sentì il dolore della spada che la colpiva all’anca. Per un momento non le parve diverso dalle lame fantasma che l’avevano pugnalata così tante volte, ma questa volta il dolore non svanì. Questa volta sgorgò il sangue.
“Come si sta a sapere che si sta per morire?” chiese l’avversaria.
Terrificante. Le appariva terrificante, perché la cosa peggiore era che Kate sapeva che era vero. Non poteva sperare di sopravvivere contro di lei. Sarebbe morta qui, in quel cerchio di spine.
Kate allora corse verso il bordo, lanciando di lato la spada di legno che la rallentava. Saltò verso il contorno del cerchio, sentendo la risata della sua copia alle sue spalle mentre saltava oltre. Kate si coprì il volto con le mani, chiudendo gli occhi contro le spine e sperando che potesse bastare.
La graffiarono mentre vi passava attraverso, strappandole i vestiti e la pelle. Kate poteva sentire il sangue che sgorgava mentre le spine la ferivano, ma si sforzò di andare oltre quel groviglio, osando aprire gli occhi quando venne fuori dall’altra parte.
Si guardò alle spalle, mezza convinta che l’immagine specchio la stesse seguendo, ma quando Kate guardò, il suo doppio era sparito, lasciando la spada sul suo ceppo, come se non fosse mai stata lì.
Allora crollò, il cuore che martellava per lo sforzo di tutto quello che aveva appena fatto. Stava sanguinando da una decina di punti adesso, sia per i graffi delle spine che per la ferita all’anca. Rotolò sulla schiena, fissando la vegetazione della foresta, il dolore che arrivava a ondate.
Siobhan apparve nel suo campo visivo, guardandola con un misto di delusione e commiserazione. Kate non sapeva cosa fosse peggio.
“Ti ho detto che non eri pronta,” le disse. “Sei pronta ad ascoltare adesso?”
CAPITOLO CINQUE
Lady Emmeline Constance Ysalt d’Angelica, diceva il biglietto, Marchesa di Sowerd e signora dell’Ordine della Fascia. Angelica era meno impressionata dall’uso del suo nome intero che dalla provenienza del biglietto: la vedova l’aveva convocata per un incontro privato.
Oh, non l’aveva messa in quel modo. C’erano frasi che riguardavano l’essere “deliziata di richiedere il piacere della vostra compagnia”, e “sperando che si dimostri conveniente.” Angelica sapeva bene come chiunque altro che una richiesta da parte della vedova valeva come un ordine, anche se era l’Assemblea dei Nobili a fare le leggi.
Si sforzò di non mostrare la preoccupazione che provava mentre si avvicinava alle stanze della vedova. Non controllò nervosamente il suo aspetto, né si agitò in modo che non fosse necessario. Angelica sapeva di avere un aspetto perfetto, perché passava del tempo davanti allo specchio ogni giorno con le sue servitrici, assicurandosi che così fosse. Non si agitava perché aveva perfetto controllo su se stessa. E poi di cosa si doveva preoccupare? Avrebbe incontrato una vecchia donna, non era mica un topo che doveva entrare nel covo di un gatto.
Angelica cercò di ricordarselo mentre si avvicinava alle stanze della vecchia donna e un servitore apriva le porte annunciandola.
“Milady d’Angelica!”
Avrebbe dovuto sentirsi al sicuro, ma la verità era che la regina del regno, e la madre di Sebastian e Angelica avevano fatto fin troppo nella sua vita per potersi mai sentire certa di poter evitare la disapprovazione. Andò comunque avanti, sforzandosi di mostrare una ben preparata maschera di sicurezza.
Non aveva mai avuto motivo per venirsi a trovare nelle stanze private della vedova prima d’ora. Ad essere onesti, erano un po’ deludenti, progettate con un genere di grandiosità moderata che era fuori moda di almeno una ventina d’anni. C’erano troppi pannelli di legno scuro per i gusti di Angelica, e mentre le dorature e le sete del resto del palazzo erano presenti qua e là, era tutto molto lontano dal lusso che Angelica avrebbe scelto.
“Ti aspettavi qualcosa di più elaborato, mia cara?” chiese la vedova. Era seduta vicino a una finestra che si affacciava sui giardini, su una sedia di legno scuro e cuoio verde. C’era un tavolo intarsiato posto tra lei e un’altra sedia solo leggermente meno alta. Indossava un abito da giorno relativamente semplice, piuttosto che sfarzoso, e un cerchietto al posto di una vera e propria corona. Eppure non c’era dubbio sull’autorità dell’anziana donna.
Angelica fece un profondo inchino. Un inchino appropriato per la corte, non una cosuccia semplice come avrebbe potuto fare una servitrice. Anche in una cosa del genere erano importanti le sottili gradazioni dello stato sociale. I secondi si trascinarono lenti mentre Angelica aspettava il permesso di rimettersi dritta in piedi.
“Ti prego di unirti a me, Angelica,” disse la vedova. “È così che preferisci farti chiamare, vero?”
“Sì, vostra maestà.” Angelica sospettava che sapesse benissimo come dovesse essere chiamata. Notò anche che non c’era alcuna corrispondente suggestione di informalità da parte della madre di Sebastian.
Era comunque sufficientemente gentile, e le offrì una tisana di lampone da una teiera dove era stata ovviamente appena infusa, oltre a una fetta di dolce alla frutta che le porse con le sue stesse mani delicatamente guantate.
“Come sta tuo padre, Angelica?” chiese. “Lord Robert è sempre stato leale a mio marito quando era in vita. Ha ancora problemi respiratori?”
“Trae beneficio dall’aria di campagna, vostra maestà,” rispose Angelica, pensando ai vasti possedimenti da cui era fin troppo contenta di stare lontana. “Anche se non partecipa più tanto alle caccie come un tempo.”
“I giovani cavalcano in prima linea nelle caccie,” disse la vedova, “mentre gli animi più sensibili aspettando nelle retrovie e prendono le cose a un passo più adatto a loro. Quando ho preso parte a delle caccie, è stato con un falco, non con un branco di cani lanciati alla carica. Sono meno avventati, e ci vedono meglio.”
“Ottima scelta, vostra maestà,” disse Angelica.
“E tua madre, continua a coltivare i suoi fiori?” chiese la vedova, sorseggiando la sua tisana. “Le ho sempre invidiato quei meravigliosi tulipani che sa far crescere.”
“Penso stia lavorando a una nuova varietà, vostra maestà.”
“Incrociando diverse linee, non c’è dubbio,” ammise la vedova, posando la sua tazza sul tavolo.
Angelica si trovò a chiedersi quale fosse il senso di tutto questo. Dubitava sinceramente che la governatrice del regno l’avesse chiamata lì solo per discutere dettagli minori della vita della sua famiglia. Se lei fosse stata al governo, Angelica di certo non si sarebbe curata di qualcosa di così inutile. Angelica quasi non si interessava quando arrivavano lettere dalle proprietà dei suoi genitori.
“Ti sto annoiando, mia cara?” chiese la vedova.
“No, certo che no, vostra maestà,” si affrettò a dire Angelica. Grazie alle guerre civili, sarebbero passati ancora molti giorni prima che i reali del regno potessero imprigionare dei nobili senza processo, ma non era una buona idea rischiare di insultarli.
“Perché avevo l’impressione che trovassi affascinante la mia famiglia,” continuò la vedova. “In particolare il mio figlio più giovane.”
Angelica rimase immobile, insicura su cosa rispondere. Avrebbe dovuto immaginare che una madre notasse il suo interesse per Sebastian. Era di questo che si trattava allora? Un cortese invito a lasciarlo stare?
“Non sono certa di cosa vogliate dire,” rispose Angelica, decidendo che l’opzione migliore era quella di recitare la parte della giovane nobildonna schiva e ritrosa. “Il principe Sebastian è di certo molto bello, ma…”
“Ma il tuo tentativo di sedarlo e prenderlo per te non è andato come programmato?” chiese la vedova, e ora la sua voce era d’acciaio. “Pensavi che non sarei venuta a sapere di quel piccolo complotto?”
Ora Angelica poteva sentire la paura che cresceva dentro di sé. La vedova magari non