

      Loti non aveva mai considerato suo fratello come coraggioso, come desideroso di rischiare, di affrontare l’Impero. Ma ora, mentre lo guardava, poteva vedere la disperazione nei suoi occhi, poteva finalmente vedere che stava pensando quanto lei. Lo vide sotto una nuova luce e lo ammirò fortemente per questo. Era esattamente il tipo di piano che lei stessa avrebbe potuto programmare.

      “E le nostre catene?” gli sussurrò quando si fu accertata che il supervisore non li stava guardando.

      Loc le fece cenno con la testa.

      “La sua sella,” le rispose. “Guarda meglio.”

      Loti guardò e vide una spada che penzolava dalla sella, quindi capì che potevano usarla per tagliare le catene. Avrebbero potuto liberarsi di quel posto.

      Sentendo per la prima volta un senso di ottimismo da quando erano stati catturati, Loti diede un’occhiata agli altri schiavi che si trovavano in cima al picco. Erano tutti uomini e donne distrutti, noncurantemente chini ai loro compiti, nessuno con un briciolo di senso di sfida rimasto negli occhi. Capì subito che nessuno di loro avrebbe costituito il minimo aiuto per la loro causa. Ma andava bene così: non avevano bisogno di aiuto. Avevano solo bisogno di una possibilità, e tutti questi altri schiavi potevano servire da distrazione.

      Loti sentì un ultimo forte calcio alla base della schiena ed inciampò in avanti atterrando di faccia nella polvere mentre raggiungevano il picco del crinale. Sentì delle mani rudi che la trascinavano di nuovo in piedi e si voltò vedendo il supervisore che la spingeva con forza prima di voltarsi e ridiscendere il pendio lasciandoli lì.

      “Mettetevi in riga!” gridò un nuovo supervisore, l’unico in cima al rilievo.

      Loti sentì le sue mani callose che la prendevano per il retro del collo e la spingevano. Le catene tintinnarono mentre lei si affrettava in avanti, inciampando nel campo di lavoro degli schiavi. Le porsero una lunga zappa con l’estremità di ferro e poi il supervisore le diede un’ultima spinta aspettandosi di vederla iniziare a dissodare la terra insieme agli altri.

      Loti si voltò, vide Loc che le faceva un cenno significativo e si sentì ardere nelle vene: capì che era ora o mai più.

      Lanciò un grido, sollevò la zappa e la fece roteare calandola con tutta la sua forza. Fu scioccata sentendo il colpo e vedendo che andava a conficcarsi dietro alla testa del supervisore.

      Loti l’aveva brandita così rapidamente, con tale decisione che non si era chiaramente aspettata quel risultato. Era chiaro che nessuno schiavo lì, sorvegliati dai supervisori e senza nessun posto dove andare, avrebbe mai osato fare una mossa del genere.

      Loti sentì la vibrazione della zappa nelle mani e lungo le braccia e guardò scioccata prima e soddisfatta poi mentre la guardia cadeva in avanti. Con la schiena che ancora bruciava per le frustate si sentì come vendicata.

      Suo fratello le si avvicinò, sollevò anche la sua zappa e mentre il supervisore iniziava ad agitarsi calò gliela calò sulla testa.

      Alla fine l’uomo rimase immobile.

      Respirando affannosamente e ricoperta di sudore, con il cuore che le batteva a mille, Loti lasciò cadere incredula la zappa, spruzzata dal sangue del supervisore, e si scambiò un’occhiata con suo fratello. Ce l’avevano fatta.

      Loti poteva sentire le occhiate curiose degli altri schiavi attorno a lei e voltandosi vide che la stavano guardando tutti a bocca aperta. Stavano tutti appoggiati alle loro zappe senza più lavorare e li osservavano con orrore e incredulità.

      Loti sapeva di non avere tempo da perdere. Corse con Loc accanto, sempre incatenati insieme, fino alla zerta; prese la spada lunga dalla sella con entrambe le mani, la sollevò in alto e si voltò

      “Fai attenzione!” gridò a Loc.

      Lui si preparò mentre lei la abbassava con tutta la sua forza e tagliava le catene. Sprizzò scintille e lei sentì la soddisfacente libertà delle catene tagliate.

      Si voltò per andarsene, ma udì un grido.

      “E noi!?” gridò una voce.

      Loti si girò e vide altri schiavi che correvano verso di lei tendendo le catene. Si voltò di nuovo