Джек Марс

Minaccia Primaria: Le Origini di Luke Stone—Libro #3


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annuì. “Bene. Di norma useremmo dispositivi Mark 8, ognuno dei quali può trasportare dai due ai quattro uomini, ma non siamo riusciti ad averli per tempo, e sono complicati da usare in questo ambiente. Quindi dobbiamo accontentarci di questi portatili. Va bene?”

      Si interruppe, ma nessuno disse una parola. Era quel che era. Non aveva importanza se gli andava bene o meno.

      “Tenete d’occhio le vostre bussole. Siete diretti a est. Ci saranno altri diciassette…” Diede uno sguardo alla sedia vuota di Murphy. “Sedici altri uomini laggiù. Immettetevi nel gruppo. Voi sarete il team di controllo, quindi mettetevi in coda. Se doveste confondervi, o perdervi, la via di ritorno è a ovest. Questo campo è illuminato come un albero di Natale sotto il ghiaccio, quindi seguite le luci.”

      Sollevò un casco impermeabile con visore e maschera.

      “Nel casco avrete un sistema radio bidirezionale. Limitate le chiacchiere. Ascoltate i capi davanti. Ci sarà una bassa visibilità. Le vostre orecchie potrebbero salvarvi mentre la lingua vi ammazzerà.”

      Li guardò severamente.

      “Niente supporto aereo né anfibio. La situazione potrebbe scaldarsi. Tenete d’occhio la superficie e non appena noterete aria aperta, si sarete quasi. Una volta raggiunta l’apertura del ghiaccio spegnete le torce. L’idea, signori, è di prenderli di sorpresa.”

      Sollevò una mitragliatrice MP5 con il caricatore già montato. Era coperta da una grossa pellicola plastica trasparente. Poi fu il turno di un gruppo di tre granate, avvolte alla stessa maniera.

      “Al momento queste sono assolutamente sigillate. Gli involucri sono impermeabili al cento percento. Quando arrivate a terra, usate il coltello per aprirli.”

      Sorrise e poi scosse la testa. “Se sarà necessario, usate il coltello anche per liberarvi dalle mute.”

      Luke lanciò un’occhiata a Ed. Il collega fece una smorfia, una strana espressione che non gli aveva mai visto sul volto. Sembrava un bambino delle elementari a cui l’insegnante avesse suggerito di cantare cori di Natale con tutta la classe.

      Gli attendenti dietro Ed sollevarono il casco e glielo sistemarono sulla testa. Il suo respiro offuscò il visore.

      Quelli dietro Luke stavano per fare lo stesso con lui.

      “Ci sono domande?” chiese l’uomo davanti a loro.

      Che cosa stiamo facendo? fu l’unica che gli venne in mente.

      “Bene. Allora muoviamoci.”

      * * *

      Murphy era di pessimo umore.

      “Sono stufo di questa missione, Swann. Non mi è mai piaciuta la Marina e ora li sto davvero odiando.”

      Le comunicazioni funzionavano bene lì, nonostante la tempesta. Swann glielo aveva spiegato, ma Murphy non aveva ascoltato tutto il discorso. Qualcosa a proposito delle antenne integrate in quelle cupole, del modo in cui i segnali satellitari riuscivano a penetrare le nuvole in rapido movimento e le precipitazioni, e della crittografia impenetrabile per cui il loro esperto informatico era noto…

      Ma a chi importava.

      Aspettò che il segnale rimbalzasse in giro per il mondo, in modo che i terroristi non potessero tracciarlo e ascoltarli.

      Murphy era stufo e irritato. Non era un sub. Neanche Stone e Newsam lo erano. I SEAL si addestravano per anni con squadre d’élite di sommozzatori in acque fredde proveniente dalla Norvegia e dalla Svezia. E invece il loro gruppo completamente impreparato era stato spinto in quella missione come un osceno e inutile addobbo.

      L’espressione con cui il tizio corpulento aveva guardato la sua sedia vuota… poi Murphy… e poi di nuovo la sedia. La sua fortuna era stata che fossero nella stessa squadra. Altrimenti lui sarebbe stato felice di rimodellargli la faccia con la stessa sedia.

      “Sì, non lo capisco,” disse alla fine Swann. “Anche noi siamo solo uno specchietto per le allodole qua al centro di comando. Nessuno vuole dei civili in questa faccenda. Hanno solo bisogno del timbro d’approvazione. Ci hanno messi in un ufficio, lontani da tutti gli altri, con un paio di computer e una macchina del caffè.”

      Murphy sorrise. Riusciva a immaginarsi l’espressione dei severi ufficiali SEAL e JSOC di fronte a Swann, un nerd dei computer alto e magrolino dai capelli lunghi e gli occhiali, e alla giovane e adorabile Trudy Wellington. Cosa dovevano aver pensato…

      Niente. Gli ingranaggi nei loro cervelli da militari si dovevano essere inceppati. La sola vista di Swann doveva essere stata come zucchero nel serbatoio della benzina.

      Metteteli in un’altra stanza, fateli sparire.

      “Gli altri si faranno ammazzare là sotto. Ho cercato di dirlo a Stone, ma un babbeo della Marina mi ha cacciato fuori perché la riunione era riservata.”

      “Ora dove sei?” gli chiese l’altro.

      Murphy si guardò intorno. Era dentro una cupola vuota, seduto su una sedia che fino a poco prima doveva aver accolto un Navy SEAL. Il foro nel ghiaccio brillava di blu. Da qualche parte nei dintorni c’era un centro di comando, e lo staff di supporto doveva essere andato là per seguire i movimenti della squadra sotto il ghiaccio dal radar.

      “Sono all’inferno,” rispose. “In un gelido inferno.”

      La voce di Trudy subentrò in linea. Era musicale, come dita su un pianoforte.

      “Che cosa vuoi fare?” gli domandò.

      La risposta era abbastanza facile. Voleva sparire. Voleva andarsene da quella landa desolata nell’Artico, da quell’inutile atrocità terroristica (di qualsiasi cosa si trattasse) per raggiungere la Grand Cayman, recuperare i suoi due milioni e mezzo di dollari ed evaporare.

      Purtroppo era più facile a dirsi che a farsi. Gli sarebbe servito un piano e del tempo per organizzare una sparizione del genere. Tempo che non aveva. Don voleva ancora che si facesse sei mesi a Leavenworth in cambio di un congedo con onore. E nel frattempo Wallace Speck era in custodia, lontano dalla sua portata, e da un momento all’altro avrebbe potuto dire cose spiacevoli.

      Nel peggiore dei casi Murphy sarebbe arrivato a Leavenworth nel momento esatto in cui Speck faceva il suo nome.

      Ovviamente, quella non era una faccenda di cui poteva discutere con Mark Swann e Trudy Wellington. Ma ce n’erano altre che poteva condividere con loro. I due potevano aiutarlo, non ad andarsene via di lì, ma ad addentrarsi ancora di più nei loro ranghi.

      Stone si sbagliava. Murphy aveva qualcosa da dimostrare. Lo aveva sempre. Magari non a lui, e forse non a quell’addestratore SEAL dalla testa dura, ma a se stesso. C’era qualcosa in quella missione che non gli tornava. Li avevano spediti dall’altra parte del paese alla velocità della luce, e per cosa? Una missione raffazzonata che era già un casino prima di iniziare. Chi l’aveva progettata, Wile E. Coyote? Era come l’operazione di salvataggio all’ambasciata iraniana, con il ghiaccio invece della sabbia.

      Quella pessima e frettolosa organizzazione lo irritava. Il fatto che Stone avesse deciso di partecipare lo irritava ancora di più. Che Newsam facesse lo stesso portava la sua rabbia a livelli stratosferici.

      Infine si sentiva umiliato dalla sua stessa incapacità di infilarsi la claustrofobica muta per immersioni e scendere in quella tomba di ghiaccio. E il modo in cui quel burattino senza cervello aveva guardato la sedia…

      Murphy serrò e aprì le mani. Aveva accettato da tempo che uno dei motivi per cui era entrato nell’esercito, e poi nella Delta Force, era fare qualcosa di costruttivo con la sua ira.

      Conosceva il passato. Aveva studiato i più prolifici e abili assassini delle passate guerre, Audie Murphy nella seconda guerra mondiale e Bloody Bill Anderson nella Guerra Civile americana. Era stata l’ira a sospingere quegli uomini.

      Riusciva quasi a immaginarsi Audie Murphy a Colmar, ritto su un carro armato in fiamme, mentre falciava decine di tedeschi con una mitragliatrice